Il blog di Paolo Gambi
(fonte:http://blog.ilgiornale.it/gambi/?repeat=w3tc )
Cosa sarebbe successo se invece del presidente Mattarella ci fosse stato il Re?
Che è un po’ come chiedersi cosa sarebbe successo se la nuova Italia del Dopoguerra non fosse nata repubblicana grazie a strane macchinazioni e probabili brogli, ma fosse rimasta monarchica.
Intanto il Re non avrebbe vissuto nessun complesso di inferiorità nei confronti dell’Unione Europea, considerando che ben 7 Paesi dell’attuale Unione Europea – tra i più importanti – hanno un Monarca: Gran Bretagna, Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo, Danimarca, Svezia, Spagna. E non se la passano così male. A questi si devono aggiungere anche Norvegia, Principato di Monaco, Andorra, Liechtenstein. E pure il Vaticano.
E tramite intrecci matrimoniali vari i Monarchi hanno sempre saputo tessere tele di straordinaria efficacia.
Poi di certo il Re non avrebbe avuto nessuno a cui render conto. Un Re non è eletto, né ricandidabile, non ha partito politico d’origine né di riferimento.
Un Re avrebbe sostenuto sempre e comunque gli interessi della Nazione ed avrebbe difeso e sostenuto la sua Democrazia.
Un Re (magari non fosse stato un Savoia) avrebbe ascoltato quelli che parlano italiano, non quelli che gridano in tedesco.
Ma in Italia ce ne freghiamo dei brogli, del vantaggio della Nazione e pure della Democrazia.
Per cui ci teniamo al Quirinale un presidente che fa ciò che Mattarella ha appena fatto.
E che per fare ciò ci costa circa 240 milioni di euro all'anno. Quando la Regina d’Inghilterra pesa sulle casse dello Stato appena 80 milioni di sterline. E le restituisce ampiamente in pubblicità al primo Royal wedding.
Chissà, magari Di Maio e Salvini se ne renderanno conto e invece di invocare l’impeachment abrogheranno l’articolo 139 della Costituzione.
del Prof.Salvatore Sfrecola
( dal sito: www.unsognoitaliano.it)
Si è detto e scritto in questi giorni che un lato positivo della lunga gestazione del governo è stato la “riscoperta” della Costituzione, quanto alla natura parlamentare dell’ordinamento costituzionale ed ai poteri del Capo dello Stato.
Sotto il primo aspetto è apparso presto evidente che, in mancanza di un partito o di una coalizione che avesse raggiunto la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento, si dovesse dar vita ad un accordo tra vari partiti per la formazione del governo, come accade ovunque si vota con una legge elettorale di natura proporzionale. Così è stato, tanto per fare un esempio recente, in Germania, dove i partiti, la CDU e la SPD, che avevano collaborato nella precedente legislatura, pur essendosi scontrati duramente nel corso della campagna elettorale, hanno poi ritrovato le ragioni di una nuova collaborazione. Così in Spagna, il leader del Partido Popular, Mariano Rajoy, che ha solo sfiorato la maggioranza nelle Cortes, può presiedere un governo grazie all’astensione del partito socialista.
In Italia, i partiti che pure si sono aspramente confrontati nel corso della campagna elettorale, il Movimento 5 Stelle e la Lega, dopo vari tentativi di dar vita a diverse coalizioni, hanno raggiunto un accordo, definito “contratto”, sulla base del quale si sono ritrovati su alcuni aspetti programmatici da porre a base di un nuovo governo ed hanno indicato al Presidente della Repubblica, quale Presidente del Consiglio dei ministri, il Professore Giuseppe Conte, che è stato incaricato da Sergio Mattarella, nel rispetto dell’art. 92 della Costituzione. A qualcuno è parso che i partiti della maggioranza abbiano in qualche modo imposto la loro indicazione, ma è certo che il Capo dello Stato, pur avendo un’ampia discrezionalità nella scelta, non può prescindere da quanto emerso nel corso delle consultazioni nell’ambito delle quali i partiti della maggioranza hanno delineato, sia pure per grandi linee, il programma del futuro governo ed indicato almeno una o più personalità cui affidare la guida dell’Esecutivo. Contestualmente appare coerente con l’autonomia del Presidente del Consiglio l’indicazione, proveniente dai partiti della maggioranza, delle personalità che saranno chiamate a ricoprire ruoli ministeriali, considerato che il perseguimento del programma politico delineato nell’indirizzo emerso in sede elettorale è nella disponibilità politica dei partiti chiamati a formare il governo.
Non è del tutto pacifica, invece, la regola che riguarda la nomina dei ministri. Nel senso che il potere del Capo dello Stato sconta la “proposta” del Presidente del Consiglio. Per Augusto Barbera e Carlo Fusaro (Corso di diritto pubblico, Il Mulino, 2001, 294) si tratta di una “autonomia giuridicamente piena con il solo temperamento di un eventuale radicale e incoercibile, quanto improbabile, dissenso presidenziale, da considerarsi del tutto eccezionale”. Costantino Mortati, uno dei massimi studiosi del diritto costituzionale, membro dell’Assemblea costituente, ritiene la proposta del Presidente del Consiglio “deve ritenersi strettamente vincolante per il capo dello stato” in ragione del principio di supremazia conferito al Premier “e della responsabilità a lui addossata per la condotta politica del gabinetto: responsabilità che, ovviamente , non potrebbe venire assunta se non potesse giovarsi, per il concreto svolgimento della medesima, di un personale di sua fiducia”. Lo stesso considera “degenerativa” la prassi che ha “condotto ad affidare ai partiti la designazione delle persone da prescegliere per le cariche ministeriali, o addirittura dei dicasteri cui assegnarle” (Istituzioni di diritto pubblico, tomo I, 1975, 568).
In sostanza, il Capo dello Stato non potrebbe rifiutare alcuna nomina (così Paladin), salvo il caso estremo di palese mancanza dei requisiti di moralità e tecnici richiesti per l’ufficio. Questo anche nella considerazione che il Presidente della Repubblica è estraneo all’indirizzo politico definito in sede elettorale, con esclusione dei governi cosiddetti tecnici o presidenziali in relazione ai quali si realizza naturalmente una maggiore influenza del Capo dello Stato. La storia ci dice che a volte il Presidente non ha condiviso la indicazione del Presidente del Consiglio suggerendo altri nomi o, più spesso, un diverso incarico ministeriale. Il tutto nel silenzio dello studio presidenziale, sicché di questi dissensi si ha una eco mediata dal racconto degli interessati, dagli articoli dei “quirinalisti”, dalle polemiche giornalistiche.
Più volte i presidenti hanno dato preventivamente una indicazione alla quale i Presidenti del Consiglio si sono attenuti. Così Sandro Pertini il 31 marzo 1980 aveva invitato il Presidente del Consiglio incaricato a considerare l’idoneità morale e tecnica delle persone da proporre quali ministri. Allo stesso modo il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaroaveva scritto il 9 maggio 1994 al Presidente del consiglio incaricato Silvio Berlusconi una nota relativa tra l’altro alle caratteristiche politiche che avrebbero dovuto possedere i ministri, in particolare quelli degli esteri e dell’interno, tradizionali settori di interesse per il Capo dello Stato in funzione della sicurezza interna e dei rapporti internazionali del Paese. Un tempo rispondeva alla stessa logica l’indicazione del Re per i ministri degli esteri e della Guerra. Oggi si giustifica l’attenzione del Capo dello Stato per il Ministro dell’economia, considerati i vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea. E difatti si discute in queste ore della presunta contrarietà del Presidente della Repubblica rispetto alla indicazione del Professore Paolo Savona a Ministro dell’economia, considerate talune sue idee in materia di Unione europea e di Euro.
Alla ricerca dei precedenti, sempre utili, per inquadrare gli eventi del momento, si ricorda che Pertini disse no a Francesco Cossiga su Clelio Darida alla Difesa (1979), che andò alla Giustizia, Scalfaro a Silvio Berlusconi su Previti alla Giustizia (1994), Ciampi a Berlusconi su Maroni alla Giustizia (2001), Gorgio Napolitano a Renzi su Gratteri alla Giustizia (2014).
Non sappiamo, mentre scriviamo, come andrà a finire. Se Mattarella accoglierà la proposta di Savona Ministro dell’economia aderendo alle richieste del Premier.
Inevitabili ulteriori polemiche. L’insistenza di Lega e M5S è stata criticata come una forma di pressione indebita, come sostiene Sabino Cassese sul Corriere della Sera di ieri (La partita delle regole).
27 maggio 2018
L'Unione Monarchica Italiana, per volontà e con il contributo della Famiglia Spanò di Reggio Calabria, istituisce il "Premio Spanò di Reggio Calabria", per la migliore tesi di laurea su il ruolo di Casa Savoia nel Primo Conflitto Mondiale (1914-1918). Al Premio possono concorrere i laureandi di qualsiasi Facoltà Universitaria italiana o straniera che conseguano la laurea entro il 31 ottobre 2018.Apposita Commissione valuterà le tesi concorrenti e designerà la migliore. Tutte le tesi concorrenti saranno conservate nella Biblioteca dell'U.M.I. e saranno menzionate in apposita pubblicazione.
La Segreteria è a disposizione per qualsiasi informazione.
Ecco il bando del "Premio Spanò di Reggio Calabria":
D'intesa con la Famiglia Spanò di Reggio Calabria, ispirata da alto senso civico e da spirito mecenatico, l'Unione Monarchica Italiana emana il seguente bando:
Art. 1
E' stanziata la somma di mille euro per la miglior tesi di laurea approvata nelle Università sul tema:
IL RUOLO DI CASA SAVOIA
NEL PRIMO CONFLITTO MONDIALE (1914-1918) Art. 2
Possono concorrere gli autori di tesi di laurea magistrale (al temine del corso quinquennale) di qualsiasi Facoltà universitaria pubblica o privata sul tema indicato, discusse entro il 31 ottobre 2017.
Art.3 I candidati al premio debbono far pervenire il testo per posta elettronica e copia cartacea alla sede dell'Unione Monarchica Italiana (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. - via Riccardo Grazioli Lante 15/A 00195 Roma) entro e non oltre il 9 novembre 2017, accompagnandolo con attestato di conseguita laurea.Le copie cartacee non saranno restituite ai mittenti, quale sia l'esito del bando. Esse verranno conservate nella Biblioteca dell'U.M.I. e verranno menzionate in apposito Notiziario.
Art. 4
L'esame dei lavori è affidato a una Commissione formata dal Presidente dell'U.M.I. o suo delegato, dal Presidente della Consulta dei Senatori del Regno o suo delegato, da uno studioso di chiara fama concordato dai predetti.
Art. 5
Entro il 30 novembre 2017 la Commissione designa il vincitore e comunica l'esito all'interessato.
Art.6
La premiazione ha luogo entro il 31 dicembre 2017. Il vincitore è tenuto a partecipare a proprio carico alla premiazione, pena la decadenza. In tal caso il premio viene ribadito per l'anno 2018 con identiche modalità.
Roma, 30 gennaio 2017 |
di Daniele Capezzone
(dal sito: www.atlanticoquotidiano.it)
Ci sono monarchie che sanno creare unità e appartenenza molto più delle repubbliche dei partiti, delle istituzioni monopolizzate da uomini di fazione
Da giovane, in modo automatico e quasi inintenzionale, tendevo a immaginare le monarchie (tutte le monarchie) come fenomeni fuori dalla storia, impensabili, retaggi del passato. Ma come: un sovrano per diritto familiare e di sangue?
Certo, da anglofilo convinto, sapevo bene come alcune monarchie fossero state capaci di aiutare il loro paese a resistere agli incubi del Novecento. Eppure, la sensazione di stravaganza (la regina, i principi, il protocollo, eccetera) rimaneva.
Con il passare del tempo, il dubbio ha preso il posto delle certezze. Guardate il matrimonio che ci sarà oggi in Inghilterra, le immagini di una coppia di giovani (e anche un’altra coppia: il fratello maggiore e sua moglie, con i loro bimbi), un paese che vive una giornata di festa, di fiaba, di sorriso.
Non sono esattamente nelle mie corde le propensioni “politically correct” e le conversazioni radiofoniche con Barack Obama del principe Harry. Ma l’idea che un membro della famiglia reale inglese sposi una divorziata americana, che non abbia avuto paura di parlare del suo disagio esistenziale dopo la morte della madre, che ora si faccia carico anche dei problemi di salute mentale di veterani e vecchi soldati (perché le ferite non sono solo quelle fisiche…) mostra plasticamente che la monarchia può essere – nello stesso tempo – un bastione della tradizione e un elemento di modernizzazione, accompagnando dolcemente le trasformazioni della società, incoraggiandole e insieme rispecchiandole.
Ovvio che in politica a decidere sia il Parlamento, in base al voto dei cittadini. Dalla Magna Charta in poi, i britannici hanno spiegato al mondo cosa siano le istituzioni rappresentative e quanto sia sana la limitazione del potere. Ma è significativo che, al di là della contesa politica, ci sia un punto (un luogo “simbolico”) capace davvero di esprimere unità, senso di appartenenza e condivisione. Molto più di quanto possano farlo le repubbliche dei partiti, o cariche istituzionali monopolizzate da uomini di fazione, che difficilmente – nonostante la “grazia di stato” – possono essere o apparire o diventare del tutto “terzi”.
E’ evidente che il Regno Unito ha una storia del tutto peculiare, ben diversa da altre monarchie e altre case reali. Ma sarebbe il caso di discutere laicamente anche di questi temi, senza anatemi, senza pregiudizi, senza schemini precostituiti. La storia umana è complessa: perché precludersi la sfida intellettuale di ammirare nel mondo anche architetture istituzionali diverse, e magari imparare qualcosa?
del Prof. Salvatore Sfrecola
Riprende questa mattina il confronto tra Lega e Movimento 5 Stelle per individuare i termini della piattaforma programmatica, il contratto “alla tedesca”, come lo chiama Luigi Di Maio. L’ottimismo domina nelle parole dei due leader che s’incontrano al Pirellone, mentre le delegazioni continuano a valutare, punto dopo punto, la compatibilità dei “temi” suscettibili di entrare a far parte del programma di governo.
Intanto, tra i giornalisti a caccia di “indiscrezioni” prende corpo il “toto ministri”, quell’esercizio di fantasia con il quale, ad ogni cambio di governo, sulla stampa si cerca di immaginare coloro che, per vicinanza ai capi dei partiti o perché tecnici “di area”, potrebbero essere scelti per dirigere uno dei ministeri che formeranno l’esecutivo.
Contemporaneamente prende corpo con insistenza una ipotesi del tutto nuova, quella che vorrebbe i partiti alla ricerca di un Presidente del Consiglio “terzo”, cioè al di fuori dei partiti, forse anche al di fuori della politica. Se ne parla da qualche giorno, ma il discorso con il quale ieri, a Dogliani, Sergio Mattarella ha ricordato Luigi Einaudi, il primo Presidente della Repubblica eletto dal Parlamento, sottolineando come non avesse svolto la funzione in termini esclusivamente “notarili”, fa scrivere oggi a tutti i giornali che l’attuale inquilino del Quirinale intende ispirarsi al suo predecessore. E scegliere lui il premier, magari tra una rosa indicata da Lega e M5S.
Riprende, così, corpo il “toto premier”, nel quale campeggiano nomi noti più che al grosso pubblico agli addetti ai lavori. Come quello di Giampiero Massolo, ex ambasciatore e Segretario generale della Farnesina con Gianfranco Fini, Direttore del Dipartimento delle informazioni sulla sicurezza, oggi Presidente di Fincantieri, molto stimato negli ambienti politici italiani e internazionali, o di Giacinto della Cananea, il docente di diritto amministrativo vicino a Sabino Cassese al quale Di Maio aveva commissionato una sorta di verifica di compatibilità tra i programmi di Lega e M5S, altro nome ricorrente nelle ipotesi giornalistiche. Ma non tramonta neppure il nome di Elisabetta Belloni (classe 1958), ambasciatore e Segretario generale del Ministero degli esteri dove ha ricoperto incarichi di prestigio, come Capo dell’Unità di Crisi, Direttore generale della cooperazione allo sviluppo e Capo di Gabinetto del Ministro Paolo Gentiloni. Anche a suo favore, oltre la caratura personale e il garbo che la contraddistingue, giova la stima di cui gode negli ambienti internazionali. E sappiamo quanto delicato sia il dossier Europa per Mattarella.
La lista dei “possibili” premier secondo la fantasia del giornalista che ne scrive o ne parla è lunga e comprende altri Grand Commis d’Etat, da Carlo Cottarelli, già direttore del Dipartimento affari fiscali del Fondo Monetario Internazionale, volonteroso ma inascoltato Commissario alla revisione della spesa, a Enrico Giovannini, economista, professore ordinario di statistica a “La Sapienza”, Chief Statistician dell’OCSE dal 2001 al 2009, già Presidente dell’ISTAT e Ministro del lavoro nel Governo di Mario Monti.
Sennonché l’ipotesi di attribuire la Presidenza del Consiglio ad personalità non politica o di scarsa caratura politica appare una immane sciocchezza costituzionale, una di quelle per le quali, in un esame di diritto pubblico, lo studente non otterrebbe neppure un misero diciotto. Infatti, ai sensi dell’art. 95 della Costituzione, “il Presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promovendo e coordinando l’attività dei ministri”. Una limpida definizione costituzionale che individua nel Presidente del Consiglio il motore del governo che dirige e del quale assume la responsabilità politica dinanzi al Parlamento, una funzione essenziale soprattutto in un governo di coalizione nel quale fondamentale è preservare l’accordo intervenuto tra i partiti. Per cui si richiede a Palazzo Chigi una personalità forte ed autorevole, come dimostra la storia costituzionale italiana nella quale i governi si ricordano proprio con il nome del Presidente del Consiglio, da Camillo di Cavour ad Alcide De Gasperi, da Giovanni Giolitti a Giulio Andreotti a Ciriaco De Mita il quale ha firmato la legge 23 agosto 1988, n. 400 che, per la prima volta, ha definito l’ordinamento della Presidenza del Consiglio e le attribuzioni del Presidente e del Consiglio dei Ministri.
Ha così trovato compiuta attuazione la previsione costituzionale secondo la quale al Presidente del Consiglio spetta un potere di indirizzo non esposto alla interferenza da parte di altri organi, nemmeno da parte dello stesso Parlamento il quale solo per mezzo della legge potrebbe sostituirsi al vertice dell’esecutivo nell’indirizzo e coordinamento delle attività che vi fanno capo e degli apparati che vi sono preposti. D’altra parte, nella fase di formazione del Governo, a lui spetta l’indicazione dei ministri che, ai sensi dell’art. 92, comma 2, della Costituzione saranno nominati dal Presidente della Repubblica. Il Presidente dunque ha una posizione differenziata nell’ambito del Governo, anche se non di assoluta supremazia. A lui spetta la formulazione dell’ordine del giorno del Consiglio dei ministri e, quindi, l’iniziativa delle deliberazioni collegiali, il loro coordinamento, la loro attuazione. E, naturalmente, l’iniziativa sulle numerosissime nomine di spettanza del Governo, negli enti pubblici e nelle supreme magistrature amministrativa e contabile, Consiglio di Stato e Corte dei conti.
Infine a livello internazionale, a cominciare dall’Unione Europea, molte assise, dove si decidono importanti strategie economico finanziarie e del commercio tra gli stati, come dimostrano gli eventi di questi giorni con le iniziative del Presidente USA, Donald Trump, vedono come protagonisti i capi dei governi quali garanti degli accordi. Tipico il Consiglio d’Europa che è in qualche modo il motore dell’Unione.
Partirebbe, dunque, azzoppato il governo se il ruolo di Presidente del Consiglio fosse assegnato ad una personalità minore sul piano politico, ancorché illustre per la sua esperienza amministrativa o universitaria. Se questa fosse la decisione dei partiti che compongono il governo sarebbe una scelta infausta, capace di depotenziare il ruolo del Capo del governo e sostanzialmente dello stesso Esecutivo esposto alle iniziative di singoli ministri al ricerca di una visibilità in ragione del loro ruolo nel partito di appartenenza.
Probabilmente quella del Presidente “terzo” è una idea nata nelle redazioni dei giornali e nei conversari nelle anticamere dei partiti, lì dove si discute della formazione del nuovo governo e della evidente difficoltà di individuare una personalità che possa coordinare l’azione di un Governo nel quale siedono, in funzione di ministri, due capi di partito, Luigi di Maio e Matteo Salvini, che, come si dice, hanno “messo la faccia” in una competizione elettorale che ha attribuito loro l’etichetta, rispettivamente, di leader del primo partito e della prima coalizione.
Se ne parlerà ancora tra oggi e domani, ma immagino che l’idea della personalità terza lascerà presto il posto nel dibattito politico alla individuazione di un autorevole esponente di uno dei partiti che compongono il Governo ai quali dovrà essere affidato, per esperienza o per capacità di indirizzo e di coordinamento, il delicato ruolo di Presidente del Consiglio dei ministri che dovrà assicurare il massimo impegno nell’attuazione dell’accordo che ha consentito la nascita dell’Esecutivo.
E non è neppure da escludere che sulla indicazione del premier si manifestino contrasti con il Quirinale, magari in relazione alle preoccupazioni che, si dice, agiterebbero i sonni del Presidente per le prossime scadenze europee nell’ambito delle quali la partecipazione dei nostri “euroscettici” potrebbe costituire una nota dissonante. Mentre dietro le quinte c’è chi non dispera si possa tornare alle urne presto, magari dopo un governo “di transizione” o “del presidente”, tenendo conto del ragionevole desiderio di Silvio Berlusconi di tornare in Parlamento dopo la riabilitazione decisa dal Tribunale di Sorveglianza di Milano.
( da www.unsognoitaliano.it del 13 maggio 2018)