L’EUROPA SENZA QUALITA’
di Giuseppe Borgioli
Quando Konrad Adenauer, Robert Schuman e Alcide De Gasperi (tre uomini di frontiera, un tedesco renano, un alsaziano, un trentino) dettero vita con Belgio Olanda e Lussemburgo alla piccola Europa c’era nelle loro menti un disegno storico. Intanto Italia, Francia e Germania miravano a superare gli equilibri di Yalta. La stessa Francia che pur aveva ottenuto uno strapuntino a fianco delle potenze vincitrici della seconda guerra mondiale perseguiva degli obiettivi di politica internazionale che assegnavano alla nuova Europa una voce originale. Lo spirito del trattato di Roma del 1955 era questo mosaico. Come è noto la scelta fu di progredire gradino per gradino istituendo agenzie economiche e, in ultimo, finanziarie che nella visione ottimistica dei promotori avrebbero dovuto portare di fatto alla unità politica. Il primo ostacolo fu la CED (Comunità di Difesa Europea) che non fu ratificata dal Parlamento francese. Dopo l’ubriacatura del 1989 ci fu l’allargamento dell’Europa che, anche sotto impulso della diplomazia americana, raggiunse l’attuale quota di 27 paesi membri. Certo, questo cammino fu accompagnato da una produzione cartacea sempre più voluminosa. Tutte queste carte non hanno lasciato traccia perché si sono limitate a fare filosofia (pessima filosofia) senza apportare alcuna seria modifica al sistema di prendere le decisioni. Anzi l’aumento dei paesi membri ha annacquato il brodo della piccola Europa e l’ha trasformata in una specie di tribuna dove ciascun governo rafforza il carattere particolare e si sente autorizzato a decidere in base all’interesse nazionale contingente. De Gaulle da buon stratega non solo militare aveva capito questa fragilità quando lanciò la proposta dell’Europa dall’Atlantico agli Urali. L’Europa così definita nei suoi confini geografici doveva esaltare le nazionalità come contributo alla politica comune: Europa delle Patrie, una sorta di confederazione più che di unione. Non se ne fece niente e l’Europa rimase uno strano animale, metà carne e metà pesce, più una sede di consultazione che un organismo vitale e autonomo. È l’Europa di oggi, luogo di trattative estenuanti con conclusioni interlocutorie che suonano quasi sempre a compromessi. È la replica che abbiamo visto il 23 aprile. Gli eurobond sostenuti dal governo Italiano (il più indebitato in Europa) per far fronte alle spese di bilancio in seguito alla pandemia di coronavirus non sono stati accolti come era prevedibile. Gli strumenti messi a disposizione dal Consiglio Europeo sono di tipo tradizionale perché fanno capo a istituti che già esistono, inclusi i recovery fund di cui si riparlerà a babbo morto. L’Italia accetterà il prestito del MES rivolto esclusivamente alle spese sanitarie e senza conseguenze rispetto alla sovranità di bilancio. È poco? È tanto? Si poteva strappare di più? È sintomatico che queste domande ce le poniamo all’indomani del Consiglio Europeo e la dicono lunga sul fallimento dell’Europa anche come comunità solidale. Diventa difficile definire oggi l’Europa. Non è definibile attraverso la sua politica perché di politiche se ne contano parecchie. C’è un settore in cui l’Europa si è distinta? Non mi pare le stesse prese di posizione ufficiali sulle crisi internazionali sono in linea di massima tardive e banali. Torna alla memoria l’uomo senza qualità di Robert Musil che assiste impotente agli eventi: non accade quello che fa, fa quello che accade.