di Giuseppe Borgioli
Come ogni anno fiumi di parole e di discorsi ufficiali inondano la nostra cronaca.
Per lo più si tratta di commemorazioni d’ufficio, della stanca retorica, e le immagini a cui i nostri occhi si sono abituati.
Per non dimenticare nulla per rendere un concreto omaggio alla vera memoria, dobbiamo assumerci un impegno per il futuro.
L’impegno di rispettare e dare voce a qualsiasi minoranza, come era lo spirito dello Statuto Albertino, che soltanto ideologie, che non avevano nulla a che fare con la Monarchia e con la nostra Tradizione snaturarono e misero in disparte.
Chi si richiama alla Tradizione e al Re guarda al passato non come qualcosa di morto ma alla parte viva della nostra storia che ci aiuta ad affrontare le sfide del futuro.
Difronte ad episodi di violenza che ci lasciano sgomenti e perplessi che hanno occupato le pagine dei giornali, bisogna guardare alle radici di questi comportamenti per fare crescere nuove piante e nuova vita.
Affinché le parole non siano semplice celebrazione dobbiamo guardare ai problemi che ancora sono vivi e ci esortano a ricordare.
Napoli è una città martoriata e cara al nostro cuore che ogni tanto viene alla ribalta della cronaca per fatti e misfatti che non fanno onore a questa generosa popolazione.
Si direbbe che – oltre ai governi – anche televisioni e giornali si accaniscono contro di lei, quasi fosse una sorta di tardiva vendetta per quello che ha rappresentato e rappresenta nella vita politica nazionale.
In questi giorni è la volta delle bende armate di ragazzi che si accoltellano fra di loro e colpiscono altri ragazzi inermi e estranei, senza alcuna apparente ragione.
Non è solo Napoli: Il fenomeno si ritrova nelle grandi città di tutto il mondo.
Nel caso di Napoli la sofferenza è maggiore perché coinvolge ragazzi e giovani che la mancanza di scuola e di lavoro, in altre parole la mancanza di futuro, getta sulla strada, costretti a inventarsi un orrendo surrogato della passione civile che non c’e’.
Passione civile che non mancava a quei giovani napoletani che l’11 giugno del 1946 furono uccisi in Via Medina, ricordiamoli: Isa Cavalieri, Vincenzo Di Guida, Michele Pappalardo, Francesco D’Azzo, Guido Beninato, Felice Chirico, Mario Fioretti. La loro passione civile era il Re e l’ingiustizia patita del referendum.
Non mi risulta ( ma sarei felice di essere smentito) che nessuna autorità ufficiale repubblicana, se pur in nome della tanto sbandierata riconciliazione, abbia riconosciuto il significato morale e civila di questi morti.
Anche questa pagina fa parte delle storia e della vita di Napoli.
del Prof.Salvatore Sfrecola
Ricorrono quest’anno, il 17 novembre, 80 anni dalla promulgazione del regio decreto legge 17 novembre 1938, n. 1728, recante “Provvedimenti per la difesa della razza”. Il provvedimento, “ritenuta la necessità urgente ed assoluta di provvedere”, emanato ai sensi dell’art. 2 della legge 31 gennaio 1936, n. 100, è stato emanato “sentito il Consiglio dei Ministri, sulla proposta del DUCE (tutto maiuscolo nell’originale), Primo Ministro Segretario di Stato, Ministro dell’interno, di concerto con i Ministri degli affari esteri, per la grazia e giustizia, per le finanze e per le corporazioni”, come si legge nelle premesse, reca la firma oltre che di Mussolini, dei Ministri, Ciano, Solmi, Di Revel e Lantini. Registrato alla Corte dei conti, addì 18 novembre 1938, registro 403, foglio 76 (Mancini) è stato convertito dalla legge 2 giugno 1939, n. 739, approvata dal Senato e dalla Camera dei fasci e delle Corporazioni. Il regio decreto legge, come gli altri riguardanti la medesima materia e la legge che globalmente li ha convertiti sono stati abrogati dal regio decreto legge 20 gennaio 1944, n. 25, sulla base della “urgente ed assoluta necessità di reintegrare nei propri diritti i cittadini italiani appartenenti alla razza ebraica per riparare prontamente alle gravi sperequazioni di ordine morale politico create da un indirizzo politico infondatamente volto alla difesa della razza”.Governo, Parlamento, Re, ognuno in relazione alla specifica competenza, volontariamente (Governo e Parlamento) o ratione officii (il Re) coinvolti in quella normativa hanno concorso a quella legislazione. Ma uno solo è sotto “processo”, il Re Vittorio Emanuele III, non il Duce Primo Ministro e proponente in Consiglio dei Ministri, non coloro che lo hanno approvato in quella sede e in Parlamento.È evidente il carattere “politico” dell’iniziativa. Cioè l’“uso politico della storia”, come si usa dire, come spesso è avvenuto. L’iniziativa è assunta dalla Comunità Ebraica di Roma organizzatrice dell’evento che andrà “in scena all’Auditorium Parco della Musica di Roma il 18 gennaio alle 20.30”. “In scena”, si legge nel sito http://moked.it/blog/2017/12/18/leggi-razziste-re-processo/. Ed è effettivamente uno spettacolo teatrale. Ogni responsabilità si fa ricadere sul Re, l’unico del quale è nota l’avversione al provvedimento, reiteratamente manifestata. E naturalmente nulla si dice della abrogazione di quella normativa, appena ha potuto decidere liberamente. Il motivo di questa aggressione alla figura del Sovrano, del quale non viene ricordata nessuna benemerenza nel suo lungo regno (1900-1946), sta nel fatto, come ha titolato Alessandro Meluzzi in un bell’articolo su Il Tempo del 18 dicembre che “Gli hanno fatto pagare le colpe di un Paese”. Quanti dal 1922 cercano – ma la storia li condannerà – di nascondere la verità: l’aver Giolitti, Sturzo e Turati declinato la responsabilità del Governo, come il Re li aveva invitati. E di aver successivamente assicurato la maggioranza al Governo Mussolini, per poi rifugiarsi sull’inutile Aventino all’indomani del delitto Matteotti. Poi di aver lasciato il Re solo, mentre il Fascismo smantellava una dopo le altre le istituzioni dello Stato liberale, a cominciare dallo Statuto del Regno, costituzione “flessibile” e pertanto modificabile da qualunque legge ordinaria, come le leggi di discriminazione razziale, per tornare all’argomento. Nessuna benemerenza per il Re delle riforme del decennio giolittiano, come sottolinea Mario Missiroli, che ne aveva scritto su un libro famoso (“La monarchia socialista”) quanto oggi poco letto, nonostante sia stato ripubblicato da Le Letterenel 2015 con una prefazione di Francesco Perfetti, né per il Re “soldato” che a Peschiera, l’8 novembre 1917, non solo aveva difeso l’onore del soldato italiano ma con la sua autorevolezza dinanzi ai primi ministri di Francia e Gran Bretagna aveva imposto la difesa ad oltranza sul Piave così condizionando l’esito positivo della guerra che sarebbe stata irrimediabilmente perduta se gli austro tedeschi avessero dilagato nella pianura padana. Il Re e solo lui responsabile della legislazione razziale voluta da Governo e Parlamento. La storia non può ammettere questa manipolazione della verità alla quale sembra si prestano personaggi illustri. Il “sembra” è d’obbligo, anche se è evidente che la sentenza è già scritta. E quando le sentenze sono già scritte non c’è giustizia nei tribunali, neppure in quelli della Storia.Il processo a Vittorio Emanuele III, così si legge nella locandina, ma un po’ di pudore devono averlo avuto gli organizzatori se nella presentazione si legge che il “dibattimento processuale… esaminerà a tal proposito le responsabilità di quanti si resero protagonisti di una delle pagine più vergognose della recente storia italiana”. Ma i “quanti” non ci sono. Sono contumaci? E chi li difenderà, considerato che “la difesa è diritto inviolanile in ogni stato e grado del procedimento”, come si legge nel secondo comma dell’art. 24 della Costutuzione.“Il processo” – testualmente - partirà proprio dalla figura di Vittorio Emanuele III. A condurlo il pm Marco De Paolis, l’avvocato Umberto Ambrosoli come imputato, l’avvocato Giorgio Sacerdoti come parte civile”.Stimo Umberto Ambrosoli, figlio del martire della delinquenza bancaria, quell’Avvocato Giorgio Ambrosoli, liquidatore della Banca Privata di Michele Sindona. Giorgio Ambrosoli era monarchico e forse questo ha spinto gli organizzatori a scegliere il figlio come difensore del Re. Umberto, un nome non scelto a caso, candidato alla presidenza della Regione Lombardia è di quelli che si definiscono “una brava persona”. Non una personalità e non risulta abbia fatto particolari studi storici né giuridici sullo “Stato fascista” e le sue istituzioni. La Corte sarà invece composta da Paola Severino, ex Ministro della Giustizia, presidente del collegio, dal magistrato Giuseppe Ayala, e dal consigliere del CSM Rosario Spina. Stupisce come si siano prestati ad una farsa di processo. Forse l’italico desiderio di apparire che, per molti magistrati, costretti dalle regole della professione alla riservatezza, sembra essere stavolta appagato. “Tante le testimonianze perdute che ritroveranno memoria nelle voci di Piera Levi Montalcini, nipote del Premio Nobel Rita, Federico Carli, nipote di Guido, l’economista Enrico Giovannini, Maurizio Molinari, direttore della Stampa”. Di tutti, persone degnissime, non si conoscono studi storici approfonditi. Faranno riferimento alla “vulgata” dei fuggiaschi del 1922, del 1924 e seguenti, tutti interessati a far ricadere sul Re le loro colpe?“L’Italia, che deve ancora fare un profondo esame del proprio passato e non ha mai celebrato processi contro i propri governanti che si sono macchiati di crimini contro l’umanità, rischia di non poter fermare i nuovi movimenti di odio che ai quei falsi valori e simboli si ispirano nei loro moti” sottolinea Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, che ha voluto l’evento e lo ha seguito nella fase ideativa. “Il Processo quindi lo facciamo noi, evidenziando la filiera delle responsabilità che dal Re e dal regime risalgono alle istituzioni, all’accademia, alla stampa, all’industria, alla chiesa, alla popolazione civile che, quando non si rese complice, accettò senza reagire che una comunità di cittadini italiani, presenti da duemila anni nel Paese, perdesse ogni diritto e libertà. Diritto di lavorare, studiare, avere una vita sociale, contribuire alla scienza, alla cultura, alla politica. Vogliamo sfatare la leggenda che le leggi razziali furono un provvedimento all’acqua di rose”.Leggi infami che però da queste parole si comprende siano state emanate ed attuate da molta gente. Ma sotto processo è uno solo. Non è forse la prova della strumentalizzazione, dell’“uso politico della Storia”? Non è una bella iniziativa. Non favorirà quell’“esame di coscienza” che si auspica. Finirà con la condanna di uno solo nel dispositivo anche se è probabile che nella motivazione si faccia cenno alle “altre” responsabilità, come innanzi richiamate. Una brutta vicenda. Che non farà chiarezza sugli eventi e sulle responsabilità ed acuirà risentimenti politici dei quali questo nostro Paese non ha assolutamente bisogno. L’evento curato, per la parte processuale, da Elisa Greco, autrice del format Processi alla Storia, su un progetto teatrale di Viviana Kasam e Marilena Francese, che da cinque anni curano per l’UCEI l’evento istituzionale per il Giorno della Memoria, e sarà ripreso da Rai5 e trasmesso da Rai Storia in prima serata alle ore 21.15 del 27 gennaio 2018, in occasione del Giorno della Memoria, all’interno di un documentario realizzato da Bruna Bertani.Lo vedremo e ne parleremo ancora, giorno dopo giorno, fino a quando non sarà fatta giustizia.
14 gennaio 2018
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Nascita dell' Unità d'Italia
L'entusiasmo risorgimentale sostenuto da Casa Savoia portò felicemente a compimento l'Unità d'Italia, ponendo le premesse per una trasformazione della penisola in uno Stato moderno e progredito. La 2° guerra d'indipendenza e la spedizione dei Mille dettero un deciso impulso all'Unità d'Italia, tant'è che il 18 febbraio 1861 veniva inaugurata la prima seduta del Parlamento italiano che il 17 marzo successivo votava la trasformazione del Regno di Sardegna in Regno d'Italia e nella quale Vittorio Emanuele II venne proclamato Re d'Italia: fu questa la realizzazione di un sogno e di tante speranze. La forte passione nazionale che animò tutto il suo Regno garantì il necessario consenso alla soluzione monarchica e sabauda del Risorgimento. Sotto il suo Regno trovarono soluzione molti dei problemi che assillavano il nostro Paese: con la 3° guerra d'indipendenza (1866) anche il Veneto entra a far parte del Regno d'Italia che finalmente nel 1870 potrà coronare il sogno di Roma Capitale, sede naturale e centrale dell'Italia unita. Fu in questi decenni che trovò soluzione la piaga del brigantaggio che affliggeva l'Italia meridionale e si arrivò al pareggio nel bilancio dello Stato. Nel 1878, al "Re Galantuomo", succede il figlio Umberto: nel corso del suo Regno numerose furono le innovazioni nel campo sociale, fra queste ricordiamo l'allargamento della base elettorale, l'istruzione elementare obbligatoria e gratuita, la lotta all'analfabetismo, il miglioramento della rete sia stradale che ferroviaria, nonché l'avvio di quel processo d'industrializzazione che avrebbe portato l'Italia, partita in ritardo, ad affiancarsi ai paesi più avanzati d'Europa. Umberto I dette prova di grandi doti di generosità in occasione delle numerose calamità che punteggiarono il suo Regno (inondazione del Veneto nel 1882 e colera a Napoli nel 1884). Sul piano istituzionale, nel 1882 condusse l'Italia fuori dall'isolamento in cui era venuta a trovarsi, mentre in questo periodo si stava intensamente sviluppando il commercio sia interno che estero. Sul piano sociale nel 1889 venne abolita la pena di morte che era invece ancora prevista in tutti gli altri stati europei. Umberto I muore a Monza il 29 luglio del 1900 per mano dell'anarchico Gaetano Bresci. Gli succede come Re Vittorio Emanuele III che si dimostrò favorevole ad una ripresa in senso liberale dello Stato aprendo la via all'età giolittiana, nel corso della quale la Lira italiana divenne una delle più solide monete al mondo. Fu sviluppata l'industria tessile, elettrica e siderurgica, fu incrementata a Torino l'industria automobilistica, fu potenziata la rete ferroviaria con il traforo di alcuni valichi alpini che permisero le comunicazioni con l'estero e nel 1913 si tennero le prime elezioni a suffragio universale maschile. Purtroppo il suo Regno è stato funestato da ben due guerre mondiali che portarono a scelte drammatiche; la grande Guerra del 1915-1918 si concluse vittoriosamente, tanto che permise l'annessione del Trentino Alto Adige, della Venezia Giulia, di Trieste, dell'Istria e della Dalmazia. La sua popolarità crebbe con la costante presenza in prima linea e soprattutto con la sua decisiva azione dopo Caporetto, quando si adoperò per bloccare l'offensiva austriaca sul Piave. Dopo l'esperienza complessa del Fascismo, che portò l'Italia alla rovinosa alleanza con la Germania e alla guerra, e dopo lo sbarco alleato in Sicilia, il 25 luglio 1943 Vittorio Emanuele III destituì e nominò a capo del Governo il Maresciallo Badoglio. Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, il Re stabilì la Capitale provvisoriamente a Brindisi, poi a Salerno, e si schierò con gli alleati contro la Germania. Nel 1994 lasciò il potere al figlio Umberto, nominandolo Luogotenente Generale del Regno, il 6 giugno 1944 lasciò il potere al figlio Umberto, ed abdicò formalmente il 9 maggio 1946. Il nuovo Re Umberto II, a seguito del contestato Referendum Istituzionale del 2 giugno 1946, fu costretto a lasciare il suolo italiano il 13 giugno 1946 dopo solo un mese di Regno, per evitate una nuova guerra civile. Visse in dignitoso esilio in Portogallo per ben 37 anni.
Le presunte colpe dei Savoia: "Il Fascismo" e la "fuga" da Roma
La Monarchia subì il Fascismo, cercò di moderarlo, il Re contò sempre sulla lealtà delle Forze Armate, della Burocrazia Statale, della Magistratura, della Diplomazia.
Mussolini nel 1922 ebbe, come Capo del Governo, 306 voti di fiducia dal Parlamento; solo 112 i contrari ed i deputati fascisti erano solo 35. Troppo comodo dare tutta la colpa al Re! I Partiti democratici dell'epoca, popolari e liberali, votarono la fiducia a Mussolini.
Il 25 luglio 1943 il Re sostituì Mussolini e pose fine al Fascismo.
In Germania, essendo Hitler Capo dello Stato e Capo del Governo, nessuno riuscì a liquidare il dittatore e la Germania finì distrutta e divisa.
Le leggi razziali furono mitigate dal Re, ma rappresentarono un errore gravissimo. La comunità ebraica italiana aveva grandi meriti verso l'Italia e aveva concorso generosamente, con la cultura e con il sangue, alla formazione dello Stato Unitario.
Il 9 settembre 1943, dopo l'accettazione dell'armistizio, il Re Vittorio Emanuele III fu costretto ad abbandonare Roma; egli, per garantire la continuità dello Stato, si trasferì a Brindisi (in Italia, dunque, non all'estero come tanti altri Capi di Stato), ebbe il riconoscimento internazionale e rappresentò lo Stato legittimo.
Roma non poteva essere difesa con due milioni di abitanti, con la presenza del Papa, con tante opere d'arte.
Sarebbe stata una strage ed i nazisti, come avrebbero successivamente dimostrato alle Fosse Ardeatine, non avevano scrupoli...
La "presunta fuga" del Re fu una montatura della propaganda nazista prima, e di quella antimonarchica poi.
Il Referendum Istituzionale Monarchia-Repubblica del 2 Giugno 1946
Il Referendum popolare sulla forma istituzionale dello Stato si svolse il 2/3 giugno 1946 e fu convocato con un decreto firmato da Umberto II di Savoia. Il fronte repubblicano non aveva scelto la via rivoluzionaria per liquidare la Monarchia: quest'ultima, se fosse rimasta, non avrebbe sicuramente mandato in esilio gli esponenti del fronte repubblicano sconfitto.
Roma, 10 Maggio 1946 - Primo bagno di folla per Re Umberto II
L'esilio ingiusto
L'aver introdotto nella Costituzione della Repubblica (1°gennaio 1948) la disposizione sull'esilio perpetuo dei Savoia ha rappresentato una violazione delle regole democratiche del Referendum, nel tentativo di salvaguardare la Repubblica dal "pericolo" di un ritorno alla Monarchia.
I Savoia non subirono alcun processo come, invece, avvenne per la classe dirigente politico-militare della Germania Nazista. Il fronte repubblicano in Italia non aveva la forza per farlo, anche perché la Monarchia, malgrado la campagna di criminalizzazione scatenata contro di essa e la sconfitta militare, non si era macchiata di crimini e raccolse, al referendum, quasi la metà dei voti del popolo italiano.
Referendum Contestato
(quasi tre milioni di cittadini esclusi dal voto)
Il referendum in molte regioni si svolse senza che i sostenitori della Monarchia potessero fare liberamente propaganda per la Corona e quasi 3.000.000 di Italiani (prigionieri di guerra non rimpatriati; Italiani delle Colonie; abitanti di Trieste, di Gorizia, della provincia di Bolzano; 300mila profughi della Venezia-Giulia e della Dalmazia; i tanti certificati elettorali non reperiti; ecc.) non poterono votare: troppi se si pensa che essi superano la differenza "ufficiale" fra Monarchia e Repubblica (Monarchia voti 10.719.284; Repubblica voti 12.717.923).
Al Re fu impedito di restare per attendere la proclamazione definitiva dei risultati da parte della Suprema Corte di Cassazione (18 giugno 1946). Nella notte fra il 10 ed l'11 giugno 1946 il governo, senza attendere la seduta finale ed ufficiale della Suprema Corte di Cassazione per la proclamazione dei risultati (18 giugno 1946), trasferisce al capo del governo i poteri del Re, il quale si trova di fronte alla drammatica alternativa o di opporsi con la forza o di partire per l'esilio al fine di evitare spargimento di sangue.
L'ultimo messaggio di Umberto II
Umberto II, ricevuti gli onori militari, partì per il Portogallo il 13 giugno 1946 dall'aeroporto romano di Ciampino, dopo aver indirizzato il seguente messaggio al Popolo italiano:
"ITALIANI!
Nell'assumere la Luogotenenza Generale del Regno prima e la Corona poi, io dichiarai che mi sarei inchinato al voto del popolo, liberamente espresso, sulla forma istituzionale dello Stato. E uguale affermazione ho fatto subito dopo il 2 giugno, sicuro che tutti avrebbero atteso le decisioni della Corte Suprema di Cassazione, alla quale la legge ha affidato il controllo e la proclamazione dei risultati definitivi del referendum.
Di fronte alla comunicazione di dati provvisori e parziali fatta dalla Corte Suprema; di fronte alla sua riserva di pronunciare entro il 18 giugno il giudizio sui reclami e di far conoscere il numero dei votanti e dei voti nulli; di fronte alla questione sollevata e non risoluta sul modo di calcolare la maggioranza, io, ancora ieri, ho ripetuto che era mio diritto e dovere di Re attendere che la Corte di Cassazione facesse conoscere se la forma istituzionale repubblicana avesse raggiunto la maggioranza voluta. Improvvisamente questa notte, in spregio alle leggi e al potere indipendente e sovrano della Magistratura, il Governo ha compiuto un gesto rivoluzionario, assumendo, con atto unilaterale ed arbitrario, poteri che non gli spettano e mi ha posto nell'alternativa di provocare spargimento di sangue o di subire la violenza.
Non volendo opporre la forza al sopruso, nè rendermi complice dell'illegalità che il Governo ha commesso, lascio il suolo del mio Paese, nella speranza di scongiurare agli Italiani nuovi lutti e nuovi dolori. Compiendo questo sacrificio nel supremo interesse della Patria, sento il dovere, come Italiano e come Re, di elevare la mia protesta contro la violenza che si è compiuta; protesta nel nome della Corona e di tutto il Popolo, entro e fuori i confini, che aveva il diritto di vedere il suo destino deciso nel rispetto della legge, e in modo che venisse dissipato ogni dubbio e ogni sospetto. ... A tutti coloro che ancora conservano fedeltà alla Monarchia, a tutti coloro il cui animo si ribella all'ingiustizia, io ricordo il mio esempio, e rivolgo l'esortazione a voler evitare l'acuirsi di dissensi che minaccerebbero l'unità del Paese, frutto della fede e del sacrificio dei nostri padri, e potrebbero rendere più gravi le condizioni del trattato di pace. Si considerino sciolti dal giuramento di fedeltà al Re, non da quello verso la Patria, coloro che lo hanno prestato e che vi hanno tenuto fede attraverso tante durissime prove.
Rivolgo il mio pensiero a quanti sono caduti nel nome d'Italia e il mio saluto a tutti gli Italiani. Qualunque sorte attenda il nostro Paese, esso potrà sempre contare su di me come sul più devoto dei suoi figli.
Viva l'Italia!
UMBERTO
Roma, 13 giugno 1946"
Quirinale repubblicano: la Regina Elisabetta costa 6 volte di meno
Quando ci confrontiamo con un repubblicano, spesso l’obiezione che ci vien fatta è: “Perché dovremmo spendere un sacco di soldi par mantenere un Re?”. Dopo l’inchiesta pubblicata sul libro “La Casta” dei giornalisti Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella (Rizzoli, 2007), il quotidiano “Libero”, con un articolo di Franco Bechis a pagina 11 dell’edizione del 29 febbraio scorso dal titolo “Re Giorgio si aumenta la corte (e le spese)”, ci aiuta a fare chiarezza sulla questione. L’idea di una Monarchia costosa e dispendiosa, contrapposta ad un’economa repubblica, si infrange bruscamente dinnanzi ai dati ufficiali. Bechis parte da un comunicato diffuso dal Colle il 12 febbraio 2012, in cui si esaltavano i tagli alle spese quirinalizie, evidenziando un risparmio di 60,5 milioni di euro e una riduzione del personale pari a 394 dipendenti. Ma è stato proprio così? Dall’articolo si evince che i 60,5 milioni di euro risparmiati sono semplicemente spese extra preventivate che non hanno trovato accoglimento. Il Quirinale “di Napolitano” costa a noi contribuenti ben 12 milioni di euro in più rispetto al Quirinale “di Ciampi”. Vero soltanto il ridimensionamento del personale che è passato dai 2.158 dipendenti dell’era Ciampi agli attuali 1.787. Il dato si ottiene fondamentalmente dalla riduzione dei militari impegnati presso il Colle. E’ però aumentato il personale a contratto legato al presidente, ovvero lo staff di Napolitano: da 85 a 103. Quindi dove sta il risparmio? “Libero” è andato a confrontare i conti del Quirinale con quelli dell’Eliseo e di Buckingham Palace. Non ci dobbiamo sorprendere del responso. La Monarchia inglese, nonostante i pregiudizi repubblicani, all’anno costa ai contribuenti ben poco (37,9 milioni) rispetto alla repubblica francese (112 milioni)… ma nulla in confronto a quella italiana (221 milioni). Sconvolgenti anche i costi di ogni singolo dipendente del Quirinale con una media di 123.670 euro all’anno, contro i 74.160 euro dell’Eliseo e i 43.546 euro di Buckingham Palace (un terzo di quelli italiani). Il Quirinale ha anche il primato della mancanza di trasparenza, infatti - come già denunciato a suo tempo da Francesco Cossiga - le spese dettagliate del Colle non vengono rese pubbliche, al contrario di un’adamantina trasparenza della Corte Inglese che rende note anche le cifre del restauro delle toilette reali. La Monarchia non solo è un’Istituzione migliore, ma fa anche risparmiare chi ce l’ha!
da FERT 02/2012
*I dati sono stati convertiti dalla sterlina all’euro - Tratto dal quotidiano “Libero” del 29.02.2012 - pag. 11 - di Franco Bechis - P&G/L