I capitoli non detti su Dante
di Giuseppe Borgioli
Il settimo centenario di Dante Aligeri à stato celebrato con la con cerimonie pubbliche e private che hanno giustamente rimarcato la ricorrenza cara alla memoria di ogni Italiano. Dante Alighieri è il padre della Patria politica e della Lingua scritta e parlata. Non Importa se Dante Alighieri come altri grandi sia morto in esilio. In un esilio sofferto e lontano dalla sua Patria, Firenze. L’esilio è una condanna atroce soprattutto per chi vive con il ricordo palpitante di ciò che si è lasciato alle spalle e che non può dimenticare. Non si comprende la poesia della Divina Commedia se non si condivide il dolore del poeta costretto a vivere e morire con la immagine viva della sua Firenze, che lo aveva bandito.
La Figura di Dante ramingo, privato della Patria a cui erano legato gli affetti più cari, deve accrescere in noi la forza della sua poesia che non può ridursi a occasione di semplice rievocazione. Non saranno le declamazioni più o meno esaltate di questo o quel virtuoso della scena teatrale a farci dimenticare quanta sofferenza stia dietro a quei versi.
Dante non ha dato vita solo alla Divina Commedia. Ci sono testi come il De Monarchia che danno alla sua figura una grandezza che nessuna revisione storica può togliergli o ridimensionare.
La grandezza di Dante è unica e va accolta in tutta la sua opera consegnata ai posteri. Oggi tutti sono e le piazze fanno a gara per promuovere le serate dedicate alla poesia di Dante. Meglio così.
I più famosi guitti dello spettacolo ci cimentano con il Sommo Poeta come un pezzo classico del loro repertorio. Quanta sofferenza dietro quei versi che sono vita vissuta. Come non ricordare che la Chiesa cattolica solo nel 1900 tolse il De Monarchia dall’indice dai libri proibiti? Dante sosteneva che solo un Re. l’Imperatore del Sacro Romano Impero, avrebbe potuto frenare l’ingordigia dei Papi e restituire il dominio di Cesare su ciò che è di Cesare.
Quanta acqua à passato sotto il Tevere e oggi possiamo celebrare Dante come poeta o prevalentemente some poeta.
Non ò sempre stato così. Anche questa fa parte dell’attualità di Dante, del nostro bagaglio culturale.
Dante, a suo modo, credeva in una epoca diversa nell’autorità dello Stato, allora dell’Impero. Ci credeva a tal punto da andare incontro all’esilio. La Chiesa di oggi ha riconosciuto la provvidenzialità del Risorgimento e le scomuniche comminate a Vittorio Emanuele II e a Camillo Cavour dobbiamo ritenere che siano cadute nel dimenticatoio. Forse non aveva tutti i torti che riteneva che permanendo un Re in Vaticano, un Re sarebbe stato bene anche a Quirinale.