Nascita dell' Unità d'Italia
L'entusiasmo risorgimentale sostenuto da Casa Savoia portò felicemente a compimento l'Unità d'Italia, ponendo le premesse per una trasformazione della penisola in uno Stato moderno e progredito. La 2° guerra d'indipendenza e la spedizione dei Mille dettero un deciso impulso all'Unità d'Italia, tant'è che il 18 febbraio 1861 veniva inaugurata la prima seduta del Parlamento italiano che il 17 marzo successivo votava la trasformazione del Regno di Sardegna in Regno d'Italia e nella quale Vittorio Emanuele II venne proclamato Re d'Italia: fu questa la realizzazione di un sogno e di tante speranze. La forte passione nazionale che animò tutto il suo Regno garantì il necessario consenso alla soluzione monarchica e sabauda del Risorgimento. Sotto il suo Regno trovarono soluzione molti dei problemi che assillavano il nostro Paese: con la 3° guerra d'indipendenza (1866) anche il Veneto entra a far parte del Regno d'Italia che finalmente nel 1870 potrà coronare il sogno di Roma Capitale, sede naturale e centrale dell'Italia unita. Fu in questi decenni che trovò soluzione la piaga del brigantaggio che affliggeva l'Italia meridionale e si arrivò al pareggio nel bilancio dello Stato. Nel 1878, al "Re Galantuomo", succede il figlio Umberto: nel corso del suo Regno numerose furono le innovazioni nel campo sociale, fra queste ricordiamo l'allargamento della base elettorale, l'istruzione elementare obbligatoria e gratuita, la lotta all'analfabetismo, il miglioramento della rete sia stradale che ferroviaria, nonché l'avvio di quel processo d'industrializzazione che avrebbe portato l'Italia, partita in ritardo, ad affiancarsi ai paesi più avanzati d'Europa. Umberto I dette prova di grandi doti di generosità in occasione delle numerose calamità che punteggiarono il suo Regno (inondazione del Veneto nel 1882 e colera a Napoli nel 1884). Sul piano istituzionale, nel 1882 condusse l'Italia fuori dall'isolamento in cui era venuta a trovarsi, mentre in questo periodo si stava intensamente sviluppando il commercio sia interno che estero. Sul piano sociale nel 1889 venne abolita la pena di morte che era invece ancora prevista in tutti gli altri stati europei. Umberto I muore a Monza il 29 luglio del 1900 per mano dell'anarchico Gaetano Bresci. Gli succede come Re Vittorio Emanuele III che si dimostrò favorevole ad una ripresa in senso liberale dello Stato aprendo la via all'età giolittiana, nel corso della quale la Lira italiana divenne una delle più solide monete al mondo. Fu sviluppata l'industria tessile, elettrica e siderurgica, fu incrementata a Torino l'industria automobilistica, fu potenziata la rete ferroviaria con il traforo di alcuni valichi alpini che permisero le comunicazioni con l'estero e nel 1913 si tennero le prime elezioni a suffragio universale maschile. Purtroppo il suo Regno è stato funestato da ben due guerre mondiali che portarono a scelte drammatiche; la grande Guerra del 1915-1918 si concluse vittoriosamente, tanto che permise l'annessione del Trentino Alto Adige, della Venezia Giulia, di Trieste, dell'Istria e della Dalmazia. La sua popolarità crebbe con la costante presenza in prima linea e soprattutto con la sua decisiva azione dopo Caporetto, quando si adoperò per bloccare l'offensiva austriaca sul Piave. Dopo l'esperienza complessa del Fascismo, che portò l'Italia alla rovinosa alleanza con la Germania e alla guerra, e dopo lo sbarco alleato in Sicilia, il 25 luglio 1943 Vittorio Emanuele III destituì e nominò a capo del Governo il Maresciallo Badoglio. Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, il Re stabilì la Capitale provvisoriamente a Brindisi, poi a Salerno, e si schierò con gli alleati contro la Germania. Nel 1994 lasciò il potere al figlio Umberto, nominandolo Luogotenente Generale del Regno, il 6 giugno 1944 lasciò il potere al figlio Umberto, ed abdicò formalmente il 9 maggio 1946. Il nuovo Re Umberto II, a seguito del contestato Referendum Istituzionale del 2 giugno 1946, fu costretto a lasciare il suolo italiano il 13 giugno 1946 dopo solo un mese di Regno, per evitate una nuova guerra civile. Visse in dignitoso esilio in Portogallo per ben 37 anni.
Le presunte colpe dei Savoia: "Il Fascismo" e la "fuga" da Roma
La Monarchia subì il Fascismo, cercò di moderarlo, il Re contò sempre sulla lealtà delle Forze Armate, della Burocrazia Statale, della Magistratura, della Diplomazia.
Mussolini nel 1922 ebbe, come Capo del Governo, 306 voti di fiducia dal Parlamento; solo 112 i contrari ed i deputati fascisti erano solo 35. Troppo comodo dare tutta la colpa al Re! I Partiti democratici dell'epoca, popolari e liberali, votarono la fiducia a Mussolini.
Il 25 luglio 1943 il Re sostituì Mussolini e pose fine al Fascismo.
In Germania, essendo Hitler Capo dello Stato e Capo del Governo, nessuno riuscì a liquidare il dittatore e la Germania finì distrutta e divisa.
Le leggi razziali furono mitigate dal Re, ma rappresentarono un errore gravissimo. La comunità ebraica italiana aveva grandi meriti verso l'Italia e aveva concorso generosamente, con la cultura e con il sangue, alla formazione dello Stato Unitario.
Il 9 settembre 1943, dopo l'accettazione dell'armistizio, il Re Vittorio Emanuele III fu costretto ad abbandonare Roma; egli, per garantire la continuità dello Stato, si trasferì a Brindisi (in Italia, dunque, non all'estero come tanti altri Capi di Stato), ebbe il riconoscimento internazionale e rappresentò lo Stato legittimo.
Roma non poteva essere difesa con due milioni di abitanti, con la presenza del Papa, con tante opere d'arte.
Sarebbe stata una strage ed i nazisti, come avrebbero successivamente dimostrato alle Fosse Ardeatine, non avevano scrupoli...
La "presunta fuga" del Re fu una montatura della propaganda nazista prima, e di quella antimonarchica poi.
Il Referendum Istituzionale Monarchia-Repubblica del 2 Giugno 1946
Il Referendum popolare sulla forma istituzionale dello Stato si svolse il 2/3 giugno 1946 e fu convocato con un decreto firmato da Umberto II di Savoia. Il fronte repubblicano non aveva scelto la via rivoluzionaria per liquidare la Monarchia: quest'ultima, se fosse rimasta, non avrebbe sicuramente mandato in esilio gli esponenti del fronte repubblicano sconfitto.
Roma, 10 Maggio 1946 - Primo bagno di folla per Re Umberto II
L'esilio ingiusto
L'aver introdotto nella Costituzione della Repubblica (1°gennaio 1948) la disposizione sull'esilio perpetuo dei Savoia ha rappresentato una violazione delle regole democratiche del Referendum, nel tentativo di salvaguardare la Repubblica dal "pericolo" di un ritorno alla Monarchia.
I Savoia non subirono alcun processo come, invece, avvenne per la classe dirigente politico-militare della Germania Nazista. Il fronte repubblicano in Italia non aveva la forza per farlo, anche perché la Monarchia, malgrado la campagna di criminalizzazione scatenata contro di essa e la sconfitta militare, non si era macchiata di crimini e raccolse, al referendum, quasi la metà dei voti del popolo italiano.
Referendum Contestato
(quasi tre milioni di cittadini esclusi dal voto)
Il referendum in molte regioni si svolse senza che i sostenitori della Monarchia potessero fare liberamente propaganda per la Corona e quasi 3.000.000 di Italiani (prigionieri di guerra non rimpatriati; Italiani delle Colonie; abitanti di Trieste, di Gorizia, della provincia di Bolzano; 300mila profughi della Venezia-Giulia e della Dalmazia; i tanti certificati elettorali non reperiti; ecc.) non poterono votare: troppi se si pensa che essi superano la differenza "ufficiale" fra Monarchia e Repubblica (Monarchia voti 10.719.284; Repubblica voti 12.717.923).
Al Re fu impedito di restare per attendere la proclamazione definitiva dei risultati da parte della Suprema Corte di Cassazione (18 giugno 1946). Nella notte fra il 10 ed l'11 giugno 1946 il governo, senza attendere la seduta finale ed ufficiale della Suprema Corte di Cassazione per la proclamazione dei risultati (18 giugno 1946), trasferisce al capo del governo i poteri del Re, il quale si trova di fronte alla drammatica alternativa o di opporsi con la forza o di partire per l'esilio al fine di evitare spargimento di sangue.
L'ultimo messaggio di Umberto II
Umberto II, ricevuti gli onori militari, partì per il Portogallo il 13 giugno 1946 dall'aeroporto romano di Ciampino, dopo aver indirizzato il seguente messaggio al Popolo italiano:
"ITALIANI!
Nell'assumere la Luogotenenza Generale del Regno prima e la Corona poi, io dichiarai che mi sarei inchinato al voto del popolo, liberamente espresso, sulla forma istituzionale dello Stato. E uguale affermazione ho fatto subito dopo il 2 giugno, sicuro che tutti avrebbero atteso le decisioni della Corte Suprema di Cassazione, alla quale la legge ha affidato il controllo e la proclamazione dei risultati definitivi del referendum.
Di fronte alla comunicazione di dati provvisori e parziali fatta dalla Corte Suprema; di fronte alla sua riserva di pronunciare entro il 18 giugno il giudizio sui reclami e di far conoscere il numero dei votanti e dei voti nulli; di fronte alla questione sollevata e non risoluta sul modo di calcolare la maggioranza, io, ancora ieri, ho ripetuto che era mio diritto e dovere di Re attendere che la Corte di Cassazione facesse conoscere se la forma istituzionale repubblicana avesse raggiunto la maggioranza voluta. Improvvisamente questa notte, in spregio alle leggi e al potere indipendente e sovrano della Magistratura, il Governo ha compiuto un gesto rivoluzionario, assumendo, con atto unilaterale ed arbitrario, poteri che non gli spettano e mi ha posto nell'alternativa di provocare spargimento di sangue o di subire la violenza.
Non volendo opporre la forza al sopruso, nè rendermi complice dell'illegalità che il Governo ha commesso, lascio il suolo del mio Paese, nella speranza di scongiurare agli Italiani nuovi lutti e nuovi dolori. Compiendo questo sacrificio nel supremo interesse della Patria, sento il dovere, come Italiano e come Re, di elevare la mia protesta contro la violenza che si è compiuta; protesta nel nome della Corona e di tutto il Popolo, entro e fuori i confini, che aveva il diritto di vedere il suo destino deciso nel rispetto della legge, e in modo che venisse dissipato ogni dubbio e ogni sospetto. ... A tutti coloro che ancora conservano fedeltà alla Monarchia, a tutti coloro il cui animo si ribella all'ingiustizia, io ricordo il mio esempio, e rivolgo l'esortazione a voler evitare l'acuirsi di dissensi che minaccerebbero l'unità del Paese, frutto della fede e del sacrificio dei nostri padri, e potrebbero rendere più gravi le condizioni del trattato di pace. Si considerino sciolti dal giuramento di fedeltà al Re, non da quello verso la Patria, coloro che lo hanno prestato e che vi hanno tenuto fede attraverso tante durissime prove.
Rivolgo il mio pensiero a quanti sono caduti nel nome d'Italia e il mio saluto a tutti gli Italiani. Qualunque sorte attenda il nostro Paese, esso potrà sempre contare su di me come sul più devoto dei suoi figli.
Viva l'Italia!
UMBERTO
Roma, 13 giugno 1946"