Parola di Re

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L'UMI è istituita per raccogliere e guidare tutti i monarchici, senza esclusioni, al fine di ricomporre in sè quella concordia discors che è una delle ragioni d'essere della Monarchia e condizione di ogni progresso politico e sociale. Suo compito non è la partecipazione diretta alla lotta politica dei partiti, ma la affermazione e la difesa degli ideali supremi di Patria e libertà, che la mia casa rappresenta.


(Umberto II - 1956)

di Paolo Albi

“Non punibile” ai sensi dello Statuto Albertino, vigente all'epoca dei fatti: questa la sentenza  del processo a Vittorio Emanuele III per ipotizzata responsabilità nella emanazione delle famigerate leggi razziali del 1938,  svoltosi, sia pure come spettacolo (regista Angelo Bucarelli) ma in guisa molto seria, all' Auditorium di Roma.

Corte presieduta da Paola Severino, giudici a latere Ayala e Spina, accusatore Marco de Paolis e avvocato di parte civile Giorgio Sacerdoti (“chiediamo la condanna alla damnatio memoriae”), autodifesa (“solo rimasi in quei terribili momenti e solo ritengo di dovermi difendere oggi”) di S.M. il Re impersonato da un lucidissimo Umberto Ambrosoli.

Autodifesa tecnicamente impeccabile (natura flessibile e non rigida dello Statuto Albertino; limitati poteri di vaglio del Re, confinati alla mera correttezza dell'iter procedurale) e politicamente autentica e commossa (l'amicizia tra la Casa Reale e gli ebrei italiani; il ruolo importante degli ebrei nel Risorgimento e al governo del Paese fino al 1938; il conflitto sotterraneo con un Mussolini vieppiù insofferente del ruolo equilibratore e moderatore della Corona; la presenza dell'esercito di Hitler ai confini, pronto a dar man forte militare al Duce contro il Re e le preoccupazioni per le efferatezze che avrebbero potuto conseguirne sin da subito, come poi avvenne a partire dal 1943, per il popolo italiano e per le comunità ebraiche).

Il Re-Ambrosoli non ha ritenuto ovviamente di doversi difendere incolpando il proprio popolo, ma è verità storica che in quel dramma Egli fu lasciato davvero solo: quasi niuna voce si levò da parlamentari e intellettuali e anzi molti cattedratici si acconciarono volentieri nei posti lasciati liberi dai professori ebrei, la  stessa Chiesa fu silente, il consenso dell'opinione pubblica al regime rimase plebiscitario.

Permangono ovviamente, al di là e al di sopra delle singole responsabilità, la condanna inappellabile per l' inumane leggi e il peso del giudizio della  Storia su quelle vicende.

Momenti toccanti della serata sono stati pure le rievocazioni documentarie di un antico vincolo tra la Dinastia e le comunità ebraiche italiane: dai diritti civili riconosciuti il 29 marzo 1848 da Carlo Alberto, ai diritti politici immediatamente concessi - fatta Roma Capitale - da Vittorio Emanuele II agli ebrei romani in uno con la determinazione di costruire la Sinagoga, sino alla  affettuosa e partecipe visita inaugurale alla medesima di Vittorio Emanuele III il 2 luglio 1904.

Un legame e una solidarietà che per i monarchici italiani non sono in discussione.