Parola di Re
L'UMI è istituita per raccogliere e guidare tutti i monarchici, senza esclusioni, al fine di ricomporre in sè quella concordia discors che è una delle ragioni d'essere della Monarchia e condizione di ogni progresso politico e sociale. Suo compito non è la partecipazione diretta alla lotta politica dei partiti, ma la affermazione e la difesa degli ideali supremi di Patria e libertà, che la mia casa rappresenta.
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Comunicato stampa del 7 settembre 2021
Le sinistre ancora contro gli italiani di Istria e Dalmazia
Il comunismo, quello che ha impoverito i popoli e massacrato intere comunità per sradicarne le radici storiche, pur sconfitto ovunque nel mondo, rivive in questi giorni sulla bocca e negli scritti degli epigoni di quella triste ideologia che, nel desiderio di apparire, incuranti della manipolazione della storia e delle coscienze, vorrebbero negare o ridimensionare l’immane tragedia dell’esodo degli italiani di Istria e della Dalmazia che in quelle terre lasciarono migliaia di compatrioti trucidati dalla furia antitaliana dei comunisti iugoslavi nell’intento di cancellare secoli di civiltà e di prosperità assicurate in quelle terre dalla Serenissima Repubblica di Venezia.
L’Unione Monarchica Italiana, nella quale da sempre hanno militato esuli e loro discendenti, intende manifestare tutta la sua indignazione nei confronti di storici di parte asserviti al politically correct, intenti a suggerire confronti ed equiparazioni storiche, di nessun rilievo scientifico, con riferimento ad immani tragedie degli anni ’40 del secolo scorso, al solo scopo di infangare, per ignobili fini politici, momenti importanti della storia e della cultura italiane.
Roma, 7 settembre 2021
Avv. Alessandro Sacchi
Presidente Nazionale
Kabul: una vergogna, una macchia indelebile nella credibilità dell’Occidente
di Salvatore Sfrecola
https: www.unsognoitaliano.eu/2021/08/17/kabul-una-vergogna-una-macchia-indelebile-nella-credibilita-delloccidente/
L’immagine degli afgani aggrappati al carrello degli aerei in partenza da Kabul, nella speranza di sfuggire alla vendetta dei talebani, rimarrà a perenne vergogna dell’Occidente. Abbiamo sentito dal Presidente degli Stati Uniti le ragioni del ritiro dei militari americani, da tempo annunciato, ma Biden non ha potuto giustificare il modo con il quale è avvenuto, senza adeguata programmazione delle partenze. E si sente dire di informazioni sbagliate fornite dall’intelligence circa le capacità di resistenza dell’esercito afgano arresosi senza sparare un colpo. Ancor più grave, se dopo venti anni la più grande potenza militare dell’occidente non è stata in grado di percepire cosa poteva accadere e di predisporre un dignitoso esodo di quanti si sono esposti in questi anni credendo nella protezione dell’amico Zio Sam.
Ne sentiremo di ogni genere tra politologi e opinionisti, con qualche inevitabile divagazione storica, facendo riferimento ad altre esperienze. E viene in mente Sagunto, la città spagnola alleata di Roma, assediata da Annibale. Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur, scrive Tito Livio (Storie, XXI, 7, 1). Siamo nel 219 a.C.. Roma tergiversò, sicché dopo otto mesi di combattimenti la città si arrese e fu rasa al suolo.
Roma non era ancora un impero, anche se studiava per diventarlo. E così il nome di Sagunto è rimasto a monito di chiunque deve assumere decisioni che non possono attendere.
Ma Sagunto e Kabul ci suggeriscono una ulteriore riflessione. Quella che il forte ha il dovere di difendere i deboli. Era una delle regole della Cavalleria medievale. È un dovere primario che spetta ad ognuno di noi. Da esercitare in qualunque contesto. Per uno studente a difesa dei compagni di scuola bullizzati. Per un pubblico funzionario a tutela del cittadino che non sa o non può, per illecita interferenza altrui, esercitare un proprio diritto. E via via spetta agli stati che assumono di essere portatori dei valori della democrazia liberale aiutare, naturalmente se richiesti, quanti si trovano in difficoltà per aggressioni esterne, della malavita o del terrorismo.
È stato il ruolo di Roma, il più grande degli imperi, il più inclusivo, rispettoso della storia dei popoli e delle loro fedi religiose. Lo indica Virgilio nel Canto VI dell’Eneide, mettendo in bocca ad Anchise parole che sono rimaste nel nostro immaginario. Indirizzate al figlio Enea, progenitore dei romani, indicano il ruolo storico dell’Urbe: “Romani miei, reggete il mondo/con l’imperio e con l’armi, e l’arti vostre/sien l’esser giusti in pace, invitti in guerra:/perdonare a’ soggetti, accôr gli umíli,/ debellare i superbi”. “Accor gli umili” significa quel che dicevamo, assistere chi ha bisogno, gli umili, cioè i deboli.
Gli umili, i deboli oggi sono senza dubbi gli afghani, tutti, anche se i talebani riservano particolare attenzione a quanti hanno collaborato con le organizzazioni occidentali, che, come ha detto ieri l’ambasciatore afgano all’O.N.U., vanno a cercare di casa in casa. E, poi, le donne, alle quali la sharia nega ogni più elementare diritto, di quelli che in Occidente neppure consideriamo tanto sono naturali, il diritto all’istruzione, al lavoro, a farsi una famiglia con chi desiderano, non con l’uomo scelto da colui che esercita la patria potestà, come abbiamo visto nel caso della giovane pachistana sparita senza lasciare traccia, tradita perfino dalla madre, che, come le ha dato la vita, presume di poterne deciderne la morte.
È questa la “civiltà” che la sola presenza delle autorità occidentali ha cercato di aiutare a superare assicurando, si riteneva, con la presenza di uomini in armi, un passaggio certamente faticoso, per semplificare, dal medioevo all’età moderna.
Il fatto è che la guida dell’operazione è stata degli Stati Uniti, che nel bacino del Mediterraneo e nel Medio Oriente non hanno da tempo interessi politici ed economici, una volta raggiunta l’autosufficienza negli approvvigionamenti energetici. Nei giorni scorsi il Segretario di Stato e ieri lo stesso Presidente Biden hanno sostenuto che la missione è stata portata a termine, che l’iniziativa militare avviata dopo l’abbattimento delle torri gemelle, aveva l’unico scopo di colpire i santuari del terrorismo islamico, che è stato raggiunto.
È una colossale bugia che nasconde l’incapacità della più grande potenza militare ed economica dell’Occidente di svolgere quel ruolo di stato egemone, imperiale si potrebbe dire, che assume di essere, guidando, di volta in volta, le missioni militari nei paesi del Medio Oriente come nel caso della guerra del Golfo. Stati Uniti che scontano un deficit di cultura politica internazionale notevole quanto alla capacità di comprendere il ruolo che una potenza egemone deve rivestire nei paesi ai quali presta la propria collaborazione e protezione non riescono ad esprimere quella straordinaria capacità di includere e assimilare i popoli più lontani che aveva Roma, quando conquistava un territorio, rispettando usanze, religione e financo le istituzioni, come nel caso di Antioco III, mantenuto sul trono. Gli Stati Uniti d’America dimostrano di rimanere estranei completamente alla realtà nella quale operano.
A Baghdad, abbattuto il dittatore Saddam Hussein, licenziarono impiegati civili e militari per trovarsi immediatamente in una condizione difficile, perché molti dei militari passarono con gli oppositori in armi ed i civili, ridotti alla fame per mancanza di retribuzione, furono subito ostili alla presenza americana. E così a Kabul emerge una evidente incapacità di percepire la realtà istituzionale e sociale, se l’esercito getta le armi e lo “stato” crolla nel giro di poche ore, quando si sentiva ripetere che avrebbe resistito non meno di 90 giorni prima che la capitale fosse conquistata a seguito dell’abbandono delle truppe americane. Ciò che dimostra, senza ombra di dubbio, che quella missione durata venti anni non ha prodotto nulla di solido nella società, come il ricorso alle urne faceva intendere.
La grande assente, tuttavia, è l’Europa, l’Unione europea, incapace di esprimere una volontà politica unitaria. Con oltre 400 milioni di abitanti, una storia straordinaria, un’economia solida, l’Europa non ha politica estera e militare per far valere gli interessi del continente e dei singoli stati nel bacino del Mediterraneo e nel Medio Oriente la cui stabilità è interesse primario dell’Unione. Invece, come i capponi di Renzo che si beccavano ignorando di essere destinati alla pentola, gli stati europei si fanno la guerriglia in qualunque settore, dall’agricoltura al commercio, dall’immigrazione alla disciplina tributaria che porta le imprese a girovagare tra uno stato e l’altro alla ricerca di qualche vantaggio fiscale rispetto al paese nel quale producono beni e servizi.
Vecchia Europa, che pure vanta le radici della civiltà occidentale, della cultura liberale, dell’arte e delle scienze! Più che vecchia, appare decrepita. Purtroppo.
Addio, Aldo
L’Unione Monarchica Italiana abbruna le Bandiere del Regno per la scomparsa del Prof. Aldo Anzevino, storico dirigente monarchico della provincia di Caserta, e si stringe con affetto alla Famiglia.
Prof. Aldo Anzevino
11 agosto 1900: Vittorio Emanuele assume le funzioni di Re dinanzi al Senato
di Salvatore Sfrecola
(tratto da: www.unsognoitaliano.eu/2021/08/11/11-giugno-1900-vittorio-emanuele-assume-le-funzioni-di-re-dinanzi-al-senato/ )Signori Senatori e Signori Deputati! Il mio primo pensiero è per il mio popolo ed è pensiero di amore e di gratitudine. Il popolo che ha pianto sul feretro del suo Re, che affettuoso e fidente si è stretto intorno alla mia persona, ha dimostrato quali solide radici abbia nel Paese la monarchia liberale. Da questo plebiscito di dolore traggo i migliori auspici del mio regno. La nota nobile e pietosa, che sgorgò spontanea dall’anima della Nazione, mi dice che vi ha ancora nel cuore degli italiani la voce del patriottismo, che ispirò in ogni tempo miracoli di valore. Sono ben lieto di poterla accogliere.
Quando un popolo ha scritto nel libro della Storia una pagina come quella del nostro Risorgimento, ha diritto di tenere alta la fronte e di mirare alle più grandi idealità. Ed è a fronte alta e mirando alle più grandi idealità che io mi consacro al Paese con tutta l’effusione ed il vigore di cui mi sento capace, con tutta la forza che mi danno gli esempi e le tradizioni della Casa.
Signori Senatori e Signori Deputati! Impavido e sicuro ascendo il trono, con la coscienza dei miei diritti e doveri di Re. L’Italia abbia fede in me come io ho fede nei destini della Patria e forza umana non varrà a distruggere ciò che i nostri padri hanno, con tanta abnegazione, edificato. Non mancherà mai in me la più serena fiducia nei nostri liberali ordinamenti e non mi mancheranno la forte iniziativa e la energia dell’azione, per difendere vigorosamente le gloriose istituzioni del Paese. Invoco Dio in testimonio della mia promessa, che da oggi in poi il mio cuore, la mia mente, la mia vita offro alla grandezza ed alla prosperità della Patria.
Ed apre alle riforme sociali dell’età giolittiana
“Monarchia liberale”, “liberali ordinamenti”, “diritti e doveri di Re”. Poche parole, ad 11 giorni dalla morte del padre, il Re Umberto I, per mano dell’anarchico Bresci, parole che segnano un cambio radicale nella storia d’Italia. Scritte di proprio pugno, avendo scartato il testo che gli aveva preparato il Presidente del Consiglio Saracco, quel brevissimo discorso apre a quelle riforme che caratterizzeranno la cosiddetta “età Giolittiana”, nel corso della quale l’Italia conoscerà un significativo progresso in campo economico e sociale.
Aveva 31 anni il giovane Re, al quale, sull’onda dell’indignazione per il regicidio, era stata suggerita una stretta contro i movimenti anarchici, socialisti e repubblicani. Percepisce immediatamente le esigenze delle classi più umili che, soprattutto nelle aree più arretrate del Paese, vivevano condizioni di grave disagio. E si affida ad un solido uomo di governo, un liberale secondo la migliore tradizione avviata da Cavour, come il Conte profondo conoscitore della macchina pubblica, un’esperienza, maturata come magistrato della Corte dei conti e del Consiglio di Stato, che gli tornerà utile per attuare rapidamente riforme che collocheranno l’Italia in una posizione di avanguardia in Europa.
Re e Primo Ministro all’unisono porteranno l’Italia verso traguardi importanti. La difesa dei conti pubblici, le riforme sociali, la perequazione tributaria ed i miglioramenti economici alle categorie più disagiate, “contengono in nuce le linee direttive della sua futura politica sulla libertà del lavoro e sulla neutralità dello Stato nelle controversie sindacali” (Spadolini). Intervenendo alla Camera il 4 Febbraio 1901 Giolitti aveva detto “il governo quando interviene per tener bassi i salari commette un’ingiustizia, un errore economico e insieme politico. Commette un’ingiustizia perché manca al suo dovere di assoluta imparzialità fra i cittadini prendendo parte alla lotta contro una classe. Commette un errore economico, perché turba il funzionamento della legge economica dell’offerta e della domanda, la quale è la sola legittima regolatrice delle misure dei salari come dei prezzi di qualsiasi merce. Il governo commette infine un errore politico perché rende nemiche dello Stato quelle classi le quali costituiscono la maggioranza del paese”.
Il fine dello statista piemontese, scrive ancora Spadolini, “era uno soltanto: permettere allo Stato italiano di superare la prova definitiva, conciliandosì le masse operaie, richiamando alla legalità e alla libertà quelle forze popolari che si riallacciavano ancora per tanta parte alla tradizione anarchico – reazionaria” Era semplicemente “un liberale moderno, illuminato”.
Sono gli anni nei quali l’Italia cresce, si sviluppa e si trasforma e passa dalle forme oligarchiche e censitarie alla democrazia ed al suffragio universale (1912), senza mai rinunciare alle grandi direttive del liberalismo cavouriano, ai punti fermi della “religione del Risorgimento”. È il periodo nel quale il culto del Parlamento viene praticato ed esaltato da Giolitti secondo l’insegnamento del Conte di Cavour contro tutte le restrizioni alle libertà statutarie, contro tutte le velleità reazionarie ed autoritarie che sul finire del secolo avevano fatto da l’incubatrice del malessere sfociato nel regicidio.
Tuttavia, accanto alla difesa delle garanzie parlamentari Giolitti serbava la coscienza gelosa e quasi religiosa dei valori dell’Esecutivo, del Governo, affermandone costantemente l’autonomia dalla Corona, che pure lo appoggerà sempre. Come sempre lui sarà fedele al Re, “monarchico per la pelle”, come quando nel 1915, fautore della neutralità mentre Inghilterra e Francia scendono in campo contro Germania ed Austria non esita a schiararsi per l’intervento quando comprende che Vittorio Emanuele III si era impegnato a favore delle potenze dell’Intesa con il Patto di Londra.