SANTA MARGHERITA LIGURE: PRESENTAZIONE DEL LIBRO DEL PROF. MOLA
“DECLINO E CROLLO DELLA MONARCHIA IN ITALIA” (MONDADORI)
Venerdì 2 Marzo 2007, nella splendida cornice dell’Hotel Regina Elena di Santa Margherita Ligure, si è tenuta la presentazione dell’ultimo libro del Prof. Aldo Alessandro Mola “Declino e Crollo della Monarchia in Italia” (Ed. Le Scie – Mondadori).
L’evento, promosso da “LA CORALLINA” - Associazione per le Tradizioni Liguri, ha visto la partecipazione del Presidente Nazionale U.M.I. Gian Nicola Amoretti, del Prof. Giulio Vignoli e dell’Autore.
Amoretti, dopo aver portato i saluti di S.A.R. il Principe Amedeo di Savoia e del Segretario Nazionale U.M.I. Sergio Boschiero, ha introdotto i lavori dell’incontro, sottolineando l’importanza di opere come il libro presentato che vanno ad analizzare un periodo storico fondamentale per la nostra storia ma che è sempre stato “semplificato” e falsato secondo l’ottica del pensiero unico dominante.
Avvalorando la tesi dell’Autore sull’illegittimità della nascita della repubblica, Amoretti ha rimarcato che questa condizione storica rappresenta un’ulteriore forza per chi vede nell’Istituto monarchico un’opportunità per il futuro.
Il Presidente dell’U.M.I. si è dimostrato soddisfatto per il chiarimento dinastico che Mola ha portato nel suo libro, con la pubblicazioni di inequivocabili documenti manoscritti di Re Umberto II, che sono solo l’ennesima conferma di una situazione già chiara da tempo. L’U.M.I. e la Consulta dei Senatori del Regno hanno semplicemente preso atto della situazione interna di Casa Savoia, senza togliere o attribuire corone (potere che non spetta certamente a Istituzioni come le due sigle monarchiche). Simili questioni sono importanti da sottolineare non soltanto perché bagaglio culturale e storico del passato ma perché, in un’ottica monarchica, questo bagaglio deve essere assimilato e valorizzato per gli obiettivi futuri.
Il Prof. Vignoli, al quale spettava la presentazione del libro, ha fatto un’attenta analisi su quello che fu il periodo pre-referendario del 1946. L’illustre docente ligure ha esordito con una riflessione sulla “festa del 2 giugno”: premesso che si andò a votare il 2 e il 3 di giugno del 1946, la repubblica dovette scegliere come data simbolica il 2 perché essa stessa non venne mai proclamata e quindi, non avendo date da festeggiare, la scelta cadde sul primo giorno del voto.
Con la caduta della Monarchia è venuto meno l’ultimo collegamento con il risorgimento nazionale e fu proprio grazie alla mobilitazione di potenti forze anti risorgimentali che si arrivò ai fatti del giugno 1946.
Intere regioni italiane (l’Alto Adige e la Venezia Giulia con le loro importanti città da Bolzano a Trieste, da Gorizia a Pola, da Fiume a Zara, ecc.) non poterono votare perché la loro appartenenza al Regno d’Italia era ancora incerta. Migliaia furono i prigionieri di guerra trattenuti all’estero fino al referendum; la strategia di Togliatti di far sostare in Unione Sovietica migliaia di soldati per evitare che il voto di questi “uomini che avevano giurato la loro fedeltà al Re” potesse indebolire ulteriormente la repubblica ormai è fatto noto. Gli italiani delle Colonie non vennero nemmeno presi in considerazione per il voto.
Vi furono anche irregolarità non volute. Vignoli ha ricordato che dopo la guerra molti uffici dell’Anagrafe erano stati bombardati e vigeva la confusione generale nell’ambito della documentazione per il voto. Lo stesso Re Vittorio Emanuele III e la Regina Elena ricevettero due certificati elettorali.
Nelle regioni così dette “rosse” i monarchici non ebbero alcuna possibilità di parlare e di fare propaganda. La situazione era però difficile in tutto il nord: a Milano, ad un anno dalla fine della guerra, nel Cimitero Maggiore venivano ancora trovati i corpi di fascisti (o presunti tali) che durante la notte venivano assassinati dai sempre attivi partigiani comunisti.
L’allora ministro dell’Interno, Giuseppe Romita, ha scritto nelle sue memorie di aver infiltrato all’interno della polizia un ingente numero di partigiani rossi per poter meglio gestire la situazione che si sarebbe potuta creare nel periodo preso in esame.
Le forze repubblicane potevano contare sui grandi centri di potere, sia economico che d’informazione, e ricevettero cospicui finanziamenti da potenze straniere come l’U.R.S.S. (si parla di “vagonate di rubli” giunti in aiuto alla causa repubblicana).
Le industrie, per cercare di espiare la loro compromissione col fascismo (che tanto aveva loro giovato), si schierarono con la repubblica per un loro quieto vivere e per tornaconto personale. Lo stesso valeva per le grandi testate giornalistiche che, epurate della loro classe dirigente, dovevano rifarsi la facciata in versione filo repubblicana.
Questi i presupposti del referendum istituzionale.
Dopo il voto le prime proiezioni davano la Monarchia in vantaggio di molto. De Gasperi scrisse al Ministro della Real Casa che non riteneva più possibile una vittoria repubblicana ma, nel giro di una notte, la situazione “miracolosamente” mutò.
La Corte di Cassazione si riunì e si limitò a fornire i risultati provvisori, dovendo analizzare più di 30.000 ricorsi. Il Governo attribuisce le funzioni del Capo di Stato al Capo del Governo, commettendo un vero e proprio colpo di Stato.
Vignoli ha evidenziato quanto sia fastidiosa l’ipocrisia repubblicana che vuole attribuire a tutti i costi la nascita della repubblica alla volontà popolare. Ha citato l’esempio della Francia repubblicana che va orgogliosa di essere nata da una rivoluzione. Ma in Italia la verità storica della nascita della repubblica vuole essere tenuta nascosta.
Il 13 Giugno Re Umberto II partì per evitare disordini civili, ma con la certezza di ritornare in breve tempo. Era infatti sicuro delle forze sulle quali poteva contare la Monarchia: il Regio Esercito, i Carabinieri Reali e il volere popolare. Così non fu... Ed Umberto non ebbe un trono macchiato di sangue.
Il Professor Aldo Alessandro Mola, autore del libro presentato, ha raccontato di come abbia consultato interi plichi di documenti che nessuno aveva visionato precedentemente, che da 60 anni giacevano nell’Archivio centrale dello Stato. Grazie al materiale vagliato è riuscito a documentare in maniera inoppugnabile ciò che avvenne fra il 2 e il 19 giugno del 1946, ricostruendo gli eventi ora per ora.
La percentuale degli aventi diritto al voto che fu impossibilitata a votare varia fra il 12,5 e il 13% dell’intero corpo elettorale. Oltre alle persone ricordate da Vignoli, Mola ha portato l’attenzione su i più di 600.000 italiani “epurati” dei propri diritti perché compromessi con il fascismo. Inoltre vi furono suore e medici che non hanno potuto lasciare gli ospedali per potere godere dei propri diritti elettorali. Mola ha ritrovato documentazione di queste persone che si sono rivolte alle autorità per protestare. Inquietanti le testimonianze riguardanti il Capo del Comando Alleato, Ammiraglio Stone (che avrebbe dovuto vigilare sul corretto svolgimento del referendum) il quale consigliò di ricorrere alle mani per protestare. Una vera e propria incitazione alla guerra civile!
Mola ha verificato che le due giornate di voto, nonostante le evidenti irregolarità, si svolsero in un clima tranquillo e pacifico. Ci si attendeva solamente un risultato chiaro ma la cosa diventava difficile in quanto l’ambiguità già era implicita nella confusa legge elettorale per l’appuntamento referendario.
Oltre all’inquietante dato del 12,5 – 13% di aventi diritto che non poterono votare bisogna sommare una pletora di piccoli brogli attuati nella varie sezioni che, sommati, superarono i 300.000 voti (ovvero il margine di differenza fra i voti per la Monarchia e quelli per la repubblica). Sui voti considerati nulli regna la confusione più totale in quanto gli stessi verbali da compilare dei singoli seggi non riportavano le ripartizioni fra schede bianche, schede non consegnate e schede nulle.
Il 10 giugno, dopo che la Corte di Cassazione aggiornò la seduta per verificare i ricorsi presentati, venne svolto un accurato lavoro di esaminazione di gran parte dei suddetti ricorsi (più di 21.000) ma la stessa Corte di Cassazione si dichiarò incompetente in materia. Venne però constatato che mancavano moltissimi dati effettivi riferiti ai singoli seggi e che, gran parte della documentazione riportante le cifre, era scritta a matita.
Sono ancora conservate le strisciate delle calcolatrici e la cosa lampante è che i calcoli non tornano mai.
In conclusione si evince che gli elettori erano “forse” 28 milioni. Forse votarono 25 milioni di italiani. Poco più di 12 milioni di voti per la repubblica non sono stati la maggioranza e, già solo per questo motivo, il referendum va considerato nullo.
Alla presentazione è seguito un interessato dibattito in cui il pubblico ha fatto diverse domande al Prof. Mola.
Presente all’incontro anche il Segretario nazionale di Alleanza Monarchica, avv. Massimo Mallucci, il quale, dopo aver portato all’assemblea i saluti dell’organizzazione che rappresenta ed aver fatto i complimenti al Prof. Mola per l’ottimo lavoro svolto, è intervenuto focalizzando l’attenzione sul comportamento dei monarchici dopo il referendum.
L’evento, promosso da “LA CORALLINA” - Associazione per le Tradizioni Liguri, ha visto la partecipazione del Presidente Nazionale U.M.I. Gian Nicola Amoretti, del Prof. Giulio Vignoli e dell’Autore.
Amoretti, dopo aver portato i saluti di S.A.R. il Principe Amedeo di Savoia e del Segretario Nazionale U.M.I. Sergio Boschiero, ha introdotto i lavori dell’incontro, sottolineando l’importanza di opere come il libro presentato che vanno ad analizzare un periodo storico fondamentale per la nostra storia ma che è sempre stato “semplificato” e falsato secondo l’ottica del pensiero unico dominante.
Avvalorando la tesi dell’Autore sull’illegittimità della nascita della repubblica, Amoretti ha rimarcato che questa condizione storica rappresenta un’ulteriore forza per chi vede nell’Istituto monarchico un’opportunità per il futuro.
Il Presidente dell’U.M.I. si è dimostrato soddisfatto per il chiarimento dinastico che Mola ha portato nel suo libro, con la pubblicazioni di inequivocabili documenti manoscritti di Re Umberto II, che sono solo l’ennesima conferma di una situazione già chiara da tempo. L’U.M.I. e la Consulta dei Senatori del Regno hanno semplicemente preso atto della situazione interna di Casa Savoia, senza togliere o attribuire corone (potere che non spetta certamente a Istituzioni come le due sigle monarchiche). Simili questioni sono importanti da sottolineare non soltanto perché bagaglio culturale e storico del passato ma perché, in un’ottica monarchica, questo bagaglio deve essere assimilato e valorizzato per gli obiettivi futuri.
Il Prof. Vignoli, al quale spettava la presentazione del libro, ha fatto un’attenta analisi su quello che fu il periodo pre-referendario del 1946. L’illustre docente ligure ha esordito con una riflessione sulla “festa del 2 giugno”: premesso che si andò a votare il 2 e il 3 di giugno del 1946, la repubblica dovette scegliere come data simbolica il 2 perché essa stessa non venne mai proclamata e quindi, non avendo date da festeggiare, la scelta cadde sul primo giorno del voto.
Con la caduta della Monarchia è venuto meno l’ultimo collegamento con il risorgimento nazionale e fu proprio grazie alla mobilitazione di potenti forze anti risorgimentali che si arrivò ai fatti del giugno 1946.
Intere regioni italiane (l’Alto Adige e la Venezia Giulia con le loro importanti città da Bolzano a Trieste, da Gorizia a Pola, da Fiume a Zara, ecc.) non poterono votare perché la loro appartenenza al Regno d’Italia era ancora incerta. Migliaia furono i prigionieri di guerra trattenuti all’estero fino al referendum; la strategia di Togliatti di far sostare in Unione Sovietica migliaia di soldati per evitare che il voto di questi “uomini che avevano giurato la loro fedeltà al Re” potesse indebolire ulteriormente la repubblica ormai è fatto noto. Gli italiani delle Colonie non vennero nemmeno presi in considerazione per il voto.
Vi furono anche irregolarità non volute. Vignoli ha ricordato che dopo la guerra molti uffici dell’Anagrafe erano stati bombardati e vigeva la confusione generale nell’ambito della documentazione per il voto. Lo stesso Re Vittorio Emanuele III e la Regina Elena ricevettero due certificati elettorali.
Nelle regioni così dette “rosse” i monarchici non ebbero alcuna possibilità di parlare e di fare propaganda. La situazione era però difficile in tutto il nord: a Milano, ad un anno dalla fine della guerra, nel Cimitero Maggiore venivano ancora trovati i corpi di fascisti (o presunti tali) che durante la notte venivano assassinati dai sempre attivi partigiani comunisti.
L’allora ministro dell’Interno, Giuseppe Romita, ha scritto nelle sue memorie di aver infiltrato all’interno della polizia un ingente numero di partigiani rossi per poter meglio gestire la situazione che si sarebbe potuta creare nel periodo preso in esame.
Le forze repubblicane potevano contare sui grandi centri di potere, sia economico che d’informazione, e ricevettero cospicui finanziamenti da potenze straniere come l’U.R.S.S. (si parla di “vagonate di rubli” giunti in aiuto alla causa repubblicana).
Le industrie, per cercare di espiare la loro compromissione col fascismo (che tanto aveva loro giovato), si schierarono con la repubblica per un loro quieto vivere e per tornaconto personale. Lo stesso valeva per le grandi testate giornalistiche che, epurate della loro classe dirigente, dovevano rifarsi la facciata in versione filo repubblicana.
Questi i presupposti del referendum istituzionale.
Dopo il voto le prime proiezioni davano la Monarchia in vantaggio di molto. De Gasperi scrisse al Ministro della Real Casa che non riteneva più possibile una vittoria repubblicana ma, nel giro di una notte, la situazione “miracolosamente” mutò.
La Corte di Cassazione si riunì e si limitò a fornire i risultati provvisori, dovendo analizzare più di 30.000 ricorsi. Il Governo attribuisce le funzioni del Capo di Stato al Capo del Governo, commettendo un vero e proprio colpo di Stato.
Vignoli ha evidenziato quanto sia fastidiosa l’ipocrisia repubblicana che vuole attribuire a tutti i costi la nascita della repubblica alla volontà popolare. Ha citato l’esempio della Francia repubblicana che va orgogliosa di essere nata da una rivoluzione. Ma in Italia la verità storica della nascita della repubblica vuole essere tenuta nascosta.
Il 13 Giugno Re Umberto II partì per evitare disordini civili, ma con la certezza di ritornare in breve tempo. Era infatti sicuro delle forze sulle quali poteva contare la Monarchia: il Regio Esercito, i Carabinieri Reali e il volere popolare. Così non fu... Ed Umberto non ebbe un trono macchiato di sangue.
Il Professor Aldo Alessandro Mola, autore del libro presentato, ha raccontato di come abbia consultato interi plichi di documenti che nessuno aveva visionato precedentemente, che da 60 anni giacevano nell’Archivio centrale dello Stato. Grazie al materiale vagliato è riuscito a documentare in maniera inoppugnabile ciò che avvenne fra il 2 e il 19 giugno del 1946, ricostruendo gli eventi ora per ora.
La percentuale degli aventi diritto al voto che fu impossibilitata a votare varia fra il 12,5 e il 13% dell’intero corpo elettorale. Oltre alle persone ricordate da Vignoli, Mola ha portato l’attenzione su i più di 600.000 italiani “epurati” dei propri diritti perché compromessi con il fascismo. Inoltre vi furono suore e medici che non hanno potuto lasciare gli ospedali per potere godere dei propri diritti elettorali. Mola ha ritrovato documentazione di queste persone che si sono rivolte alle autorità per protestare. Inquietanti le testimonianze riguardanti il Capo del Comando Alleato, Ammiraglio Stone (che avrebbe dovuto vigilare sul corretto svolgimento del referendum) il quale consigliò di ricorrere alle mani per protestare. Una vera e propria incitazione alla guerra civile!
Mola ha verificato che le due giornate di voto, nonostante le evidenti irregolarità, si svolsero in un clima tranquillo e pacifico. Ci si attendeva solamente un risultato chiaro ma la cosa diventava difficile in quanto l’ambiguità già era implicita nella confusa legge elettorale per l’appuntamento referendario.
Oltre all’inquietante dato del 12,5 – 13% di aventi diritto che non poterono votare bisogna sommare una pletora di piccoli brogli attuati nella varie sezioni che, sommati, superarono i 300.000 voti (ovvero il margine di differenza fra i voti per la Monarchia e quelli per la repubblica). Sui voti considerati nulli regna la confusione più totale in quanto gli stessi verbali da compilare dei singoli seggi non riportavano le ripartizioni fra schede bianche, schede non consegnate e schede nulle.
Il 10 giugno, dopo che la Corte di Cassazione aggiornò la seduta per verificare i ricorsi presentati, venne svolto un accurato lavoro di esaminazione di gran parte dei suddetti ricorsi (più di 21.000) ma la stessa Corte di Cassazione si dichiarò incompetente in materia. Venne però constatato che mancavano moltissimi dati effettivi riferiti ai singoli seggi e che, gran parte della documentazione riportante le cifre, era scritta a matita.
Sono ancora conservate le strisciate delle calcolatrici e la cosa lampante è che i calcoli non tornano mai.
In conclusione si evince che gli elettori erano “forse” 28 milioni. Forse votarono 25 milioni di italiani. Poco più di 12 milioni di voti per la repubblica non sono stati la maggioranza e, già solo per questo motivo, il referendum va considerato nullo.
Alla presentazione è seguito un interessato dibattito in cui il pubblico ha fatto diverse domande al Prof. Mola.
Presente all’incontro anche il Segretario nazionale di Alleanza Monarchica, avv. Massimo Mallucci, il quale, dopo aver portato all’assemblea i saluti dell’organizzazione che rappresenta ed aver fatto i complimenti al Prof. Mola per l’ottimo lavoro svolto, è intervenuto focalizzando l’attenzione sul comportamento dei monarchici dopo il referendum.
Un particolare ringraziamento va a Giovanna Ulleri, a Giuliana Zoppi e a Gianni Stefano Cuttica che hanno organizzato l’incontro, al governatore de “La Corallina” Alfredo Bertollo oltre che a Giulio Ciana che ha messo a disposizione le sale congressi dell’Hotel Regina Elena.