di Francesco Saverio Pasquetti

( tratto da: IN CITTÀ SABATO SCORSO L'AVV. ALESSANDRO SACCHI, PRESIDENTE DELL'UNIONE MONARCHICA ITALIANA | FORMAT RIETI )

Una lettura diversa della storia italiana, dal 1848 sino ai giorni nostri. Questo è stato il senso dell'incontro, introdotto dal saluto ai presenti del presidente del consiglio comunale Claudio Valentini, di sabato mattina presso la sala consiliare del comune e di cui si è fatto promotore il consigliere comunale Alessio Angelucci. Da sempre appassionato nello studio e nell'approfondimento delle tradizioni monarchiche internazionali ed europee in particolare, Angelucci ha invitato l'avv. Alessandro Sacchi, attuale presidente nazionale dell'U.M.I. - Unione Monarchica Italiana – associazione che oggi conta più di 80.000 iscritti, a tenere un'interessante dissertazione che ha visto coinvolta, fra i numerosi presenti, una seconda liceo del ginnasio “Marco Terenzio Varrone” cittadino.  Sacchi, Avvocato civilista, è nato a Napoli, dove vive e lavora e dal 2012 è presidente dell'U.M.I.. Da allora gira l'Italia al fine di sostenere un visione “altra” della storia nazionale ed, in particolare, di quella unitaria, assegnando nella sua lettura storica notevoli meriti alla dinastia Savoia. Da operatore del diritto (“quali siamo noi avvocati – ci tiene a precisare, nicchiando – i giuristi sono i magistrati”) il punto di partenza è quello dei moti rivoluzionari della prima metà dell'800 e la concessione, da parte di quelle che vennero definite “monarchie illuminate”, dei vari statuti sparsi per mezza europa. Fra essi, lo statuto albertino, che i Savoia – a differenza delle altre monarchie, che poi li revocarono in blocco - difesero strenuamente nonostante la debacle della battaglia di Novara del 1848 e la richiesta esplicita dell'Austria all'allora re Vittorio Emanuele II di abrogarla. Da lì al 1861, il passo è breve: senza citare il conte di Cavour – convitato di pietra da sempre ritenuto fautore fondamentale del processo unitario – Sacchi pone l'accento sulla figura di Garibaldi, sul suo straordinario carisma, sulle sue capacità militari (“Lincoln lo contattò per affidargli l'esercito nella guerra civile contro i Confederati, ma egli rifiutò: <<la mia spada serve all'Italia>> disse”; così, in un inciso, Sacchi). Un personaggio in grado, su incarico della monarchia sabauda, dopo soli 13 anni dalla disfatta novarese di dare un apporto decisivo a quel processo unitario che dovette tuttavia attendere la disfatta francese nella guerra con la Prussia del 1871 per conoscere la presa di Roma e la designazione della città eterna quale capitale d' Italia. L'affascinante excursus condotto con istrionica abilita oratoria dal presidente Sacchi si arricchisce così di aneddoti per larga parte inediti circa il prosieguo di un iter di unificazione che, a detta dell'avvocato partenopeo, conosce con la Grande Guerra il suo definitivo completamento, dovuto in gran parte alla scelta coraggiosa dell'allora monarca sabaudo di affidare il proprio esercito ad un generale napoletano quale Armando Diaz. Questi conduce il paese alla vittoria, quella che oggi “purtroppo non è più festeggiata” - aggiunge con amarezza Sacchi, ponendo l'accento sul 4 novembre quale data veramente unitiva per tutti gli italiani, per poi aggiungere: “strano paese, il nostro: uno straniero che giunge oggi da noi potrebbe arrivare alla conclusione che l'Italia abbia perso la prima guerra mondiale e vinto la prima!”. I momenti più controversi, incalzato anche da alcune domande sul tema, giungono sul rapporto con il fascismo e con Mussolini, con particolare riferimento alla marcia su Roma, alle leggi razziali e all'8 settembre. Gioca sulla difensiva, Sacchi, tornando nell'occasione con abilità “forense” a parlare dello statuto albertino all'epoca vigente ed alla sua natura giuridica “flessibile” più volte modificata soprattutto durante il Ventennio e questo - evidenzia - a svantaggio delle facoltà dei regnanti. Poi l'affondo più ficcante, quello sul referendum “monarchia – repubblica”, per il presidente UMI vinto in realtà dalla prima sulla seconda ma "manovrato" affinchè il risultato fosse esattamente l'opposto. “E se avesse vinto la monarchia” - domanda qualcuno -  “cosa sarebbe cambiato?”. “Moltissimo”, sostiene Sacchi, riprendendo al proposito numerosi esempi che dall'ultimo conflitto ad oggi hanno riguardato il ruolo delle monarchie europee nei rispettivi paesi. Gli esempi hanno toccato i regnanti olandesi, quelli belgi (“il Belgio è stato due anni senza governo, ma nessuno si è preoccuparo perchè il re era il garante delle istituzioni” dice), la Spagna ed, infine, la dinastia britannica, con l'inevitabile omaggio ad Elisabetta II, autentico gigante, ha sottolineato, della storia europea e mondiale degli ultimi settant'anni. E qui, sul ruolo del monarca, l'ultimo affondo al sistema “repubblica” italiano: “a noi – ha concluso Sacchi – manca quel ruolo di arbitro imparziale e di prestigio che i regnanti esercitano nelle altre monarchie istituzionali e che a noi non appartiene, visto che il nostro “presidente / arbitro” è comunque, inevitabilmente espressione di una parte politica e di una maggioranza parlamentare, per quanto ampia e qualificata”.