Navigavano in barca lungo i corsi d’acqua e segnalavano per tempo le criticità, poi sono stati tagliati. L’equivalente moderno potrebbero essere i droni

di SALVATORE SFRECOLA

C’era una volta il “sorvegliante idraulico”. Dipendeva dal ministero dei Lavori Pubblici, il suo compito era quello di percorrere con una barchetta un tratto di fiume per verificare che non ci fossero situazioni di pericolo dovute all’accumularsi lungo le anse di tronchi d’albero e rami secchi che, specialmente in alcune stagioni, avrebbero potuto provocare il rallentamento del deflusso delle acque e, pertanto, pericolose esondazioni. Senza andare lontano i romani sanno che, d’inverno, la base dei piloni dei ponti sul fiume Tevere è coperta di rami e tronchi d’albero che la corrente trascina a valle.

C’era una volta il sorvegliante idraulico, dunque. Adesso non c’è più. Col trasferimento di molte competenze alle regioni e successivamente con i tagli lineari dei bilanci ed il blocco del turn over questo strumento di tutela del sistema fluviale è stato abbandonato e non sostituito, come oggi sarebbe possibile, da altre forme di monitoraggio, con telecamere piazzare nei punti critici o con il periodico sorvolo dei fiumi come elicotteri e droni, in modo che le situazioni di pericolo possano essere segnalate tempestivamente per gli interventi del caso.

È evidente, per le dimensioni dei danni causati dal maltempo in questi giorni, che anche un efficiente sistema di controllo dei fiumi non avrebbe potuto evitare ogni danno. L’ampiezza delle precipitazioni e il forte vento che le ha accompagnate e che ha divelto ovunque alberi di alto fusto e fatto crollare abitazioni e scoperchiato tetti è un fenomeno eccezionale. Tuttavia è evidente che se il controllo dei fiumi fosse stato efficiente, com’era un tempo, gli effetti del maltempo sarebbero stati meno devastanti. Per cui è sbagliato enfatizzare l’imponderabile per sminuire la responsabilità di chi, a livello statale e regionale, non ha saputo monitorare il corso dei fiumi. Ed, infatti, se ne comincia a parlare.

Serietà vuole che la tutela del territorio sia affrontata con cognizione di causa, avendo presenti i problemi che giorno dopo giorno si possono presentare in ragione delle vicende atmosferiche e dell’incuria dell’uomo, per individuare le soluzioni di breve, medio e lungo periodo, come si deve da parte di un’amministrazione che abbia a cuore gli interessi dei cittadini.

Siamo di fronte ad una situazione che evidenzia un generale stato di abbandono durato troppo tempo per non imporre interventi straordinari non più rinviabili. Per evitare spese rilevanti di anno in anno erogate a seguito di calamità naturali i cui effetti sarebbe possibile limitare con una accorta gestione del territorio.

Insomma, spendiamo più per riparare i danni di quanto spenderemmo per prevenire.

È un vecchio problema italiano. La politica cerca i successi facili e la notorietà immediata, mentre un piano pluriennale di difesa del territorio, che pure impegna risorse notevoli creando anche nuovi posti di lavoro e l’impegno di risorse che stimolano l’attività di imprese private, non viene percepito allo stesso modo dal cittadino e quindi sul piano elettorale per partiti che guardano alla  prossima elezione e non agli interessi delle generazioni future, come ricordava spesso Alcide De Gasperi. Miopia assoluta, perché un grande piano di sistemazione del nostro territorio avrebbe risvolti certamente positivi sull’opinione pubblica e darebbe lustro all’autorità politica e alla maggioranza parlamentare che se desse carico.

Ugualmente può dirsi di altri aspetti del sistema di gestione del territorio, come la messa a norma e in sicurezza degli acquedotti che, si continua a leggere sui giornali, perdono intorno al 50% della loro portata, una misura assolutamente inammissibile in un paese civile dove, come ovunque, l’acqua costituisce un bene primario per i cittadini, quell’acqua che la Roma repubblicana e imperiale portava in tutto il mondo attraverso acquedotti che ancora oggi si ergono maestosi nelle città e nelle campagne a dimostrazione di una capacità di amministrazione che evidentemente nel tempo abbiamo perduto.

E dal momento che parliamo di assetto del territorio non possiamo trascurare anche la condizione delle coste, erose pericolosamente in alcune zone con danni alla popolazione locale e alle attività di carattere balneare che in Italia impiegano vasta mano d’opera e rilevanti risorse finanziarie private. Infine, che controlla i boschi? Anche in questo caso l’accumularsi di rami e fogli secche nel sottobosco costituisce nelle torride estati di questi anni l’esca ideale per gli incendiari.

Concludendo, questo Paese ha bisogno di guardare con concretezza ai problemi del territorio e dell’ambiente per evitare che si debbano rincorrere di anno in anno gli effetti di emergenze di varia natura, con impiego di risorse rilevanti che, se confluissero in un piano pluriennale di interventi, avrebbero sicuramente l’effetto di diminuire le conseguenze dannose di calamità naturali che si accaniscono su cose e persone, anche in conseguenza del vasto, tollerato abusivismo edilizio in aree pericolose, come quelle limitrofe alle rive dei torrenti e dei laghi, o lungo le coste, in prossimità della battigia.

Manca lo Stato, non solo perché ha perso per strada la barchetta del sorvegliante idraulico, ma perché lascia soli gli amministratori locali di fronte alle prepotenze o alle lusinghe degli autori delle costruzioni edilizie in zone non consentite. Il sindaco è debole, non ha poteri adeguati, spesso è condizionato dall’ambiente, dai padroni dei voti, dall’opinione pubblica locale dove abbondano i favorevoli all’aggiramento delle norme. In questi casi è necessario intervenga lo Stato i funzione sostitutiva.

Il governo del cambiamento lo sarebbe effettivamente se mettesse fine a questo stato di cose, da troppo tempo denunciato e mai seriamente affrontato.