di Salvatore Sfrecola

 

Leggo sempre con interesse gli articoli che il Prof. Sabino Cassese, amministrativista insigne ed ex giudice costituzionale, va scrivendo da tempo sulle vicende della politica, in particolare per i riflessi che hanno sulle istituzioni. E generalmente condivido le sue tesi.

Stavolta, però, destano in me notevoli perplessità le considerazioni che propone ai lettori del Corriere della Sera a proposito del ruolo che riveste il voto che sono chiamati a dare sulla formazione del Governo gli iscritti alla Piattaforma Rousseau. Ne ho scritto su questo giornale e su www.unsognoitaliano.it sotto diversi aspetti, commentando anche uno scritto del Prof. Michele Ainis che su La Repubblica aveva espresso dubbi su un voto che si inserisce nel procedimento di formazione di un governo. Anche per il Prof. Ainis, come per il Prof. Cassese la decisione del M5S, di sottoporre al voto la scelta della delegazione incaricata di definire con il Presidente incaricato programma e struttura del governo, cozzerebbe con regole e prassi costituzionali.

Scrivo mentre è in corso la votazione ma indipendentemente dal suo esito, quel che sfugge al Prof. Cassese, come era sfuggito al Prof. Ainis, è che quella verifica dell’accordo di programma, svolta con il voto, non solo era stata già attuata senza che nessuno avesse da ridire (forse perché non c’era di mezzo il Partito Democratico), è perfettamente sovrapponibile alle valutazioni che, in altri contesti partitici, sono affidate alle Direzioni o ai Consigli Nazionali, chiamati ad approvare o meno la scelta delle delegazioni incaricate di definire il programma del governo in formazione.

A mio giudizio, infatti, il tema è affrontato da una angolatura sbagliata, come se il voto interferisse sulla decisione del Presidente della Repubblica di conferire l’incarico di formare il governo. In realtà il Capo dello Stato, all’esito delle consultazioni con le delegazioni dei partiti, ha fatto una scelta che l’incaricato ha accettato con riserva, cioè in attesa di verificare se i partiti gli avrebbero assicurato l’appoggio sulla base di un programma e di una struttura (la definizione dell’assetto delle poltrone) definiti nel corso delle consultazioni del Presidente.

Ora è evidente che, all’esito di questa complessa verifica delle disponibilità delle forze politiche a partecipare alla iniziativa del Presidente incaricato, queste, come si è accennato, approvano o meno il lavoro delle delegazioni tecniche e politiche nelle forme proprie di ogni partito, le segreterie, le direzioni, i consigli nazionali. Per il M5S il voto degli iscritti alla Piattaforma Rousseau.

Quale il problema? Votano pochi rispetto ai tanti che hanno portato in Parlamento deputati e senatori in numero molto rilevante? Ebbene, scrive il Prof. Cassese, immaginando un voto negativo rispetto alla ipotesi di un governo M5S-PD, “se la decisione dei parlamentari, comunicata al presidente della Repubblica, e quindi atto di una procedura pubblica, venisse smentita dagli iscritti, si produrrebbero le seguenti tre conseguenze paradossali: La volontà de maggior numero (i rappresentanti-delegati di 11 milioni di elettori del M5S) sarebbe cancellata da quella del minor numero (una maggioranza di 50-60 mila iscritti al M5S) smentendo le invocazioni populiste del Movimento. I rappresentanti del popolo sarebbero smentiti dal partito, rinverdendo i fati della migliore partitocrazia”.

In primo luogo non è esatto che vi sia stata una “decisione dei gruppi parlamentari, comunicata al presidente della Repubblica”. Infatti le delegazioni dei partiti, comprese quelle del M5S e del PD, pur essendo composte quasi sempre dai Presidenti dei Gruppi parlamentari non hanno espresso un orientamento definito con un voto dei Gruppi. E, in ogni caso, se a decidere sull’operato delle delegazioni intervenute nelle consultazioni del Presidente incaricato fossero stati 10 o 100 di una Direzione o di un Consiglio Nazionale non sarebbero stati sempre pochi a contraddire molti? Queste sono le regole dei partiti. Cosa c’entra la partitocrazia?

Evidentemente la sola ipotesi che possa venir meno l’accordo per un Conte bis con il PD disturba chi a quel partito è vicino, passando sopra l’opposizione della prima ora alla conferma del Prof. Conte in ragione della formazione di “governo di svolta” in “discontinuità”, per cui “mai” sarebbe stato consentito un governo con a capo lo stesso Presidente del governo giallo-verde.

Infine, dove la lesione delle regole della Costituzione, quale l’interferenza con il ruolo del Capo dello Stato? Nessuno. In mancanza dell’assenso degli iscritti, come se fosse mancato quello di una Direzione o di un Consiglio nazionale di partito, il Presidente incaricato tornerebbe al Quirinale per annunciare che non è stato possibile formare il governo. Punto.