DUE PAROLE SULLA RESISTENZA

di Giuseppe Borgioli

Alla vigilia del 25 aprile si ripetono le liturgie consuete. La retorica, gli inganni, le strumentalizzazioni di parte rende questa data fastidiosa a molti e lascia indifferenti la stragrande maggioranza degli Italiani, per i quali è un prolungamento vacanziero del ponte pasquale.

Solo la politica, quella ufficiale, si appassiona ancora a questa data e ci sommerge di cerimonie a cui non si sottraggono le “più alte cariche dello stato”, questa volta con l’eccezione di qualche ministro che non accetta di partecipare alla commedia degli inganni.

Ma la rappresentazione è vecchia. La lettura ufficiale degli avvenimenti di più di 70 anni fa non regge alla migliore ricostruzione storiografica, il copione è scontato. I giovani, quelli veri e ruspanti disertano non solo per cattiva volontà le commemorazioni spesso patetiche che si svolgono nelle piazze d’Italia.

Chi manifesta ha nelle mente più facilmente il bersaglio di Salvini che il tema di cosa veramente accadde, della tragedia che attraversò il popolo italiano. La guerra civile, il dolore delle famiglie, il regolamento impietoso dei conti.

Eppure, una lezione la possiamo fare nostra. Il fascismo non fu lo stato.

Lo stato fu il Re. E molti Italiani, la parte migliore, nel momento della scelta cruciale non esitò a riconoscersi nel Re. Combattuti da due fuochi si ritrovarono a rigettare la dittatura del partito unico e nello stesso tempo contrastarono con le loro povere forze la nascente dittatura dei partiti. Fu una posizione eroica che le commemorazioni ufficiali hanno sempre negato o ignorato.

Questa minoranza ha riscattato l’onore nazionale, sia sul piano militare che sul piano spirituale.

I molti che sono stati dietro la finestra o si sono piegati al servaggio dei partiti devono a questa minoranza se possono parlare a testa alta di lotta per la libertà.

Il Re ha incarnato questa tradizione per la semplice ragione che  non deve nulla ai partiti, né al fascismo né all’antifascismo. Il Re non è scelto dai partiti, è il frutto della storia. Scusate se è poco.