DIO SALVI LA REGINA
di Giuseppe Borgioli
Un tema che si è fatto più acuto in questi mesi è il rapporto fra politica e magistratura. Non si tratta di un capitolo nuovo poiché da quasi trent’anni, dal tempo di ‘mani pulite’ è, nolenti o volenti, all’ordine del giorno. La separazione (e l’equilibrio) dei poteri era un punto nevralgico dello Statuto Albertino che fu ripreso dalla costituzione repubblicana con scarso successo. Il magistrato aveva una fonte autonoma di legittimazione e di esercizio del potere nella figura del Re. Nel rito del processo inglese il cancelliere ricorda questa legittimità nell’invocazione che pronuncia all’inizio di ogni udienza : Dio salvi la Regina. Non è solo questione di forma. E’ un atto di sostanza costituzionale che indica il pilastro sul quale si basa la divisione dei poteri in una monarchia fra le più antiche della storia europea. Sempre nel Regno Unito le disposizioni sulla immunità parlamentare sono fra le più severe e indiscusse. Scomparsa la figura del Re l’architettura del sistema liberale non sta in piedi. L’Italia è un esempio eloquente della confusione dei poteri, dove spesso la legge penale è il paravento di un estenuante braccio di ferro fra politica e magistratura di cui i cittadini finiscono con il pagare il prezzo più alto. La cronaca recente e passata sta a dimostrare lo scollamento dei poteri che prescinde dalle capacità e dal giudizio dei singoli uomini. Non e’ solo in ballo l’onesta dei politici e l’obiettività intellettuale dei magistrati. Molte sono le leggi varate in circostanze diverse dai politici per arginare una tendenza che sembra inesorabile.I poteri sono indipendenti e uniti se hanno un punto comune di riferimento superiore che manca in questa repubblica e provoca uno spaventoso vuoto per cui non è possibile fare nostra l’invocazione dei processi inglesi a meno di suscitare l’ilarità generale. Dio salvi il presidente della repubblica? Suona male, suona come una usurpazione istituzionale. La nostra costatazione è un richiamo a cercare il bandolo della matassa delle nostra aggrovigliata condizione istituzionale e esistenziale. Solo se troveremo la forza di riconoscere i veri problemi faremo un passo avanti per uscire dalla crisi.