Mani Pulite, pars destruens e pars costruens
di Giuseppe Borgioli
Francesco Saverio Borrelli già procuratore capo a Milano e come tale la mente di “mani pulite”, l’inchiesta che spazzò via la prima repubblica e il suo personale politico, fu un magistrato che ha lasciato un’orma nella vita politica italiana.Uomo culturalmente controverso veniva da una dinastia di magistrati che affondava le origini all’epoca dei Borboni.Il padre Manlio giudice, presidente di corte di appello. Era stato ufficiale di cavalleria non esente da simpatie monarchiche.Francesco Saverio Borrelli aveva i tratti e i tic del gentiluomo napoletano, diverso per carattere e formazione dai Di Pietro che occupavano la ribalta. Certo in lui la declinazione del diritto e della giustizia lo rendeva più sensibile alla tesi della sinistra. Ma in primo piano restava il diritto e l’indipendenza del magistrato si riconosceva in un dialogo serrato con la propria coscienza professionale.Io Francesco Saverio Borrelli per quel poco che ho conosciuto, lo ricordo cosi’.La valutazione della pagina di “nani pulite”, ora che appartiene al passato, merita anch’essa un’osservazione. L’azione della magistratura milanese che poi si è diffusa quasi come un virus nel resto dell’Italia, ahimè senza lo stile di Francesco Saverio Borrelli, è stata efficace. Ha colpito partiti e gruppi di pressione. Ha portato alla luce del sole i rapporti che legavano apparati pubblici a interessi economici ben localizzati.La pars destruens ha funzionato. Ma le istituzioni sono rimaste inamovibili. E’ mancata la pars costruens. In molti si aspettavano che l’Italia avrebbe voltato pagina.Sono cambiati i sistemi elettorali, sono cambiate le facce degli eletti, sono cambiate le sigle. Le regole del gioco, le istituzioni, non sono cambiate.Come si poteva pensare che un bagno di moralismo avrebbe spazzato via il malaffare? Bisognava allora prendere il coraggio di affrontare il discorso sulle istituzioni. Troppo facile fermarsi alla pars destruens, ai fuochi di artificio degli arresti eccellenti, ai processi mediatici.Più difficile accedere alla pars costruens di una assemblea costituente come chiedeva, ad esempio, Sergio Romano.Si dirò che non era compito della magistratura. E’ vero, le cose sono andate per la strada che abbiamo conosciuto.Ora non resta che seppellire i morti in attesa degli eventi che nessuno è in grado di prevedere.
GIORGIO AMBROSOLI, l’eroe che non sapeva di esserlo
di Giuseppe Borgioli
Ricorre il quarantesimo anniversario dell’uccisione di Giorgio Ambrosoli, avvenuta per mano di un sicario nel quadro dell’affair Sindona. Giorgio Ambrosoli era l’avvocato milanese incaricato di fare il liquidatore della Banca Privata. In questi giorni è stato ricordato un po’ da tutti come un professionista integerrimo che ha pagato con la vita la sua onestà e rigore professionale. Su di lui si attaglia bene la qualifica di eroe, eroe in tempo di pace.
Desideriamo ricordare, non per mettere il nostro berretto su questo personaggio, che accomuna tutta l’Italia nella ammirazione e nella gratitudine, che si era formato nel Fronte Monarchico Giovanile di Milano, in un ambiente di monarchici tutti d’un pezzo.
Valga la pena ricordare anche colui che fu l’anima dell’UMI milanese, Tino Bruschi.
I pellegrinaggi che compivano ogni anno i pellegrinaggi in silenzio con la sola forza della devozione a Bouleau sur mer da Re Umberto accoglieva quei messaggeri dell’amata Italia non era solo un piccolo episodio politico comprensibilmente ignorato da giornali e televisioni.
Era un pezzo d’Italia che si muoveva, che voleva ricordare per guardare al futuro.Nessuno di loro era mosso da calcoli di potere.Erano totalmente avulsi dalla “grande” politica che occupava le cronache. Erano veramente l’espressione di un’altra Italia che non aveva mai accettato l’ingiustizia del referendum ma aveva capito e obbedito a Re Umberto per patriottismo. Quello vero di cui si legge sui libri di storia.
Non ho conosciuto Giorgio Ambrosoli, pur avendo partecipato a quei pellegrinaggi.Non so se fosse borghese, nobile o proletario. So che apparteneva a quell’Italia che preferiva parlare di Patria anziché di paese.
Se si crede veramente nella patria come nella casa comune, l’estensione della famiglia, sfugge la differenza fra destra e sinistra, non si ragiona e non si agisce in base agli schieramenti politici. Il nuovo catechismo repubblicano ci ha insegnato che per essere buoni, onesti, meritevoli di stima bisogna essere di sinistra.
Nella mia Toscana corre un detto che suona un po’ irriverente: “fatti un nome piscia a letto e tutti diranno che hai sudato”.
E allora di fronte a Giorgio Ambrosoli si resta stupiti, meglio scandalizzati, si cerano delle attenuanti. Era un borghese come era borghese a suo modo il celebrato “salvatore della lira”.
No, non bisogna stare al gioco della doppia verità che accompagna il realismo e il compromesso.
Compiere il proprio dovere o cercare di farlo.
Sempre.
IL DITTATORE
di Giuseppe Borgioli
La figura del dittatore nasce storicamente in un humus repubblicano, allo stesso Mussolini la convivenza con la Monarchia andava un po’ stretta. In questi giorni è uscito per la penna di Gian Paolo Panza un libro dedicato a Matteo Salvini che si intitola “Il Dittatore”. Dato l’argomento il libro avrà successo.
Ma Salvini è un potenziale dittatore? Che abbia il carattere autoritario forse è vero, che sia circondato da yes men è altrettanto vero. Cha la stampa e le televisioni non perdano occasione metterlo al centro della pubblica attenzione non ci piove. Ma tutto questo è sufficiente per dipingerlo come dittatore? Prende decisioni senza cedere alla tattica del rinvio tanto abusata in passato, colloquia direttamente con il suo popolo. Embè? dicono a Roma.
Ce ne vuole per fare un dittatore. Al decano dei giornalisti italiani che è anche un fine uomo di cultura ed una mente libera suggerirei di riprendere in mano un classico scritto da uno scrittore e giornalista che gli rassomiglia: “Tecnica del colpo di stato” di Curzio Malaparte. La troverà alcuni elementi fondamentali se è cultore della materia. Per fare un dittatore ci vuole intanto la materia prima che di questi tempi non è facile da trovarsi sul mercato. Troppi talk show, troppe prime donne, nascono tutti già “imparati”. In giro ci sono soltanto polli d’allevamento, i polli ruspanti non si trovano più. Il dittatore non si forma a scuola. Lo forgia la lotta politica, la forza degli eventi, la congiura delle circostanze.
Mussolini da questo punto di vista è un classico che va studiato prima che combattuto o celebrato.
Il consenso? Non serve, almeno in un primo tempo. Il consenso verrà con il consolidamento del regime, come diceva Flaiano.
Ciò che è assolutamente indispensabile è l’emergenza. Ci i vuole l’emergenza per sospendere le regole della libertà e far accettare ai cittadini il coprifuoco.
L’emergenza economica e finanziaria sarebbe un buon fattore di incubazione del dittatore, la mano militare, l ‘occupazione degli edifici pubblici, i proclami letti alla televisione…sono roba d’altri tempi. Ora c’è twitter.
Il nuovo dittatore, quello vero dietro la porta, potrebbe essere un banchiere con una esperienza internazionale, accolto come un liberatore con un sospiro di sollievo dei mercati.
Questo è il mio identikit. Altro che…Salvini!
Ai posteri, l’ardua sentenza.
In Sardegna la strada statale 131 deve rimanere intestata al Re Carlo Felice
Sappiamo tutti che un popolo che rinnega la propria storia non ha futuro. Forse non lo sa l’Assessore ai lavori pubblici della Regione Sardegna, Quirico Sanna, che, appena insediato, propone di cambiare il nome alla statale 131, la strada che collega Sassari con Cagliari, ed è dedicata al Re di Sardegna Carlo Felice. Propone di dedicarla ad Eleonora d’Arborea, prestigiosa personalità del XIV secolo della quale i sardi sono giustamente orgogliosi per la saggezza e la determinazione con la quale seppe garantire la difesa della sovranità e dei confini territoriali del Giudicato di Arborea, attuando anche una sapiente opera di riordino e di sistemazione degli ordinamenti e degli istituti del diritto locale.
Avrà altre occasioni l’assessore per onorare Eleonora, anziché cambiare il nome alla 131 che ricorda l’opera dei sovrani di Casa Savoia, che portarono l’isola nel contesto nazionale e poi in Europa e nel mondo, mentre l’Inno Sardo accompagnava la storia della Monarchia costituzionale.
I monarchici italiani ritengono che la proposta dell’Assessore Sanna sia espressione di uno spirito isolazionista che non fa bene alla Sardegna ed ai sardi, gente generosa ed orgogliosa della propria storia, che certamente non intendono cancellare ma semmai ampliare ricordando altre personalità, come Eleonora d’Arborea, appunto.
Roma, 03.07.2019
Il Presidente Nazionale
Avv. Alessandro Sacchi
Quis custodet ipsos custodtes?
di Giuseppe Borgioli
La crisi che attanaglia la magistrature, in particolare il Consiglio Superiore il cosiddetto organo di autogoverno, non è una crisi come tante nella repubblica ma la crisi della repubblica. Non era mai accaduto che magistrati insieme a politici complottassero (discutessero) per decidere le carriere nelle procure e negli uffici giudiziari.
Lasciamo perdere i dettagli inquietanti dei luoghi e degli orari di queste riunioni di lavoro che di fatto espropriavano gli organi costituzionali delle loro prerogative.
Rimane il fatto gravissimo che inquieta più della crisi economica e finanziaria perché dalla crisi si può uscire con il lavoro e l‘impegno di tutti. Ma se manca il senso dello stato, specialmente nelle classi dirigenti, vuol dire ci attendono tempi bui.
La memoria mi riporta indietro a un magistrato toscano (non fu l’unico) che dopo l’esito contestato del referendum si dimise dal suo ruolo; scrisse semplicemente che avendo servito il Re come procuratore non intendeva servire la repubblica allo stesso titolo.
Re Umberto lo redarguì ricordandogli che Lui aveva sciolto tutti dal giuramento di fedeltà e che aveva chiesto a magistrati e militari di servire la repubblica con la stessa lealtà con cui aveva no servito la monarchia. Inoltre, sotto il Re o in repubblica si serve la giustizia. Non è la stessa cosa.
Questi erano gli uomini di allora che servivano le istituzioni di allora.; Sarebbe sbagliato derubricare l’accaduto come una storia banale di potere, di meschino carrierismo imputabile a qualche mela marcia.
Il vero problema è il nodo dell’autogoverno. Come può un corpo autonomo a cui deleghiamo le decisioni sulla nostra libertà e sui nostri interessi gestirsi senza la forza simbolica di un Re super partes. Il rischio è che cada ostaggio dei partiti. Abbiamo già le avvisaglie di questa sudditanza nell’azione delle correnti del consiglio superiore che richiamano i partiti. Un sistema costituzionale non sta in piedi senza simboli che siano al fi sopra del mero esercizio del potere.
Altrimenti i corpi autonomi diventano estranei e danno vita a conflitti che minano l’unità dello stato e in questo caso l’idea e la pratica di giustizia.
Per la cronaca che l’episodio riguarda (casualmente?) il Partito Democratico che aveva dei suoi uomini nelle riunioni clandestine. Uno di questo Luca Lotti (che è indagato i dalla stessa procura di Roma) nelle intercettazioni vantava liason personali con il Quirinale. La smentita à stata timida, quasi burocratica e il neo segretario del PD Zingaretti è stato altrettanto timido nel condannare o meglio nel commentare il comportamento dei suoi uomini coinvolti da protagonisti in questa vicenda.