di Gaspare Battistuzzo Cremonini
La civiltà del duello
Nei mesi scorsi abbiamo assistito alla nascita di una nuova campagna denominata Odiare ti costa e volta, secondo i suoi organizzatori (tutti, pressappoco, riconducibili alla galassia del mondo liberal), a colpire gli ‘odiatori seriali’ o i ‘leoni da tastiera’, secondo le nuove denominazioni in uso: insomma coloro che scatenerebbero la loro ira trincerandosi dietro ad un computer o all’anonimato dei social.
Questa campagna, per quanto motivata dalle migliori intenzioni, disvela in modo plateale uno dei gravi problemi identitari che caratterizzano le comunità del capitale postmoderno: il passaggio dalla società dei soldati eroi a quella dei banchieri avvocati. ‘Con l’eliminazione del diritto del più forte si è introdotto il diritto del più furbo’, diceva Schopenhauer, e vien da credergli, magari semplicemente sostituendo a quel ‘più furbo’ un ‘più ricco’ (che poi in fondo spesso è la medesima cosa).
La frase del filosofo tedesco ci dice però che non è sempre stato così. Non si ricorreva sempre a tribunali, avvocati e denaro sonante per risolvere le contese che animavano le vite dei nostri avi, a torto troppo spesso considerate monotone.
E’ il 20 luglio del 1950 e il giovane Oscar Luigi Scalfaro, già in odore di buona carriera democristiana anche se non ancora di santità presidenziale, sta pranzando con amici nel ristorante romano ‘Da Chiarina’. Di colpo si alza e si dirige verso una signora che mostra le spalle nude (si è tolta un prendisole) e ne nasce un alterco tra lei e lui, col futuro Presidente che la rimprovera – secondo le ricostruzioni, - per la dubbia moralità mostrata nel porgere le spalle nude ai commensali.
Scalfaro cade male perché la signora è moglie di militare e figlia di alto ufficiale: il politico democristiano riceve un cartello di sfida a duello da entrambi nonché, infine, dalla stessa donna, valente schermitrice. Il futuro Presidente declina i cartelli di sfida (ma senza scusarsi, come avrebbe voluto il Codice) asserendo che la sua morale cristiana gli impedisce di accettare un duello: persino Totò però lo rimprovera, con una lettera aperta ad un giornale, pagando poi, si dice, l’ira dello Scalfaro quando questi diviene capo della Commissione Censura Cinematografica.
Lo ‘scandalo del prendisole’ tenne banco sui giornali ed in Parlamento per settimane, con i cattolici che difendevano l’operato di Scalfaro e i laici, di destra soprattutto ma anche di sinistra, che lo censuravano per via dello scarso coraggio dimostrato e lo tacciavano di fellonia. La vicenda infine si concluse, più o meno, con una vertenza legale e non se ne seppe più nulla.
Certo Scalfaro rappresenta benissimo il già citato passaggio dalla società epico-eroica alla società borghese-prosastica, dove nulla si vuol rischiare ed in cui più volentieri si paga il riscatto dell’onore col denaro piuttosto che con la vita.
Eppure di duelli famosi ce ne furono, letterari e non, italiani e non. Quello letterario più famoso, tralasciando magari la Disfida di Barletta immortalata nell’ Ettore Fieramosca del D’Azeglio, resta sicuramente quello tragico dell’Onegin di Puŝkin. Di quelli invece reali, val la pena ricordarne uno in cui noi italiani facemmo bella figura: avvenne il 15 agosto 1897, nei pressi di Versailles, e vide vincitore Vittorio Emanuele di Savoia-Aosta, il Conte di Torino, cugino del Re d’Italia, sul principe Henri d’Orléans, reo d’aver infamato la reputazione dei soldati italiani, reduci dalla disfatta di Adua, sulle colonne del Figaro.
Duelli ne fecero Benito Mussolini, Raimondo Lanza di Trabia, Felice Cavallotti, Giuseppe Ungaretti, Marcel Proust, Lev Tolstoj ma anche donne, come testimonia il celebre caso della contessa di Polignac e della marchesa di Nesle, che si contendevano i favori d’un aristocratico amante.
Pensiamo soltanto a quante volte, anche in televisione o sui giornali, sentiamo politici o personaggi noti in genere che si lanciano offese le peggiori, come fossero acqua fresca, come si giocasse ‘a chi la spara più grossa’ e nulla avesse davvero valore; poi, appena conclusa la trasmissione, tutti a telefonare al proprio avvocato per intentare le solite cause per diffamazione delegando la difesa del proprio onore a qualche burocrate con carte bollate e tasse di registro.
Quanto sarebbe più utile far risorgere il duello d’onore! Non già per far spargere più sangue ma, al contrario, per insegnare alle persone a misurare le parole: se offendere ti potesse costare la vita o perlomeno una sonora ammaccatura, oltre che l’umiliazione d’aver perduto una tenzone, di certo chiunque starebbe assai attento prima di lanciarsi in affermazioni azzardate.
Del resto, per i più pavidi, il Codice del Duello ha sempre previsto la possibilità di scusarsi con educazione e di scampare la spada o la pistola.