di Giuseppe Basini
Tutto deve essere vietato, tranne ciò che dev’essere obbligatorio. Di legge e di fatto. Questa sembra la tendenza in atto in questo primo scorcio di secolo. I diritti personali, i soli – ricordiamolo sempre – davvero di tutti e per tutti, sono sempre più minacciati e questa pare oggi essere la prospettiva di molti Stati, anche in quello che una volta era l’Occidente libero. Naturalmente agli occhi dei liberali classici (che hanno ben poco a che spartire con i “liberal”, spesso solo socialdemocratici tartufi) la tendenza non può che apparire molto pericolosa per le nostre libertà, ma forse è perfino peggio di quanto sembri. Un atteggiamento mentale molto diffuso è infatti quello di considerare le società moderne, basate su modelli in linea di massima democratici volti a realizzare uno stato di diritto, come un decisivo passo in avanti nella qualità e dignità della vita rispetto alle società antiche, quasi sempre prive di diritti individuali garantiti. Del pari il senso comune tende in Occidente a considerare i moderni Stati totalitari come una riedizione attuale delle antiche civiltà assolutiste, traendone una convinzione tutto sommato consolatoria, dato che gli Stati totalitari, dove esistono, sarebbero in fondo una cosa con cui gli uomini erano già abituati a convivere. Tale atteggiamento è basato sul semplice confronto formale tra le leggi arbitrarie degli antichi Stati e le costituzioni delle moderne nazioni, tra lo “status” giuridico dell’assoggettato, servo della gleba o schiavo, con quello del cittadino. È chiaro che su queste premesse, tra l’essere considerato praticamente proprietà del dominus o l’essere un uomo libero e fonte teorica prima della legittimità del potere, nessun dubbio è possibile, il salto di qualità sarebbe veramente enorme e bisogna consentire con tale opinione dominante. Se però si passa da un’analisi solo formale delle società e degli Stati, ad una sostanziale (che tenga conto cioè delle vere condizioni in cui queste società funzionavano e funzionano) le cose cambiano radicalmente. Pensiamo a un contadino lombardo nell’Europa dominata dagli Ottoni Tedeschi attorno al Mille, in teoria egli era un servo della gleba, legato alla terra proprietà del suo signore e, da lì risalendo, dell’imperatore, in una società organizzata a piramide in cui i ruoli erano rigidamente fissati astraendo completamente dal principio di libertà, nella pratica però l’oppressione effettiva che questa gerarchia esercitava sui singoli era drasticamente limitata da due fattori: l’estrema limitatezza delle strutture tecniche e la grande scarsità di popolazione. Di fatto il contadino di cui si parlava non aveva, tranne che in caso di guerra nella propria regione, nessuna interazione anche indiretta con il monarca assoluto (di cui anzi talvolta ignorava perfino l’esistenza). Non esistendo strumenti di comunicazione di massa come posta, radio, giornali, internet, era assai poco influenzato dall’alto, non esistendo una polizia centralizzata, schedari, organizzazioni collettive, tutto il suo rapporto con il potere si esauriva nel rapporto di dipendenza con il signorotto locale e con il prete (talvolta coincidenti), rapporto che consisteva poi, nell’essenziale, nell’andare a chiedere favori se il signore era magnanimo o nel farsi notare il meno possibile se era avido e prepotente. In un’epoca in cui il concetto di libertà personale come diritto innato era sconosciuto ai più, essa era vista come un problema esclusivamente connesso con la personalità del signore feudale, venendo a dipendere dalla buona volontà di quest’ultimo, che, quasi sempre, non aveva una cultura molto superiore ai suoi soggetti. Inoltre l’assenza di possibilità tecniche, quali quelle cui noi siamo abituati, aveva come logico corollario l’assenza dei bisogni che da esse sono scaturiti, senza mezzi di locomozione veloci e strade rapide aveva assai meno significato la libertà di circolazione, senza stampa la libertà di espressione aveva un significato solo formalmente uguale all’odierno e l’assenza di significative concentrazioni di cittadini rendeva quasi inesistente la spinta verso l’associazionismo politico. Il secondo e principale motivo, per cui un Europeo appartenente ai ceti popolari non poteva risentire molto, in concreto, della struttura autoritaria della società feudale, era la grande scarsità della popolazione. In un’epoca in cui le città erano niente più che grossi borghi, la maggior parte della popolazione viveva in campagna o in piccoli paesi sperduti tra monti e foreste, dove le persone erano poche e non ingeneravano quella sensazione di soffocamento che si prova quando si ha a che fare con moltitudini di esseri spesso desiderosi di fare le stesse cose (e talvolta allo stesso momento) e dove scarse erano le probabilità di incontrare qualcuno che non fosse conosciuto da anni. La vita aveva così il ritmo familiare delle cose legate alla terra e ad una ristretta cerchia di persone e l’uomo non correva il pericolo di smarrire la sua identità nella massa anonima. In altre parole il sistema autoritario era in buona parte vanificato dalle condizioni reali che assicuravano, pur senza la garanzia delle leggi scritte, un certo limitato, ma effettivo, grado di autonomia e libertà. Oggi invece la situazione è radicalmente cambiata e l’imponenza dei mezzi a disposizione dei governi può rendere concreto ogni disegno liberticida. Posti di blocco, controlli d’identità, schedature, anagrafi, polizie centralizzate, armi sofisticate, droni, lo Stato collettivista ha trasformato grandi scoperte tecniche in strumenti attraverso i quali la volontà del Tiranno e dei suoi rappresentanti, può effettivamente essere trasmessa dal vertice alla base, fino a regolare rigidamente la vita di ogni singolo cittadino, fino a spiare, giudicare, soffocare e punire ogni comportamento deviante. Radio, televisione di Stato, grandi network, ammaestramento scolastico, sono tutti canali attraverso i quali, se sapientemente orientati, può essere più facilmente ottenuto l’ottundimento delle coscienze, la scomparsa del senso critico e l’acquisizione di un consenso totalitario e massificante. In questo modo la tecnica ha enormemente modificato la situazione esistente all’epoca degli Ottoni. Del pari l’enorme aumento della popolazione e l’urbanesimo hanno fatto sì che l’uomo non si trovi più a vivere la sua vita in agglomerati di poche persone, ma al contrario si trovi in costante contatto con un grande numero di persone all’interno delle strutture di massa (città, fabbriche, uffici, trasporti) e che la collettività giochi nei suoi confronti un ruolo molto più decisivo che nel passato, obbligandolo a seguire determinate regole e moduli di comportamento, senza che egli abbia più la possibilità, che conservava nel passato, di usufruire di fatto di un suo spazio privato per vivere e in cui potere, assieme a poche persone, seguire proprie regole. Come si vede il problema di avere delle libertà riconosciute e statuite in modo formale appare assai più importante in una società moderna, in cui la tecnica rende il potere effettivo, che in quelle antiche e ciò mette in crisi la riposante convinzione di un generale progresso verso forme di società più civili, in quanto l’evoluzione verso forme statuali garantiste e democratiche è forse riuscita a mantenere un’uguale spazio di libertà per le persone e non come in genere si crede, ad aumentarlo. Si potrebbe anzi aggiungere che, storicamente, molte evoluzioni in senso liberal-garantista sono state determinate proprio dal presentarsi di nuove esigenze create dal progresso tecnico. L’assoluta esigenza di una struttura democratica del potere si è presentata nella storia nel momento in cui lo Stato diveniva in grado di costringere davvero il singolo, la diffusione dell’istruzione nel momento in cui diveniva indispensabile per vivere in società, la divisione dei poteri nel momento in cui gli strumenti dell’esecutivo divenivano troppo potenti, la libertà di stampa nel momento in cui diveniva strumento principe di comunicazione e persuasione. In questa visione, però, i Paesi retti oggi con un sistema totalitario, non sarebbero più dunque solo la riedizione moderna di un vecchio e tragico sistema di governo, ma, per la possibilità di rendere molto più efficace e di tutti i giorni la loro tirannia, un vero e radicale peggioramento. Insomma, sulla base del ragionamento svolto, si può affermare che il problema della tirannide assume ai giorni nostri un rilievo ben maggiore che in passato e inoltre non riguarda più solo le dittature conclamate, ma anche tante pseudo democrazie o “democrature”, che riducono le elezioni a un rito formale utile per mascherare con una democrazia finta una perdita di libertà personale vera. Le grandi potenze militari potrebbero trascinare oggi in una distruzione di massa praticamente immediata le loro intere popolazioni e quelle di tutti i Paesi loro assoggettati e, per questi ultimi, senza che nemmeno i loro governi ne avessero reale e tempestiva coscienza, le grandi organizzazioni internazionali decidono e dispongono al di sopra di tutti e soprattutto al di sopra di ogni reale principio democratico, mentre le multinazionali (e oggi le più aggressive sono cinesi) il problema non se lo pongono neppure, provano a imporre e basta. Gli Stati e i loro governi, per recuperare parte del potere internazionalmente sottratto, accoppiano i peggiori difetti dello statalismo burocratico ad una mentalità profondamente illiberale che, in nome di principi sempre più collettivistici, si fa polizia interna volta ad indirizzare e standardizzare i costumi e i comportamenti attraverso l’esaltazione, come prima virtù civica, dell’obbedienza. “Portare tutto il popolo al governo di sé stesso” non viene più correttamente inteso come massimo possibile autogoverno di ognuno su se stesso e il proprio ambito, come dovrebbe essere in una società aperta, ma come delega totale in bianco ad una struttura, idealizzata come “tutti noi” quasi in maniera metafisica, chiamata Stato, mentre chi esiste veramente e cioè il governo e la sue burocrazie, impone a tutti i cittadini quelle che sono le volontà e gli interessi dei gruppi di potere organizzati (e la tendenza sembra quasi volersi estendere fino ad ipotizzare in prospettiva, l’incubo del Super Stato Mondiale). Ripetiamolo, ci danno una democrazia collettiva finta e per pochi, al posto di una libertà individuale vera e per tutti. Questa involuzione, in movimento sempre più avvertibile dai primi anni del Novecento, ha trovato una forte accelerazione nelle grandi guerre, con una distruzione di vite, legami, tradizioni, consuetudini, che, con la giustificazione della “necessità” ha reso più facile la spoliazione dell’autonomia delle persone, trasformate in docile carne da cannone (indipendentemente dalla “democraticità” dei regimi) e, a seguire, in cittadini meno indipendenti, come ad esempio con la progressiva de-monetizzazione dell’oro e le limitazioni al suo commercio, che hanno reso difficile sfuggire alle scelte esclusive delle banche centrali, divenute sempre più uniche padrone dei valori reali di ciò che uno porta in tasca (e oggi si vuole pure abolire il contante per “tracciarci” meglio). Tutte le crisi, vere o presunte, sono state recente causa e alibi di grave perdita di libertà personale, una libertà che solo nell’Ottocento era stata finalmente riconosciuta come un diritto naturale ed inalienabile e non come semplice concessione revocabile. L’enorme efficienza dei nuovi ritrovati tecnici e principalmente dei computer collegati in rete, ha poi permesso, ad un potere che non ha mai smesso di volersi considerare assoluto (e che tende addirittura ad affidarsi a ciechi algoritmi), di dirigere, condizionare e massificare i cittadini e di soddisfare questa volontà di dominio senza rinunciare alla produttività di un mercato formalmente aperto, portando come risultato ad una ibridazione tra tendenze totalizzanti che definisco, per provare a rispettare il significato delle parole, Capital-Comunismo. Contro il nuovo Leviatano Hobbesiano globale, sono sorte per fortuna delle resistenze spontanee, che potremmo definire come liberal-nazionali per la loro difesa dei diritti della persona e delle comunità, ma che non si sono ancora rivelate sufficientemente efficaci, perché sporadiche e non collegate tra loro. L’ironia dei tempi vuole che forze sorte per contrastare la globalizzazione massificatrice, debbano coalizzarsi internazionalmente tra loro per resistere davvero ad uno strapotere lontano e pervasivo, però si può fare, si può dar vita ad una “Internazionale della Libertà” in cui si possa uniti contenere la minaccia globale almeno nelle conseguenze più liberticide e poi ognuno padrone a casa sua in tutto ciò che sia possibile. Ancor più nel nostro continente, dove, così come partiti a chiara connotazione autonomistica hanno compreso che solo all’interno di una forte nazione possono sperare di difendere il focolare tradizionale, risulta anche evidente che è solo in un’Europa realmente federale e democratica (e difesa) che si possono salvaguardare le storie dei popoli che la compongono. Purché però si applichi un principio liberale di sussidiarietà, che l’Europa cioè non faccia ciò che possono fare le nazioni, queste non si sostituiscano ai poteri locali e che questi ultimi non ritengano di poter imporre, ai liberi cittadini e alle loro proprietà, regole e comportamenti assurdamente irreggimentati, spesso secondo mode o semplici opinioni personali di sindaci e mini governatori guappi, che, alla lunga, potrebbero innescare forme di disobbedienza civile alla Thoreau. E che le crisi, dalle guerre alle pandemie, non siano pretesto per il ritorno a poteri assoluti, come purtroppo sembra dato di vedere con il nuovo coronavirus. Il Covid-19 è una pericolosa malattia e come tale va trattata, non è un castigo di Dio per i nostri peccati e si cura aumentando i fondi e snellendo le procedure per la ricerca di vaccini e farmaci antivirali e insieme rafforzando i reparti di terapia intensiva, non con provvedimenti di polizia volti più a modificare i costumi criminalizzando i cittadini, che a prevenire realmente e questo tanto per far vedere che si fa qualcosa, quando invece si distrugge solo l’economia e la vita civile (oltre a trascurare di fatto tante altre gravi malattie). Mentre le statistiche, testarde, indicano una diffusione della pandemia, oltre che al 95 per cento asintomatica, largamente indipendente dai differenti tentativi di quarantena (pandemia virale, ricordiamolo, non batterica) e, anzi, in Europa, i Paesi più colpiti siano quelli che hanno segregato di più, si è però diffuso un comportamento imitativo intollerante, volto a criminalizzare brutalmente chi, virologo, politico, scienziato o cittadino comune, osi esprimere dei dubbi sulla via, più politica che sanitaria, finora seguita. Vorrebbero, per questa strada, espellere la morte dalla vita, ma così riusciranno solo ad espellere la vita dalla vita, riproponendo l’obbedienza come prima virtù civica al posto della libertà. Il presidente del Consiglio italiano, con aria paternalistica, è arrivato a dire che non pensa di mandare normalmente la polizia a controllare dentro le abitazioni private e ciò non è per niente rassicurante, ma è invece gravissimo, perché significa che, per ora se ne astiene, ma crede di averne un diritto che assolutamente non dovrebbe avere. Così come non avrebbe il diritto di governare esautorando il Parlamento, attraverso l’uso di decreti emergenziali della presidenza del Consiglio, in luogo di decreti legge, altrettanto rapidi, ma sottoposti però alla controfirma del presidente della Repubblica e al controllo del Parlamento. E questo non è nuovo, i regimi non hanno mai coltivato il dubbio, che pure è lo stimolo della Scienza e il sale della democrazia, ma hanno sempre cercato il “nemico del popolo” ed è questo che ha prodotto lo spaventoso costo umano delle dittature e oggi rischia fortemente di riproporsi dappertutto, se anche le democrazie divengono “democrature”, profittando dello spirito gregario di popolazioni incautamente terrorizzate. Può succedere, nelle vicende umane, che davvero si debba dar luogo, nelle dovute forme, a circoscritti provvedimenti restrittivi, ma per vera, assoluta e razionale necessità, non perché si consideri, alla fin fine, la libertà come cosa di poco o nessun conto. Sembrano voler vuotare il mare col cucchiaio, invece di fare navi più solide. La scienza, quella vera, che procede per dimostrazioni ed esperimenti e non per ipotesi urlate, troverà, il prima possibile, una cura efficace per la malattia, speriamo che, per allora, democrazia, libertà ed economia, non siano inutilmente morte. Contemporaneamente all’eclissi dei valori di libertà si assiste, da tempo, all’indebolimento di ogni ordine sociale basato su valori di competenza, cultura e tradizione, sostituito da una indifferenziata moltitudine anonima da cui non si emerge più per quella che una volta si chiamava “chiara fama”, ma per semplice notorietà, comunque ottenuta. Calciatori, rockstar, presentatrici, vallette, sono diventati i maître à penser dell’amplificatore mediatico, con grande seguito, ma senza giustificato prestigio. Il denaro, comunque accumulato e lo scandalismo, comunque praticato, diventano i principali segni di distinzione, mentre una diffusa ribellione contro le competenze e l’industriosità, viste come segno di diseguaglianza, tende a distruggere ogni ordinamento spontaneo e a produrre disgregazione, con il risultato che masse disordinate e fanatizzate ogni tanto si scatenano con furia iconoclasta contro ogni ordine non poliziescamente imposto, in una società di cui non rispettano più i simboli e la storia, arrivando a distruggere statue di Cristoforo Colombo o antichi Budda e portando, come risultato finale, alla sostituzione di una società organica, libera e responsabile, proprietaria dei suoi beni e indipendente, con uno “Stato organico”, accentratore, autoritario e spesso servo di istituzioni globalizzate. Anche le più belle conquiste della modernità, come la ricerca scientifica e la medicina, che per la prima volta nella storia hanno cominciato ad emancipare davvero l’uomo dalla fame, dalle malattie e dalla schiavitù indifesa verso il Fato, sono ormai sottoposte a censure ideologiche pregiudiziali da scalmanati inconsapevoli, che mitizzano una natura inabitata e odiano l’opera degli studiosi e dell’homo faber, urlatori che ai vaccini in fondo (e neanche tanto in fondo) preferiscono le segregazioni. Alla fine è sempre la libertà, così come avevamo imparato a conoscerla e a goderla in numero sempre crescente lungo l’arco di un secolo e mezzo, la libertà come diritto e non come concessione, la libertà come reale autogoverno, che rischia davvero di scomparire. La libertà per cui tanti, nei secoli, hanno dato la vita. Una libertà che sembriamo disposti a barattare con la pace, mentre, per questa via, perderemo la libertà ed avremo la guerra. Speriamo che il senso di se stessi (che chierici opportunisti, aspiranti autocrati e religiosi ottusi, chiamano egoismo), la razionalità e l’ottimismo, tornino ad imporsi, magari grazie ad una grande impresa che ci ridia il senso di avere ancora un futuro, come potrebbe essere forse l’espansione nello Spazio, per ritrovare il significato di una vita degna di essere vissuta, crescendo nella libertà. Nessuno sa quando e come ne usciremo, ma, che nel vaso di Pandora, ci sia almeno anche la Speranza.