Il realismo degli idealisti
di Giuseppe Borgioli
Sono molto grato alla presidenza dell’UMI per il comunicato che ha tempestivamente diramato sulla drammatica condizione dei Curdi in Siria sterminati dalle truppe turche di Erdogan, abbiamo ancora negli occhi le terribili immagini di un popolo in fuga. Con donne e bambini che la furia della guerra non risparmia. Non si può rimanere inermi di fronte a un simile spettacolo. Il “cessate il fuoco” annunciato ( e già infranto) purtroppo non è il viatico a una soluzione pacifica e stabile. Il medio oriente, un’area già precaria sotto il profilo degli equilibri politici, viene così a fare i conti con un altro conflitto che semina morte e disperazione. E’ stato ribadito che lo stesso embargo della armi alla Turchia non è retroattivo e quindi non è efficace. Intanto la Turchia fa parte della NATO e questa situazione per le implicazioni che presenta non può non interessare il consiglio dell’alleanza di cui quest’anno celebriamo il70 anniversario. Gli alleati – inclusi gli Stati Uniti - non possono voltarsi dall’altra parte e far finta di non vedere. La storia insegna che il realismo politico è in casi come questi il miglior supporto all’idealismo delle giuste cause. Realismo politico vuol dire guardare in faccia la realtà e non limitarsi alla proclamazioni ideali. Il destino dei Curdi non ha molto a che fare con il PKK (il partito comunista curdo di Ocalan) e richiede un intervento sia nell’ambito più ristretto della Nato e sia in quello più largo dell’ONU. I Curdi sono un popolo di circa 26 milioni sparsi fra il territori della Turchia, della Siria, dell’Iran e dell’Iraq. Fra di loro, i Curdi non sono concordi sul loro futuro, anzi sono spesso in conflitto. Ipotizzare uno stato curdo aprirebbe un altro focolaio non più esterno ma interno la comunità curda. In più dovremo aver imparato dalla storia cosa comporta dar vita ad uno stato, con nazionalità incerte, a tavolino. Iugoslavia. Israele e via dicendo stanno a dimostrare che la politica di disegnare nuovi stati tracciando linee rette sulle mappe geografiche (come facevano i coloni inglesi e francesi) non regge la prova dei fatti, della convivenza fra gruppi etnici appartenenti a storie e a stili di vita diversi. Se il Kurdistan diventasse l’ennesimo aborto di nazione sarebbe un focolaio di guerra in una regione compromessa dalle linee trasversali di confini stabiliti da volenterosi senza un richiamo alla realtà. E’ giusto ( e possibile) che i Curdi trovino la loro autonomia salvaguardata da precisi accordi internazionali all’interno dei confini dati. Rispetto ovunque della minoranze curde e impegno della comunità internazionale a garantire la loro autonomia decisionale e amministrativa. Ma il progetto sull’Iraq bandito dagli Americani prima del conflitto contro Sadam Hussein non era improntato alla creazione di uno stato federale con le varie comunità partecipi degli stessi diritti e doveri? Che ne è stato di quell’ ambizioso progetto? Dimenticavo, l’Iraq e strategico …e c’è anche il petrolio. Le divisioni politiche, religiose ed etniche all’ interno degli stati arabi ( peraltro proprio quelli con una configurazione artificiale) faranno di una inedita forma di federalismo ancora da inventare la chiave per far convivere in pace gruppi diversi entro la cornice della medesima statualità. Stato e nazione è l’enigma di sempre. Il medio oriente di Lawrence d’Arabia può essere il vulcano che provoca l’esplosione del terzo conflitto mondiale ma può anche diventare il modello di convivenza fra tribù nomadi e stanziali, sciiti e sunniti. magari sotto l’egida di monarche federali come per esempio il Marocco. E’ il sogno di un realista? Forse è il nostro ritorno al futuro.