Parola di Re

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L'UMI è istituita per raccogliere e guidare tutti i monarchici, senza esclusioni, al fine di ricomporre in sè quella concordia discors che è una delle ragioni d'essere della Monarchia e condizione di ogni progresso politico e sociale. Suo compito non è la partecipazione diretta alla lotta politica dei partiti, ma la affermazione e la difesa degli ideali supremi di Patria e libertà, che la mia casa rappresenta.


(Umberto II - 1956)

di Giuseppe Borgioli

L’annuncio del presidente Trump di spostare la sede dell’ambasciata americana a Gerusalemme ha sconvolto il medio oriente e la diplomazia (ufficiale e informale) si e’ messa al lavoro per scongiurare l’evento o ridurre  l’impatto delle conseguenze . Eppure la decisione di Trump era gia’ nota nel suo programma presidenziale e il congresso americano ha da vent’anni approvato la risoluzione di considerare a tutti gli effetti Gerusalemme come capitale di Israele.

 

Dov’e’  la novita’?  Trump sembra prendere sul serio le promesse elettorali e semmai questo comportamento va a disdoro di quei politici che le promesse elettorali le considerano come flatus vocis.

Che la natura della citta’ di Gerusalemme sia tale da andare oltre i confini di uno stato nazionale e’ opinione condivisa da tutti. Si potrebbe dire di Gerusalemme quelle lo storico Teodoro Mommsen disse di Roma all’indomani di Porta Pia come monito al nuovo Regno d’Italia:  si resta a Roma solo con una idea universale!

Gerusalemme, il luogo delle tre grandi religioni monoteiste,  sta stretta nei panni di territorio conteso da arabi e israeliani’.  La sua vocazione e’ diversa e non riducibile al ruolo di semplice capitale di uno stato.

Quello che accadra’ nelle prossime settimana dipendera’ in parte dalla capacita’ dei capi politici di accettare questa realta’.

Gerusalemme ha bisogno di uno status speciale che sancisca il suo respiro universale. Puo’ rimanere la capitale politica e amministrativa dello stato dì Israele a condizione di non rinnegare il suoi 5000 anni di storia.

Questa e’ la sfida che sta di fronte Netanyau. Una sfida di portata storica perche non e’ solo in gioco la pace in una delle aree piu’ turbolenti del mondo. E’ in gioco la missione di Israele e la sua sicurezza territoriale. Come molti ricorderanno la guerra dei sei giorni del 1967 scoppio’ in seguito alle minacce (molto concrete) del premier egiziano Nasser che in nome del suo imperialismo espansionista si riprometteva di “buttare gli israeliani in mare” e se questo disegno non fu portato a termine fu grazie alla superiorita’ militare israeliana.

Se oggi Israele guarda ai territori in funzione delle sua sicurezza come non condividere questa preoccupazione?

Difendersi rispettando il carattere sacro delle citta’ di Gerusalemme. Questo e’ il compito di Netanyau che ha da  tenere a mente la lezione dei suoi predecessori’ a cominciare da Ben Gurion che declino’ sempre fermezza e dialogo.

La sicurezza di Israele e’ anche affidata ad un sistema di alleanze con i suoi vicini  per rompere

l’ accerchiamento. Nel panorama del medio oriente andrebbe considerata con attenzione  la figura del Re di Giordania Abd Allah II, amico degli Stati Uniti e dell’occidente, che si trova in una posizione difficile e che potrebbe essere  tentato di cavalcare la tigre del radicalismo.

Se Stati Uniti e Israele avranno l’intelligenza di considerare attentamente la partita che stanno giocando ne avranno un vantaggio strategico che rendera’ meno turbolenta quell’area cosi’  pericolosamente vicina all’Italia.

Lasciamo stare l’unione Europea perche’ anche stavolta brilla per la banalita’ delle dichiarazione e gli interessi egoistici dei singoli stati membri. Predicano bene e razzolano male.