di Salvatore Sfrecola
(da www.italianioggi.com)
Ancora un decreto legge, con nuove regole, “più stringenti”, secondo il Presidente del Consiglio che ha scelto la strada di adottare successive disposizioni a mano a mano che gli sono apparse più chiare le dimensioni dell’epidemia che ha letteralmente messo in ginocchio l’Italia da quando si sono verificati i primi casi di positività al virus, taluni presto mortali. L’epidemia, scoppiata in Cina sul finire dello scorso anno, come attesta il n. 19 che identifica il virus, era stata segnalata dall’Organizzazione mondiale della sanità (O.M.S.), fin dal 30 gennaio. In quella data, infatti, l’O.M.S. aveva emanato una “dichiarazione di emergenza internazionale di salute pubblica per il coronavirus (PHEIC)”, con specifiche “raccomandazioni alla comunità internazionale… circa la necessità di applicare misure adeguate”. Ed il Ministro della salute vi aveva fatto seguito il 31 gennaio, rappresentando a Palazzo Chigi “la necessità di procedere alla dichiarazione dello stato di emergenza nazionale”. Non c’era da attendere oltre. Ed il Consiglio dei ministri lo stesso 31 gennaio ha dottato la “dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”. La leggiamo sulla Gazzetta Ufficiale n. 26 del 1 febbraio.
La delibera del Consiglio dei ministri, oltre a richiamare la dichiarazione e le raccomandazioni dell’O.M.S., premesso che, “considerata l’attuale situazione di diffusa crisi internazionale determinata dalla insorgenza di rischi per la pubblica e privata incolumità connessi ad agenti virali trasmissibili, che stanno interessando anche l’Italia”, individua, in “tale contesto di rischio”, la necessità dell’“assunzione immediata” di “iniziative di carattere straordinario ed urgente, per fronteggiare adeguatamente possibili situazioni di pregiudizio per la collettività presente sul territorio nazionale”.
Le parole mai come in questa occasione sono pietre: “rischio”, “assunzione immediata” di “iniziative di carattere straordinario e urgente” perché gli agenti virali “stanno interessando anche l’Italia”. Nonostante questa percezione del pericolo, tanto che viene dichiarato “per 6 mesi dalla data del presente provvedimento (31 gennaio 2020, n.d.A.), lo stato di emergenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”, e la espressa esigenza di procedere con immediatezza, si deve arrivare al 22 febbraio perché il Consiglio dei ministri adotti il decreto legge n. 6, pubblicato il 23 febbraio sulla Gazzetta Ufficiale n. 45. Le ragioni della straordinaria necessità ed urgenza che consentono al Governo di adottare un provvedimento normativo con efficacia immediata vengono indicate nella dichiarazione dell’O.M.S. del 30 gennaio a proposito dell’“emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale”. Ed in 6 articoli viene dettata una serie di misure per evitare il diffondersi del virus “nei comuni o nelle aree nei quali risulta positiva almeno una persona per la quale non si conosce la fonte di trasmissione”.
Dal 31 gennaio al 22 febbraio per adottare un provvedimento d’urgenza sollecitato dall’O.M.S. per una emergenza condivisa dal Governo, tanto che ne stabilisce la durata in sei mesi. E intanto ne spreca quasi uno senza decidere. È evidente che nei palazzi del governo non si hanno le idee chiare sull’entità del fenomeno, nonostante la “rilevanza internazionale”, e sulle modalità per affrontarlo, ed anche se la Cina aveva fornito indicazioni precise, avendo chiuso immediatamente una intera regione, con regole severissime di quarantena. Ne parlano i giornali i quali si diffondono a considerare che quelle misure sono state adottate da uno stato che non è proprio una democrazia occidentale, come se il virus avesse effetti diversi a seconda del regime costituzionale del territorio nel quale si sviluppa il contagio.
Qualche considerazione di fondo. È evidente che se l’O.M.S. denuncia il pericolo a gennaio e ne indica la dimensione internazionale il pericolo era stato accertato ben prima, almeno settimane prima, come è necessario per acquisire gli elementi necessari per definire le dimensioni del pericolo. E non c’è dubbio che la stessa organizzazione internazionale ne abbia fornito anticipazioni al Ministero della salute che ha un rappresentante in seno all’O.M.S.. Sarebbe gravissimo se questo non fosse avvenuto, se la notizia fosse spuntata come un fungo il 30 gennaio. E se fosse così c’è qualcuno inadeguato, assolutamente inadeguato al ruolo.
Ugualmente è da ritenere che, in vista della dichiarazione di pericolo qualcuno avrebbe dovuto fare mente locale sulle forze in campo, cioè sulle possibilità di dare una risposta all’epidemia. Perché se nessuno si è mosso sono parecchi che vanno mandati a casa, tra i politici e tra i tecnici che occupano posti di responsabilità nel governo della Repubblica.
Sta di fatto che è apparso a tutti evidente che nessuno aveva pensato, ad esempio, a rifornire gli ospedali di mascherine protettive per i sanitari impegnati nei reparti, non solo di terapia intensiva. Questi, in particolare, si sono rivelati subito inadeguati quanto al numero dei letti, tagliati negli anni scorsi, nei quali il rigore ha duramente colpito la sanità pubblica, con difficoltà a far fronte al flusso dei malati, mentre le possibilità di riconversione di altri reparti si sono dimostrate macchinose. Anche perché, di fronte ad una emergenza come sarebbero stati curati i pazienti “ordinari”, quelli in cura per malattie oncologiche, gli infartuati, quanti hanno subito un ictus (a proposito le Stroke Unit?), i feriti in incidenti stradali, ecc.? Non se ne parla, ma si sa che queste persone spesso vengono pretermesse di fronte ad un soggetto positivo al coronavirus e da trattare in terapia intensiva. Gli altri possono morire?
Come sempre accade in Italia all’emergenza ha fatto fronte l’impegno, spesso eroico, nelle condizioni date, del personale medico e infermieristico, oltre che degli operatori del 118.
Si è sprecato un tempo prezioso che avrebbe consentito di definire un quadro generale di interventi su tutto il territorio nazionale e di individuare le “misure” necessarie per frenare il contagio. Si è preferito procedere “a vista”, come dimostra la progressione dei provvedimenti adottati in via di urgenza (i decreti-legge 2 marzo, n. 9; 8 marzo, n. 11, 9 marzo n. 14; 17 marzo n. 18; 25 marzo, n. 19) ognuno per integrare e correggere le precedenti disposizioni, e in attuazione degli stessi. Ne è derivato un groviglio di norme spesso poco comprensibili, pertanto continuamente modificate ed integrate, fino all’ultimo decreto legge che, a dire del Presidente del Consiglio, avrebbe anche il ruolo di costituire una sorta di testo unico delle norme sull’emergenza per mettere in ordine le precedenti disposizioni (cinque decreti legge in meno di venti giorni per una stessa materia non si erano mai visti). Anche i ministri della salute e dell’interno hanno emanato i loro decreti. Poi ci sono le ordinanze del Capo del Dipartimento della Protezione civile. Per parte loro le regioni hanno adottato autonomi provvedimenti, al fine di limitare il movimento delle persone.
Nella “patria del diritto” è il colmo. Ritardi, sovrapposizione di norme, molte delle quali arrivano con evidente ritardo in un crescendo che dimostra almeno due cose, che bisogna ripensare la distribuzione delle attribuzioni e delle competenze in materia di emergenze sanitarie, e che sarebbe stato necessario provvedere prima, molto prima, al blocco delle attività non essenziali ed a stabilire il divieto “a tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi, con mezzi di trasporto pubblici o privati, in un comune diverso rispetto a quello in cui attualmente si trovano, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute” (art. 1, lettera b) del dPCM 22 marzo 2020), per evitare alle persone di spostarsi da zone ad alta diffusione dell’infezione verso altre almeno parzialmente immuni, con effetto di portare il contagio in giro per l’Italia.
L’esempio più eclatante della confusione che regna a Palazzo Chigi e dintorni ce lo dà il modulo della dichiarazione di responsabilità in ordine alle “comprovate esigenze” di spostarsi. Siamo alla quarta versione! Si tratta solo di un modulo, di un semplice modulo. Il solito spiritoso su Whatsapp ha suggerito un apposito raccoglitore perché è probabile che il quarto modulo non sarà neppure l’ultimo.