"Identità e cittadinanza", un contributo di Salvatore Sfrecola
Il dibattito, in Parlamento e nel Paese,haassunto assai spesso i toni di uno scontro sui valori fondanti della democrazia, quelli che costituiscono in qualche modo l’identità di uno Stato. E ciò perché il disegno di legge n. 2092, all’esame del Senato,recante “Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, e altre disposizioni in materia di cittadinanza”, divide profondamente, e non soltanto per motivi di merito.
C’è, infatti, in primo luogo, un tema di legittimazione del Parlamento chiamato a decidere. Una questione di regole della democrazia parlamentare, anzi della democrazia tout court,che non può essere accantonato con un’alzata di spalle come si continua a fare dal 2014, da quando, cioè, con la sentenza n. 1 del 2014, la Corte costituzionale ha dichiarato in contrasto con la Carta fondamentale dello Stato la legge elettorale sulla base della quale deputati e senatori sono stati eletti nel 2013.
Il Parlamento avrebbe dovuto chiudere le porte il giorno dopo. Sennonché, per evitare la paralisi delle assemblee legislative, la Consultane ha riconosciuto la sopravvivenza, tuttavia entro limiti rigorosi, esplicitamente individuati nell’esercizio degli affari di ordinaria amministrazione, in primo luogo nella stesura di una nuova legge elettorale per tornare a votare. Sennonché, la maggioranza,con l’avallo del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che,in ragione del suo ruolo “di controllo e di garanzia costituzionale”, ai sensi dell’art. 87 della Costituzione, avrebbe dovuto presidiare il rispetto della sentenza della Corte costituzionale,ha continuato, come nulla fosse. Ha approvato una riforma costituzionale bocciata dagli elettori nel referendum del 4 dicembre 2016, ha approvato, a colpi di mozioni di fiducia, una nuova legge elettorale, l’Italicum, dichiarato incostituzionale dalla Consulta. E adesso, su iniziativa degli stessi partiti, si appresta a modificare, alla vigilia delle elezioni, la legge sulla cittadinanza, una normativa la quale attiene ad uno degli “elementi dello Stato”, come si esprimono i libri di diritto pubblico nel ripartire la materia.
Nel merito, poi, va detto a chiare lettere che la disciplina della cittadinanzanon è una legge qualunque, perché l’essere cittadino non è un fatto formale, burocratico, come si sente dire,ma il riconoscimento dell’appartenenza ad un contesto culturale, il che vuol dire a valori, in primo luogo a quelli indicati nella Costituzione: principi fondamentali, nei rapporti civili, economici e politici che fanno dell’Italia un Paese nel quale lo Stato “riconosce e garantisce i diritti inviolabili, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” (art. 2), per cui tutti i cittadini “hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge” (art. 3), assicura la libertà dei culti (art. 8), la libertà personale (art. 13), del domicilio (art. 14), della corrispondenza (art. 16), di riunione (art. 17), di associazione (art. 18), di manifestazione del pensiero (art. 21) e via dicendo. Diritti, ma anche doveri, di cui uno “sacro”, come “la difesa della Patria” (art. 52),la fedeltà alla Costituzione e alle leggi (art. 54). Una somma di “regole della democrazia e della convivenza”, che identificano la storia e l’essere di un popolo che, pertanto, è tale e si qualifica come italiano. Quel popolo in nome del quale i giudici amministrano la Giustizia (art. 101, Cost.). La cittadinanza lo certifica, in Italia, come ovunque nel mondo. E se è naturale che il figlio di cittadini sia egli stesso cittadino ovunque nasca, chi non si trova in questa condizione, se desidera diventare cittadino italiano, deve chiederlo e dare dimostrazione di possedere i requisiti previsti dalla legge. La cittadinanza, in sostanza, consegue all’accertamento di una condizione che è innanzitutto morale, che presuppone la condivisione di valori civili e spirituali, quelli che individuano l’identità di un popolo come si è formata nella sua storia lungo i secoli, le sue tradizioni. Questo significa la Patria Italiana.
Nell’antica Roma,accogliete nei confronti di tutti, la cittadinanza era un privilegio. Poter dire civis romanus sum riempiva di orgoglio ed attestava la condivisione di un’appartenenza ad un ordinamento e ad una storia.
Secondo i promotori le nuove sono regole “di civiltà”. Sennonché si tratta all’evidenza di una legge “politica”, non nel senso nobile di una scelta destinata ad assolvere alle esigenze primarie della polis, ma di una legge a scopi elettorali, di basso interesse elettorale. “Chi la sostiene – ha scritto il politologo Alessandro Campi - immagina un mondo nel quale le frontiere siano destinate un giorno a scomparire. Ritiene che gli uomini siano per definizione esseri nomadi e pendolari. Le appartenenze, statuali o nazionali, a loro volta sono viste come qualcosa di fittizio e convenzionale.
Siamo di fronte evidentemente a due contrapposte concezioni dello Stato e della società.
Ecco perché la proposta scalda gli animi. Anche perché si colgono segnali che negano la nostra identità. Abbiamo notizie di scuole dove non si festeggia più il Natale o la Pasqua per non dispiacere ai musulmani, per rispetto ai quali ai nostri bambini in alcuni casi è stato proibito di portare il panino con la mortadella per colazione.
Il rispetto per chi ospita è il primo requisito da verificare per comprendere se è autentico il desiderio di essere accolti.
Aperti, dunque, all’accoglienza,come Roma ci ha insegnato, ma rigidi nel pretendere il rispetto delle regole (che vale anche per gli italiani ovviamente) e condivisione dei tratti fondamentali della nostra identità se si vuole diventare cittadini italiani. A 18 anni, dando dimostrazione di crederci.
Chi volesse una più ampia trattazione del tema può riferirsi all’articolo “Identità e cittadinanza” su www.unsognoitaliano.it del 19 settembre 2017