Parola di Re
L'UMI è istituita per raccogliere e guidare tutti i monarchici, senza esclusioni, al fine di ricomporre in sè quella concordia discors che è una delle ragioni d'essere della Monarchia e condizione di ogni progresso politico e sociale. Suo compito non è la partecipazione diretta alla lotta politica dei partiti, ma la affermazione e la difesa degli ideali supremi di Patria e libertà, che la mia casa rappresenta.
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Il Re Umberto II tra pregiudizi, slogan e luoghi comuni
di Salvatore Sfrecola
I pregiudizi sono difficili da sradicare. Si servono spesso di slogan e di luoghi comuni che fa comodo ripetere pedissequamente da chi è avvolto dalla pigrizia e non intende fare un minimo sforzo per riflettere ed eventualmente correggere una precedente informazione o un giudizio magari recepito da altri.
È una riflessione alla quale mi capita di ricorrere spesso a proposito di vicende storiche e di personaggi che ne sono stati protagonisti.
Così La Vallesusa del 9 marzo scrive che “due importanti anniversari si ricordano in Casa Savoia nel 2023. Il primo è rappresentato dai 150 anni dalla nascita di Elena del Montenegro, regina consorte di quello che sarebbe diventato re Vittorio Emanuele III, mentre il secondo ricorda i 40 anni dalla morte del “Re di Maggio”, Umberto II, ultimo sovrano d’Italia, cacciato dal referendum del 2 giugno 1946, quando gli italiani scelsero di darsi la forma istituzionale di una Repubblica.
Entrambe queste importanti figure, tutte e due morte in esilio, sono ricordate in questo periodo da una mostra appositamente allestita negli spazi della Palazzina di Caccia di Stupinigi, appartenente all’Ordine Mauriziano. L’esposizione s’intitola “Elena, Regina di Carità e di Pace”, rimando esplicito alla figura della madre di Umberto II.
E proprio in riferimento a quest’ultimo va segnalato un curioso carteggio che vide protagonista il monarca in esilio e una allora ragazzina torinese che oggi vive a Coazze: Franca Leporati. La giovanissima Franca, infatti, negli anni Settanta, scrisse un’accorata lettera all’ex re per manifestargli la sua vicinanza e il suo affetto”.
Perché ho scritto di pregiudizi. Perché, quanto ad Elena di Savoia, Regina d’Italia, non “Regina consorte”, espressione forse presa a prestito acriticamente da qualche tabloid britannico, sarebbe stato necessario, per completezza d’informazione, ricordare che il 15 aprile 1937 Papa Pio XI le conferì la Rosa d’oro della Cristianità, la più importante onorificenza per una donna da parte della Chiesa cattolica, mentre, alla sua morte, il Papa Pio XII la definì “Signora della carità benefica”. E la Chiesa la riconosce “serva di Dio”.
La carità cristiana, virtù tra le più importanti, la Regina Elena l’aveva manifestata in altre occasioni, costantemente, a Messina ed a Reggio Calabria, ad esempio, in occasione del devastante terremoto del 1908, tanto che, negli anni scorsi, è stato eretto in sua memoria e riconoscenza un monumento proprio nella città siciliana. Ancora Elena di Savoia seppe esercitare la sua propensione alla carità durante la Prima Guerra Mondiale quando volle trasformare il Palazzo del Quirinale nell’ospedale militare n. 1, dove furono ricoverati feriti e mutilati provenienti dai fronti di guerra. E successivamente, in esilio, continuò, con le poche risorse delle quali disponeva, ad elargire aiuti a chi si rivolgeva a lei.
Non sarebbe stato difficile acquisire elementi sullo spirito caritatevole della Regina, una virtù sempre apprezzata, quanto poco praticata dalle persone di potere.
Quanto al Re “di maggio”, che vuole indicare, con espressione dall’evidente senso dispregiativo, la figura dell’ultimo Sovrano, anche qui una riflessione sine ira ac studio, come si deve richiedere a tutte le persone di buona volontà, avrebbe dovuto consigliare di omettere quell’espressione, un po’ volgare, usata dalla propaganda socialcomunista e, soprattutto, dai repubblichini di Salò, nel corso della campagna elettorale in vista del referendum del 2 giugno 1946, considerato che Umberto di Savoia, nella veste di Luogotenente generale del Regno, aveva di fatto regnato per due anni nei quali era stato pesantemente pressato dai partiti repubblicani che volevano evitare che la sua figura assumesse maggiore popolarità che facevano intravedere le folle che lo acclamavano ovunque nelle sue visite alle città martoriate dalla guerra, cittadini che evidentemente distinguevano la sua figura da quella di coloro che avevano gettato l’Italia nel baratro di una guerra, a fianco della Germania nazista, che non avevamo alcun interesse a fare, noi Paese mediterraneo con interessi sull’altra sponda, a partire dalla Libia, per non dire di Eritrea, Etiopia e Somalia che potevamo rifornire esclusivamente via mare. Infatti, nel mare dominato dalle flotte inglese e francese, perdemmo rapidamente ogni collegamento con quei territori già tra il 1940 ed il 1941.
Ebbene, da Luogotenente e poi da Re Umberto fu ostacolato in tutti i modi. Gli fu perfino impedito dal Ministro della Giustizia, Palmiro Togliatti, di varare un’amnistia secondo una consuetudine che, ovunque nel mondo, accompagna l’ascesa al trono di un nuovo Re.
Infine, quanto al Re “cacciato” dal referendum, anche a prendere per buoni, cosa che nessuno ormai crede, i risultati del voto, è certo che quasi la metà degli italiani, tra quanti avevano potuto votare, pur nelle condizioni di intimidazioni e violenze che si sono registrate in alcune regioni del Nord, ha scelto la Monarchia. Comunque troppo poco perché, sono parole di Re Umberto, “la Repubblica si può reggere con il 51 per cento, la Monarchia no”. La Monarchia è la storia di una Nazione. O è assolutamente maggioritaria o non è.
Nel voto il governo, a maggioranza repubblicana, volle nella scheda elettorale simboli che possono aver determinato degli equivoci nei votanti: per la Repubblica (due rami di quercia e di alloro attorno ad una testa turrita di donna), per la Monarchia (una corona sovrapposta allo stemma di Savoia). Come era facile prevedere, l’effige muliebre sormontata dalla torre – scambiata con un ornamento regale – confuse gli strati meno accorti della popolazione, che videro nel simbolo l’immagine della regina e credettero di votare il Re segnando una croce a favore della Repubblica (la Consulta araldica aveva invano segnalato la necessità di “una figurazione di immediata comprensione per le masse popolari, specie nelle campagne, dove l’analfabetismo è prevalente”), come ricorda Jetti.
Ancora, sommando il numero dei voti per la Repubblica, quale risulta dall’ultimo verbale della Corte di Cassazione, con la cifra dei voti per la Monarchia e con quella dei voti nulli, si raggiunge la somma di circa 25 milioni (24.935 343), una cifra assolutamente impossibile secondo i dati ufficiali dell’Istituto di Statistica, che circa 25 milioni avessero votato. I dati relativi all’entità della popolazione italiana, alla percentuale dei maggiori di 21 anni, cioè gli elettori, considerati gli elettori defunti, assenti, inabilitati, impossibili dati i numerosissimi certificati elettorali non consegnati, portano concordemente a stabilire che fra il numero dei voti degli aventi diritto e il numero dei votanti, sulla base delle cifre ufficiali, vi è uno scarto in più i votanti di circa due milioni.
Quanto al criterio con cui fu stabilita la maggioranza si considerarono elettori votanti soltanto quelli in cui voto fu riconosciuto valido, contro il parere del Procuratore Generale della Corte di Cassazione: “non solo la lettera della legge impone di interpretare il termine elettori “votanti” nel senso di elettori che hanno comunque compiuto le operazioni di votazione, non solo i principi del diritto e la nostra tradizione, ma anche soprattutto lo spirito della legge, se la legge mira come è, a costituire precisamente un sistema di garanzie per la formazione della volontà collettiva”.
In proposito alcuni giuristi dell’Ateneo di Padova proposero un ricorso osservando che il decreto luogotenenziale del 16 marzo, con il quale era stato indetto il referendum, si riferiva a “maggioranza degli elettori votanti” non dei voti validi e la cifra degli elettori votanti mancava tra quelle rese note. Ci si era limitati a indicare i voti per la monarchia e i voti per la Repubblica; occorreva una maggioranza qualificata da calcolare tenendo conto anche delle schede bianche e nulle, occorreva cioè, come si dice in gergo elettorale, un quorum. Un successivo decreto del 23 aprile aveva disposto che nelle singole circoscrizioni si procedesse “alla somma dei voti attribuiti alla Repubblica e di quelli attribuiti alla monarchia”.
Passando al senso della votazione, ricordo Indro Montanelli: “di coloro che avevano votato Repubblica, la stragrande maggioranza pochissimi si erano resi conto che, con la monarchia, l’Italia rinnegava il Risorgimento, unico tradizionale mastice della sua unità. Era un mastice che non aveva mai operato a fondo e che aveva alimentato più una retorica che una coscienza nazionale. Ma, scomparso anche quello, il paese era in balia di forze centrifughe che ne facevano temere la decomposizione. Aizzata dai socialcomunisti, la lotta di classe deflagrata con una insolenza violenza proporzionale alla repressione per cui vent’anni l’aveva per vent’anni l’aveva sottoposto al fascismo, mentre il regionalismo, fomentato soprattutto dai democristiani, assumeva, specialmente in Sicilia, gli estremi del separatismo.”
Per chiudere, alla vigilia delle elezioni politiche del 18 Aprile 1948 il Ministro dell’Interno, Mario Scelba, tenne un comizio a Roma, in piazza del popolo, del quale dà notizia La Stampa di Torino che così riferisce le parole del Ministro: “Stavolta non si avranno brogli elettorali, come quelli che si ebbero il 2 giugno. Dallo scrutinio dei risultati di una sezione risultava che tutti avevano votato per la Repubblica. Ma il presidente disse: “Qui c’è un pasticcio senza dubbio. Mia moglie ha detto di avere votato per la monarchia e mia figlia lo stesso. Possono avere detto una bugia, come fanno le donne facilmente; ma il mio voto, per lo meno, ci deve essere. Io ho ben votato per la Monarchia. La mia scheda dove è andate a finire? Così la folla si divertiva”.
E così si spiega il carteggio, definito “curioso” da La Vallesusa, che vide protagonista il Re in esilio e una allora ragazzina torinese che oggi vive a Coazze: Franca Leporati. La giovanissima Franca, infatti, negli anni Settanta, scrisse un’accorata lettera all’ex re per manifestargli la sua vicinanza e il suo affetto. Un sentimento che poggiava sulle ragioni della storia d’Italia, divenuta una, dopo che “fummo da secoli/ calpesti, derisi/ perché non siam popolo/ perché siam divisi”, come recita l’Inno nazionale, per merito dei Re di Casa Savoia che, raccogliendo le istanze dei liberali provenienti da ogni angolo della Penisola, hanno messo in gioco il loro destino politico per scegliere l’Italia unita, dalle Alpi al Lilibeo. Un’avventura iniziata quando il Piccolo Piemonte entrò in guerra contro l’impero più potente dell’epoca, l’Austria-Ungheria. Non ci pensiamo mai quando ascoltiamo la Marcia del Maresciallo Radetzky, il comandante dell’armata austriaca, un mito nel mondo militare di quegli anni.
Nuova pubblicazione su Re Umberto II
L'Unione Monarchica Italiana, in occasione del quarantesimo anniversario della morte di Re Umberto II, presenterà il quarto volume della collana " L'Italia in eredità", diretta da Alessandro Sacchi, Presidente Nazionale dell'Associazione, durante le celebrazioni che si terranno a Roma sabato 18 marzo 2023.
Il libro è edito dalla casa editrice Historica e si aggiunge ai tre precenti volumi già pubblicati.
Sacchi (presidente UMI): l’idea monarchica è unificante e può salvare l’Italia. Non siamo né di destra né di sinistra, abbiamo monarchici anche nel Governo
Intervista all’avvocato Alessandro Sacchi, dal 2012 presidente dell’Unione Monarchica Italiana. Tra i temi affrontati: L`erede al trono? E’ il principe Aimone di Savoia. La monarchia e il fascismo, il referendum del ’46, ‘’la forza unificante della monarchia che non ha colore politico ’’ come mostra la convivenza nelle grandi monarchie europee con i socialdemocratici, i socialisti, i popolari, i laburisti. Vittorio Emanuele III e le leggi razziali, perché accanirsi con il sovrano e non invece con chi quelle leggi le approvò in Parlamento? Se non le avesse firmate Mussolini, allora all’apice del potere, avrebbe abolito la monarchia e proclamato la Repubblica fascista. Una testimonianza di Ciano. Un aneddoto di Talleyrand
Presidente Sacchi, l’intenzione è quella di fare una intervista ‘’conoscitiva’’, e quindi con anche con domande che possono sembrare provocatorie, ma in realtà servono a ‘’provocare’’ nuovi spunti di riflessione in chi leggerà. Quindi confido che Lei voglia rispondere senza formalismi ma con spontaneità e brillantezza. Così aiutiamo anche i lettori a capire. Le domande a volte sono volutamente lunghe per dare all’intervista la forma di una conversazione.
D’accordo, proceda con le domande.
Avvocato Sacchi, da quanti anni è alla guida dell’Unione Monarchica Italiana?
Dal 2010 come vicario. Dopo un anno e mezzo, nel congresso di Roma nel 2012, fui acclamato presidente.
Lei è napoletano, e mi verrebbe di dire che mi sembra quasi naturale che il presidente dell’Umi sia napoletano o comunque meridionale.
Sì sono di Napoli.
Lei mi domanderà il motivo di questa che può sembrare una battuta singolare.
Beh, in effetti me lo stavo domandando.
Glielo dico subito, offrendo alla sua attenzione e di chi ci legge alcuni dati.
Nel referendum del 2 Giugno 1946, il Mezzogiorno votò in stragrande maggioranza Monarchia; Napoli era quasi la ‘’capitale’’ dell’Italia monarchica. Vittorio Emanuele III, Lei lo sa, tra i tanti nomi aveva anche quello di Gennaro, e il titolo di Principe di Napoli, oltre che di Piemonte.
Lei mi ha detto che è di origini leccesi. Lo sa che Lecce ha dato nel referendum del ’46 la più alta percentuale di voti alla monarchia? Lecce ha avuto un senatore monarchico, il principe del Foro Oronzo Massari, che è stato anche sindaco molto popolare e amato di quella città.
Ricordo un altro dato per chi ci legge. Con l’avvento della Repubblica ci fu il Pnm, Partito nazionale monarchico, guidato da Alfredo Covelli, anch’egli avvocato, un galantuomo d’altri tempi. Poi cambiò nome in Pdium, partito democratico italiano di unità monarchica; il Pnm si scisse e Napoli fu l’epicentro del terremoto monarchico con la nascita del Partito monarchico popolare, fondato da Achille Lauro, naturalmente non il cantante che non era neanche nato, ma dal famoso e discusso armatore.
Infine: dopo i risultati del referendum che sancì la vittoria della Repubblica, e mentre si aspettava la convalida definitiva da parte della Cassazione, Umberto II – un Re Galantuomo, non meno del bisnonno Vittorio Emanuele II ma forse anche di più – era un po’ titubante sul da farsi: chiese un parere al ministro della Real Casa, il marchese Falcone Lucifero, il quale rispose: Maestà, se parte, ci saranno morti a Napoli; se non parte, ci saranno morti a Milano. Alla fine Umberto, un po’ ingenerosamente liquidato dai giornali come il ‘’re di maggio ’’, decise di abbandonare il campo accettando di fatto il responso referendario senza attendere il verdetto definitivo della Cassazione, e prese la via dell’esilio in Portogallo, come il suo avo Carlo Alberto cento anni prima.
La seguo in questa ricostruzione, ma voglio precisare che noi non siamo mossi dalla nostalgia ma dal ricordo, non solo dei regnanti ma anche di chi ha combattuto per gli ideali della Patria. Ho potuto conoscere non solo i ragazzi del ’99, i combattenti di Vittorio Veneto ma anche combattenti di valore della seconda guerra mondiale.
Dell’idea monarchica, le domanderò dopo.
La vittoria della Repubblica fu uno choc per i monarchici. C’è una scena di un bel film di Dino Risi, Una vita difficile: in casa dei marchesi Rustichelli, ovviamente monarchici, è ora di pranzo e si attendono i risultati del referendum, a cui viene invitato casualmente un giornalista (antifascista) che è Alberto Sordi, ma solo perché erano in 13 e cercavano un quattordicesimo commensale Portano un bel pasticcio in tavola, Sordi, che non mangiava da due giorni, avidamente lo guarda, e impugna la forchetta per assaggiarlo, ma proprio in quel momento la radio annuncia: comunichiamo i risultati del referendum; la marchesa gela Sordi con queste parole: ma che fa? mangia? Dopo di che lo speaker annuncia: Monarchia: dieci milioni 718 mila 502; i padroni di casa Rustichelli esultano in coro: mammà, abbiamo vinto, ma la voce si spegne subito alle parole successive: Repubblica: dodici milioni 718 mila 641: da oggi l’Italia è repubblicana.
La marchesa quasi sviene, la figlia grida: oddio mammà si sente male.
I monarchici in realtà non hanno mai accettato, non solo psicologicamente ma anche mentalmente, i risultati del 2 giugno. Lei che è di un’altra generazione non mi dirà che anche lei conserva qualche dubbio…..
Su quest’ultimo punto dopo decenni di oblìo sono cominciate a uscire delle ricerche che, come quello di Aldo Mola, gettano un po’ di luce su aspetti controversi e rimasti oscuri. Parliamoci chiaro: non ci fu la ‘’grande frode’’, ma tante piccole frodi per ottenere un risultato che poi stupì gli stessi vincitori. Aldo Mola ha fatto ricerche all’archivio di Stato. Lei lo sa che le schede del referendum furono distrutte subito dopo il voto? E non fu possibile riconteggiarle. Qualche scheda è stata trovata sulle bancarelle dei mercatini. Altro aneddoto illuminante: a Roma alcune suore che avevano deciso di votare per la Monarchia, seppero che nella sezione dove avevano votato, risultarono solo voti per la Repubblica.
E’ la solita vulgata di Romita grande manovratore?
Non tanto Romita (ministro dell’Interno, NdR), quanto Togliatti. ‘’I parti difficili vanno assecondati e pilotati. Questa è’ una frase del segretario del Pci!
Lasciamo ora la parte storica e veniamo a questioni più di principio. Detto sbrigativamente: secondo Lei l’idea monarchica, la stessa monarchia, ha ancora senso in quest’era che più che moderna ormai viene chiamata post moderna? Può spiegarlo ai giovani di oggi, che peraltro conoscono poco la storia e la studiano ancor meno?
Ribadisco il principio: nel riproporre l’idea monarchica e i princìpi monarchici, non siamo mossi da spirito nostalgico: lei pensi a ciò che potrebbe essere la monarchia in Italia, guardando alle grandi monarchie parlamentari d’Europa. Lì c’è la divisione dei poteri e al vertice un capo dello Stato che esercita un potere neutro, secondo una funzione arbitrale e garantista. E qual è la qualità massima di un arbitro? La terzietà.
Allude alla situazione italiana?
Non faccio, sia chiaro, una questione di persone, ma di principio e mi pongo delle domande: se un soggetto ha militato per 50 anni in un partito sarà sereno nell’esercizio del suo potere garantista? Si può resettare una ideologia? La Repubblica dà per scontato, quasi per automatico, che la figura del Capo dello Stato sia terza.
Lei allude ma non fa nomi
Non ho difficoltà a farne. Per esempio Scalfaro, e lo stesso presidente Mattarella: dovevano sciogliere le Camere in certe situazioni senza sbocco e invece hanno scelto altre soluzioni.
Lei dunque non rimpiange ‘’Stella e Corona’’
Non la rimpiangiamo, non siamo revanchisti. Noi proponiamo l’idea monarchica in modo nuovo, guardando alle grandi monarchie del Continente.
Ho letto un messaggio di Umberto, inviato agli Italiani, come spesso faceva quando era in esilio a Cascais, dove parla dell’idea monarchica come simbolo e fattore di concordia nazionale che trascende le divisioni politiche e partitiche. Ma è un messaggio del 1952, di più di 70 anni fa! Secondo Lei è ancora valido?
C’è in questo messaggio l’idea della monarchia come forza unificante, che è al disopra delle fazioni, dei partiti e delle ideologie. In Spagna se ci fosse stata la Repubblica, i catalani se ne sarebbero già andati. Come in Belgio i valloni e fiamminghi. Questo dimostra la forza della monarchia di essere collante della nazione.
Avete un programma politico immagino. Quali sono i punti essenziali, i valori fondanti del vostro essere monarchici?
Noi intanto chiediamo l’abrogazione dell’articolo 139 della Costituzione (La forma repubblicana dello Stato non è soggetta a referendum, NdR). Lasciamo decidere al popolo ridandogli la piena sovranità. Siamo per il rigore e la qualità nell’impegno politico, per il senso civico, per la severità degli studi e la preparazione. Altrimenti c’è lo scadimento culturale e professionale di una classe politica non sempre all’altezza. Ci vuole preparazione anche per fare l’accalappiacani.
Vi considerate, uso un criterio mi rendo conto schematico ma è per dare l’idea, di Destra, di Sinistra, di Centro?
Noi ci impegniamo anzitutto per spiegare anche ai giovani la forza e la perdurante modernità dell’idea monarchica, pur nella sua tradizione millenaria europea. Ma non ci imbranchiamo in un partito di destra o di sinistra. E poi finiamola con questa semplicistica equazione che chi è monarchico debba essere di destra. La monarchia è al di sopra del colore politico. In Svezia la monarchia ha convissuto e convive con la socialdemocrazia, in Inghilterra con i conservatori e i laburisti, in Spagna con i popolari e con i socialisti. Nella Napoli della rivolta di Masaniello, la popolazione gridava viva ‘o re di Spagna, mora ‘o malgoverno’’. La gente era esasperata ma non gridava ‘’ a morte il re’’. Il re è al di sopra.
In Italia, abbiamo avuto presidenti della Repubblica monarchici: come De Nicola ed Einaudi.
Anche Einaudi?
Certo. Al referendum votò Monarchia. E poi anche oggi abbiamo monarchi in politica, li abbiamo anche al governo.
Ma davvero?! A chi si riferisce?
Tajani è monarchico. E anche Crosetto.
Mi perdoni ma a volte parlando dei Savoia vengono spontanee le battute. Per esempio, al pensiero dell’abisso che c’è tra Emanuele Filiberto di Savoia, il glorioso vincitore della battaglia di San Quintino, in cui fece ballare i francesi, e l’attuale Emanuele Filiberto che balla sotto le stelle ( quantum mutatus ab illo). O pensando a Vittorio Emanuele III, che si ostinò fino all’ultimo a non coinvolgere il figlio Umberto negli affari di Stato ( in Casa Savoia si regna uno alla volta), non volle ascoltare l’idea di Croce di abdicare in favore non del figlio ma del nipote ( con la reggenza di Maria Josè).
Per cui le prospetto l’obiezione che viene spontanea: l’idea monarchica la dovrebbero impersonare personaggi discussi come gli attuali eredi di Savoia? (Vittorio e Emanuele e il figlio Emanuele Filiberto?)
E chi gliel’ha detto che sono loro gli eredi al trono?
E chi sono allora?
L’erede è Aimone di Savoia
Del ramo Savoia Aosta?
Aimone di Savoia, e basta, altrimenti per gli altri dovremmo specificare Savoia- Carignano. Il principe Aimone è una persona che lavora, ha responsabilità manageriali e direttive al massimo livello, ha ricevuto anche una onorificenza dalla Repubblica.
Io stesso sono il primo dirigente monarchico che vive del suo lavoro (avvocato cassazionista, NdR).
Ovviamente lei non la prende nemmeno in considerazione la Repubblica presidenziale
Sarebbe l’ultimo errore che possa fare l’Italia. La via da seguire è una effettiva democrazia parlamentare, con il Parlamento al centro e un capo dello Stato terzo non frutto di maggioranze politiche.
Ma su Vittorio Emanuele III non ha ancora risposto
Mi basta dirle: la monarchia italiana è stata una monarchia parlamentare e costituzionale.
Ma poi ci fu la Marcia su Roma, la mancata concessione dello stato d’assedio richiesto dal presidente del Consiglio Facta…
Dopo la marcia Vittorio Emanuele III diede l’incarico a Mussolini di formare un governo. Governo in cui entrarono anche popolari, come Gronchi, poi diventato capo dello Stato nel ’55.
E cosa pensa del comportamento di un re, che di fatto spalleggia e copre un dittatore e un regime liberticida per 20 anni e poi dopo il 25 luglio – in cui Dino Grandi e lo stesso Ciano fecero per lui il ‘’lavoro sporco ’’ di votare l’ordine del giorno che di fatto esautorava il ‘’duce’’- riceve Mussolini, e senza dirgli nulla lo fa arrestare appena si avvia all’uscita. Gesto che i fascisti non gli hanno mai perdonato.
Ma bisogna tenere a mente un dato importante, senza il quale la storia italiana non la si inquadra nel modo obiettivo.
E cioè?
Lo Statuto Albertino, che vigeva dal 1848 non era una Costituzione rigida; per modificarlo bastava una legge ordinaria, e in parlamento bastava avere una maggioranza per farlo. Non era come la Costituzione vigente che per essere modificata ha bisogno di un largo schieramento parlamentare.
Dove porta questo discorso?
Il fascismo ha scardinato con una serie di leggi ordinarie le prerogative del Re. Il Gran Consiglio assunse il potere di una terza Camera.
Ma sulle leggi razziali, che il re firmò, e di cui si è riparlato giorni fa durante le celebrazioni della Giornata della Memoria, che mi dice?
Intanto stavolta le faccio io una domanda provocatoria: perché prima di accanirsi contro il re che firmò le leggi razziali non si accaniscono contro coloro che le votarono in Parlamento? Se il re non le avesse firmate, avremmo avuto un conflitto al vertice dello Stato, forse avremmo avuto la Repubblica fascista.
Addirittura!
Ma le voglio dare un altro dato: nei Diari di Galeazzo Ciano, genero del ‘’duce’’, è riportato questo episodio: Mussolini andava tutti i giovedì in udienza dal Re. Durante una di queste udienze, disse a Vittorio Emanuele: Ci sono 25 mila persone che sono preoccupate ( per le leggi razziali, NdR). Il Re rispose: ci metta tra questi 25 mila anche me. E poi non dimentichiamo che Mafalda di Savoia è morta nel lager di Buchenwald.
Vittorio Emanuele III meritava di essere sepolto nel Pantheon, dove riposano i genitori Umberto I e la Regina Margherita e il nonno Vittorio Emanuele II?
I re d’Italia debbono essere sepolti nel Pantheon. Re Umberto disse: ‘’Mio padre e mia madre’’ (la regina Elena, NdR) ‘’o vengono al Pantheon o stanno bene dove sono ’’.
Lei dice di non essere nostalgico. Ma quanta fiducia ha che l’idea monarchica trionfi?
Ne sono sicuro.
Ad ascoltarla, debbo ammettere, colpisce la sua fede
Non è solo fede, la fede è cieca. La mia è consapevolezza. Ma voglio concludere con un bon mot di Talleyrand
Ne ha detti tanti. Conosco per esempio quello contro gli zelanti (surtout, pas trop de zel)
No, questo riguarda la monarchia. Talleyrand , che era monarchico….
Ma anche bonapartista, e tante altre cose
A Talleyrand, un giorno dissero: tu sei monarchico, perciò tu sei indietro. E lui rispose: e se fossi io a stare avanti?
Mario Nanni – Direttore editoriale
Le Foibe, un orrore da non dimenticare
di Salvatore Sfrecola
L’orrore delle Foibe, la spietata uccisione di migliaia di italiani di Istria e Dalmazia, gettati spesso vivi nelle cavità carsiche, profonde anche centinaia di metri, nell’ambito di una pulizia etnica condotta con premeditata determinazione dai partigiani comunisti del Maresciallo Tito, da ricordare ogni giorno, assume una particolare evidenza nella giornata deputata alla memoria di quegli eventi. Una strage scatenata a guerra finita contro centinaia di migliaia di persone ordiate perché italiane, costrette a fuggire per salvarsi la vita. Esuli senza poter portare nulla con sé, “spesso accolte con insulti e violenze dai comunisti di casa nostra, che riconoscevano una sola patria: la Russia di Stalin”, ricorda Giuseppe Sanzotta su Il Borghese, del quale è Direttore. Accadde alla stazione di Bologna, dove fu impedito ai profughi di scendere dal treno e fu disperso dai comunisti locali il latte che la Croce Rossa aveva portato per i bambini.
Su queste tristissime vicende si è mantenuto per anni un “omertoso silenzio” – ancora con le parole di Sanzotta – per motivi politici, giunto perfino a contestare il numero delle vittime, in ossequio alla versione che gli italiani dell’Istria fossero vicini al Fascismo. E se questo è stato certamente vero per alcuni, non avrebbe mai potuto giustificare in nessun modo l’uccisione di migliaia di persone e l’espropriazione dei beni di una comunità che si era dedicata a quelle terre da secoli e che le aveva rese prospere e civili.
Così, nel “Giorno de ricordo”, giunge da vari esponenti della politica e della cultura la richiesta che la vetrina straordinaria del Festival di Sanremo sia occasione per ricordare a tutti gli italiani, soprattutto delle giovani generazioni, quell’immane tragedia che ha colpito tanti italiani, colpevoli solamente di essere portatori di una antica cultura ricca di valori civili e spirituali.
Tommaso Foti, Capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, Maurizio Gasparri, Senatore di Forza Italia e Vicepresidente del Senato, Federico Mollicone, Presidente della Commissione Cultura della Camera, parlamentare di FdI sono stati i primi a chiedere che a Sanremo si ricordino le Foibe, stasera, nella Giornata della Memoria di quei tragici eventi. Insieme al Ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano.
Nell’occasione del 10 febbraio e per tramandare la memoria dell’esodo degli italiani e del massacro di quanti non riuscirono a mettersi in salvo, la Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha adottato un decreto che istituisce il Comitato per il coordinamento per le celebrazioni del Giorno del Ricordo in memoria delle vittime delle foibe e dell’esodo istriano, fiumano e dalmata. Inoltre, da domani alle 18 Palazzo Chigi sarà illuminato con il tricolore.
Il 10 febbraio, ha detto il Ministro Sangiuliano, “è la giornata dedicata al ricordo dell’orrore delle Foibe e dell’esodo giuliano-dalmata. Sono rispettosissimo dell’autonomia dell’arte e del lavoro culturale degli artisti. Ma da cittadino, prima che da ministro, credo sarebbe un gesto importante che il Festival di Sanremo dedicasse un momento, domani sera (stasera, n.d.a), proprio al Giorno del Ricordo”. Ed ha rivolto un appello agli organizzatori del Festival affinché, in un apposito spazio, all’interno dell’evento, sia ricordato l’esodo giuliano-dalmata e la tragedia delle Foibe.
Federico Mollicone è stato tra i primi a sollecitare gli organizzatori del Festival. Con lui i senatori di Fratelli d’Italia Lavinia Mennuni, Roberto Menia e Andrea De Priamo: “Sarebbe un bel segnale per l’Italia se, come giustamente sottolineato dalle associazioni degli esuli, nel corso del Festival musicale di Sanremo, che ormai costituisce una vetrina per il lancio di messaggi di ogni tipo, visto da milioni di italiani, molti dei quali giovani che spesso poco sanno delle foibe, fosse ricordata questa drammatica pagina della nostra storia nazionale per troppo tempo censurata”. Sarebbe, infine, anche un modo per ricordare i grandi artisti giuliano-dalmati, attori e cantanti, come Laura Antonelli, Gianni Garko, Wilma Goich, Alida Valli, Sergio Endrigo, anche loro esuli che scelsero per amore dell’Italia di rimanere liberi ed italiani.
Alla vigilia del Giorno del Ricordo, il Presidente del Senato, Ignazio La Russa, ha visitato la Foiba di Basovizza (Trieste) e ha incontrato due parenti di Norma Cossetto, la ragazza istriana gettata in una foiba nell’ottobre del 1943, dopo essere stata torturata e stuprata dai partigiani jugoslavi, nella notte tra il 4 e il 5 ottobre 1943.
Ognuno di noi conosce o ha conosciuto profughi o figli di profughi. E di tutti abbiamo letto negli occhi il dramma che hanno vissuto o che è stato loro raccontato. E inevitabilmente spunta una lacrima.