di Davide Simone

 

"Gli amici della birreria strillano ogni sera come aquile contro l’iniqua invasione e gli atti di selvaggia ferocia; lui Berecche non insorge, sta zitto, pur sentendosi divorare dentro dalla rabbia, perché non può gridar loro in faccia, come vorrebbe: «Imbecilli! che strillate! È la guerra!». Non insorge, e ingozza, perché è sbalordito. Sbalordito non di quella invasione, non di quegli atti di ferocia, ma della colossale bestialità tedesca. Sbalordito. Dall’altezza del suo amore e della sua ammirazione per la Germania, cresciuti smisuratamente con gli anni, questa colossale bestialità è precipitata come una valanga a fracassargli tutto: l’anima, il mondo quale se l’era a mano a mano, dai nove anni in su, tedescamente costruito, con metodo, con disciplina, in tutto: negli studi, nella vita, nelle abitudini della mente e del corpo." [...] "Lì tappato nel suo studio, che nessuno lo vede, Berecche si sente voltare il cuore in petto al ricordo di ciò ch’egli intendeva per metodo tedesco, al tempo dei suoi studi, al ricordo delle soddisfazioni ineffabili ch’esso gli dava quando con gli occhi stanchi della faticosa paziente interpretazione dei testi e dei documenti, ma con la coscienza tranquilla e sicura d’aver tenuto conto di tutto, di non essersi lasciato sfuggire nulla, di non aver trascurato nessuna ricerca utile e necessaria, palpeggiava, la sera, rincasando dalle biblioteche, là sul tavolino da studio, il tesoro dei suoi schedari voluminosi. E tanto più si sente sanguinare il cuore, in quanto ora avverte con sordo livore, che per le soddisfazioni che gli dava quel metodo egli, sotto sotto, commetteva la vigliaccheria di non dare ascolto a una certa voce segreta della sua ragione insorgente contro alcune affermazioni tedesche, che offendevano in lui non soltanto la logica ma anche, in fondo in fondo, il suo sentimento latino: l’affermazione, per esempio, che ai Romani mancasse il dono della poesia; e, accanto a questa affermazione, la dimostrazione che poi fosse leggendaria tutta la prima storia di Roma. Ora, o l’una cosa o l’altra. Se leggendaria, cioè finta, quella storia, come negare il dono della poesia? O poesia o storia. Impossibile negare l’una e l’altra cosa. O storia vera, e grande; o poesia non meno grande e vera." In questa novella del 1915 dal titolo "Berecche e la guerra", Luigi Pirandello fotografava lo stato d'animo della generazione nata dopo i processi risorgimentali ottocenteschi e cresciuta con il mito della Germania bismarckiana e guglielmina come faro del progresso economico-industriale e garante dell'ordine tradizionale*. Professore di mezza età, Federico Berecche si trovava in difficoltà e dilaniato dai dubbi e dai ripensamenti di fronte alle notizie, vere o false, che la propaganda italiana riportava sulla Germania, per preparare l'opinione pubblica alla guerra con Berlino. Una condizione comune ad un'intera generazione, si è detto, ma più in generale ad un mondo politico e intellettuale che ancora sentiva quel legame con la Germania sviluppatosi durante il Risorgimento e cementatosi a causa delle frizioni con la Francia (ad esempio per la questione tunisina) e che ancora nel 1915 riteneva possibile evitare il conflitto con l'esercito di Guglielmo II o addirittura invocava l'impegno militare contro la Triplice Intesa. E' il caso, volendo fare solo qualche nome, di Ruggero Fauro e Luigi Federzoni, i quali auspicavano un intervento in seno alla Triplice Alleanza convinti che poi i tedeschi avrebbero costretto l'Austria-Ungheria a cedere all'Italia le terre irredente, di Alfredo Rocco e Francesco Coppola, che invece consideravano la Germania un alleato fondamentale contro gli slavi. A onor del vero bisogna tuttavia precisare che la generazione dei "Berecche" si caratterizzò anche per una decisa insofferenza nei confronti della Germania, vista come la causa di una certa situazione di stasi in cui si trovavano il nostro Paese e le sue ambizioni irredentistiche e di potenza. Le resistenze all'entrata in guerra contro le forze del Kaiser, condivise tra l'altro dallo stesso establishment governativo italiano (si pensi a Sonnino e Salandra) e la contestuale volontà di limitare lo scontro bellico al fronte con l'Austria-Ungheria, dimostrano e confermano come per Roma il 1915-1918 abbia avuto soprattutto finalità "risorgimentali" (il completamento dell'unità nazionale) e non già imperialistiche, come invece vorrebbe una certa lettura, ideologica e parziale.*Berecche dirà infatti anche: "Ma ti dico questo, e te lo dico forte, perché lo sentano anche di là, quelle due furie che vorrebbero impedirmi di ragionare, venendo qua a gridarmi che vogliono da me il fratello, il fidanzato, come se io fossi pazzo come loro; ti dico questo: che adesso io sono di nuovo per la Germania, sì, sì, te lo dico forte, per la Germania, per la Germania, che avrà commesso una pazzia, anzi l’ha commessa di certo, ma vedi che spettacolo offre ancora a tutto il mondo? Se l’è concitato contro e lo tiene a bada tutto il mondo! Impotenti tutti contro lei potente! Che spettacolo è questo! E volete abbatterla? distruggerla? Chi? La Francia, fradicia, la Russia coi piedi di creta, l’Inghilterra? E valgono forse più di lei? Che valgono di fronte a lei? Niente! Niente! Non la vince nessuno!"

 

 

Riferimenti bibliografici: Luigi Pirandello, "Berecche e la guerra"; Federico Niglia, "L'antigermanesimo italiano. Da Sedan a Versailles"

 

Nuova puntata dell'antica disputa dinastica all'interno di Casa Savoia. Chi rappresenta la Famiglia?

 

Il sempre pronto Emanuele Filiberto ha trovato il tempo, tra un balletto ed una pubblicità, per attizzare il fuoco della polemica, affermando che, senza dubbio, è Suo Padre il Capo della Real Casa di Savoia. Lo deduce da taluni atteggiamenti del Re Umberto II, ad esempio dal fatto che il Principe Vittorio Emanuele sia stato, tra l’altro, accanto al Sovrano in occasione di un incontro con una rappresentanza di monarchici italiani in terra di Francia. Questa presenza, sostiene Emanuele Filiberto, dimostrerebbe l’abbandono da parte del Re dell’atteggiamento ostile manifestato alla notizia, raccolta dalla stampa, di ipotizzate nozze del figlio con la Signorina Dominique Claudel.

Era il 1960 ed Il Re aveva scritto al figlio il 25 gennaio ricordando le regole della Casa, contrarie a matrimoni borghesi. Regole che, scriveva il Sovrano, “non intendo e non ho il diritto di mutare, nonostante l'affetto per te”. Ora è certo che, in presenza di altra sposa, il Re non abbia modificato l’opinione su una regola che, ricordava, era stata “rispettata dai 43 Capi Famiglia, miei predecessori”. Concludendo che se il matrimonio avesse luogo “tutti i diritti passerebbero immediatamente a mio nipote Amedeo, Duca d’Aosta”.

Tali considerazioni del Re Umberto, furono ripetute nel 1963, alla notizia di altro fidanzamento di Vittorio Emanuele.

Pertanto, la presenza del Principe Vittorio Emanuele e della Consorte nelle richiamate circostanze, e forse in altre, attesta semplicemente l’immutato affetto per il figlio che pure aveva violato la legge dinastica.

Al citato evento pubblico, l’imbarazzato atteggiamento del Re, che non desiderava mostrarsi in pubblico con il figlio e la nuora, fu percepito dai molti presenti che ne hanno reso testimonianza ripetutamente.

Ancora una volta si cerca di confondere i ruoli di figlio e quello di successore dinastico, qualifica ultima che il ramo di Ginevra ha in più occasioni mostrato di non avere interesse ad esercitare, dall’atto di “intronizzazione” del 1969, alle tristi vicende dell’isola di Cavallo.

Da ultimo, a fronte della attestata fedeltà del Re Umberto II alle regole dinastiche contenute nella Legge Salica e alla Sua affermazione che “non intendo e non ho il diritto di mutare”, in dispregio della volontà del Sovrano è stato dato ampio risalto nei mesi scorsi ad una modifica dell’antica regola della successione al trono un Re in carica avrebbe potuto modificare nelle forme proprie della produzione legislativa. Una ulteriore dimostrazione che Vittorio Emanuele si è posto fuori della legalità dinastica.

Roma, 17 giugno 2021

Il Presidente Nazionale

Avv. Alessandro Sacchi

 
Nuove fiabe da Ginevra.
Il rampante Emanuele Filiberto, che balla senza essere un ballerino, cucina senza essere un cuoco, commenta senza essere un giornalista, non potendo incarnare la legittimità di esercizio inventa la legittimità d'origine. 
Ancora una volta ripetiamo: Umberto II  fu inequivocabile.
Nel 1960 e nel 1963, con lettere a disposizione di chiunque, dispose circa la successione dinastica. 
Ciascuno oggi sceglie che mestiere cambiare ogni settimana. 
Decidano, una buona volta a Ginevra, cosa fare da grandi.
Rimaniamo in attesa di vedere il decreto di concessione quale Principe di Venezia. 
Roma, 11.06.2021
 
Il Presidente Nazionale
Avv. Alessandro Sacchi

 

 

Oggi, 09 giugno 2021, il Presidente Nazionale dell’U.M.I., Avv. Alessandro Sacchi, ha nominato Daniele Petrini, Dottore in Ottica e Optometria presso l’Università degli Studi Roma Tre, Commissario per il Lazio dell’Associazione e Francesca Stajano, dottoressa in giurisprudenza, artista, Commissario cittadino per la Capitale dell’Unione Monarchica Italiana.

Ai nuovi Dirigenti i migliori auguri di buon lavoro dall’Associazione

Il Dott. Daniele Petrini 

la Dott.ssa Francesca Stajano 

 

Mercoledì 9 giugno 2021, il Presidente Nazionale dell’U.M.I., Avv. Alessandro Sacchi, ha conferito all’Avv. Gustavo Pansini, Professore Emerito di Diritto processuale penale all’Università di Tor Vergata di Roma, già Presidente dell’Unione delle Camere Penali, illustre giurista partenopeo, la Medaglia della Fedeltà d’Argento dell’Unione Monarchica Italiana

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Il Presidente Nazionale dell'Unione Monarchica Italiana, Avv. Alessandro Sacchi, con il Prof.Avv. Gustavo Pansini

 

Si sono tenute venerdì 4 giugno 2021 nella sua città natale, Firenze, le esequie di S.A.R. il Principe Amedeo, Duca di Savoia e Duca d’Aosta. La millenaria Basilica di San Miniato al Monte ha fatto da scenario all’ultimo commosso saluto di parenti ed esponenti dell’aristocrazia internazionale, amici, personalità del mondo pubblico e privato, ma soprattutto di italiani, a testimonianza del grande rispetto e affetto nei confronti del defunto Principe e Capo della Real Casa. Il feretro, avvolto nel tricolore con le insegne sabaude, il collare della Santissima Annunziata e un cuscino di rose bianche a formare il nodo Savoia, tra i più antichi simboli del Casato, è stato atteso dalla Marina Militare di cui fu ufficiale e il cui cappello e sciabola d’ordinanza hanno accompagnato la salma durante il corso della funzione. La messa con canti della missa pro defunctis, officiata da padre Bernardo Gianni, si è conclusa con la commossa lettura del conte Jacopo Guicciardini della Preghiera del Marinaio, seguita dalle note della Ciaccona di Bach, suonate dal violinista inglese Charlie Siem. Il corteo funebre, aperto da S.A.R. il Principe Umberto, ha accompagnato l’uscita della bara sul sagrato della chiesa dove, alla voce unanime di “Viva il Re!”, il Presidente dell’Unione Monarchica Italiana, avv. Alessandro Sacchi, ha ricordato il Principe Amedeo come un “grande italiano e una grande risorsa per l’Italia. Sarebbe stato uno splendido Capo di Stato, aveva sempre una risposta lucida, ponderata e saggia, ma soprattutto sapeva ascoltare. Ci mancherà molto”. L’UMI, parte attiva nell’organizzazione e coordinamento dei funerali del defunto Capo della Real Casa, ha trasmesso la diretta delle esequie per consentire a quanti non potessero partecipare a causa delle restrizioni previste dai protocolli per il contenimento della pandemia (codiv-19) di assistere alla commemorazione, registrando oltre 15.000 visualizzazioni. Segno, questo, del grande rispetto degli italiani verso il Principe e del costante interesse verso l’istituto monarchico, uno dei “tanti piccoli segnali del legame che può tenere uniti i cittadini che si riconoscono in un simbolo più che in una persona. Il Principe Amedeo, come Capo della Casa Reale, era il riferimento di tanti che immaginano che al vertice di una democrazia parlamentare ci debba essere un arbitro terzo ed imparziale”.

 Il feretro di S.A.R. il Principe Amedeo di Savoia, Capo della Real Casa di Savoia

L'interno della Basilica di San Miniato al Monte ( Firenze)

da sx: l'Avv. Alessandro Sacchi, Presidente Nazionale dell'Unione Monarchica Italiana, l'Ing. Daniela Scala Sacchi, l'Avv. Edoardo Pezzoni Mauri, Vicepresidente Nazionale dell'Unione Monarchica Italiana, e il Capitano di Vascello Dott. Ugo d'Atri, Presidente dell'Istituto Nazionale per la Guardia d'Onore alle Reali Tombe del Pantheon

S.A.R. la Principessa Silvia di Savoia, vedova di S. A.R. il Principe Amedeo di Savoia, e alle spalle S.A.R. il Principe Aimone di Savoia, Duca di Savoia e Duca d'Aosta, Capo della Real Casa di Savoia 

S.A.R. il Principe Umberto di Savoia, Principe di Piemonte, con il Collare della Santissima Annunziata di S.A.R. il Principe Amedeo di Savoia

da sx: S.A.R.la Principessa Olga di Savoia, Duchessa di Savoia e Duchessa d'Aosta, S.A.R.la Principessa Isabella  di Savoia Aosta e S.A.R.il Principe Aimone di Savoia, Capo della Real Casa di Savoia

S.A.R. il Principe Aimone di Savoia, Duca di Savoia e Duca d'Aosta, Capo della Real Casa di Savoia

Le Bandiere del Regno d'Italia sulla scalinata della Basilica di San Miniato al Monte ( Firenze) coordinate dal Prof. Barardo Tassoni, Vicesegretario Nazionale dell'Unione Monarchica Italiana