Parola di Re
L'UMI è istituita per raccogliere e guidare tutti i monarchici, senza esclusioni, al fine di ricomporre in sè quella concordia discors che è una delle ragioni d'essere della Monarchia e condizione di ogni progresso politico e sociale. Suo compito non è la partecipazione diretta alla lotta politica dei partiti, ma la affermazione e la difesa degli ideali supremi di Patria e libertà, che la mia casa rappresenta.
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Comunicato stampa di giovedì 24 giugno 2021
L’Unione Monarchica Italiana (U.M.I.) aderisce ai referendum promossi dal Partito Radicale in tema di Giustizia per superare, di fronte all’evidente, prolungata incapacità della classe politica al potere, inefficienze ed ingiustizie che pesano sulle persone e le imprese con possibili, gravi conseguenze negative anche sulla realizzazione del Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza (P.N.R.R.), e s’impegna nella raccolta delle firme.
Roma, 24 giugno 2021
Il Presidente Nazionale
Avv. Alessandro Sacchi
È sempre colpa degli altri. Mai una sana autocritica
di Salvatore Sfrecola
( tratto da: www.unsognoitaliano.eu/2021/06/21/e-sempre-colpa-degli-altri-mai-una-sana-autocritica/ )È sempre colpa degli altri. Dei poteri forti, naturalmente, soprattutto internazionali, dei partiti e dei gruppi di pressione, che hanno il potere, il denaro, i giornali, le televisioni. E la conclusione è che le cose non potevano non andare come sono andate, perché “vuolsi così colà dove si puote / ciò che si vuole, e più non dimandare” Lo fa dire Dante a Virgilio. Ed è comodo giungere alla conclusione che non si poteva fare altro, che bisognava subire l’iniziativa degli altri, che è inutile assumere delle iniziative, anzi è inutile farsi promotori di idee e di programmi e cercarne l’attuazione. Più semplicemente è inutile pensare. Lo sento dire da quando ero bambino. E da allora respingo decisamente questo atteggiamento. Perché se così fosse effettivamente molti progressi della storia non si sarebbero fatti. E, tanto per non andare lontano, l’Italia non si sarebbe fatta se quei nostri progenitori avessero ritenuto che il potere dell’Austria-Ungheria era inattaccabile, che la presenza di un regno nell’Italia meridionale, erede dei colonizzatori spagnoli, era inevitabile, che Roma doveva rimanere alla Santa Sede, non per garantire, con un minimo di territorio, la giusta indipendenza all’autorità religiosa. Insomma, “un po’ di Roma”, come titola il bel romanzo storico di Alessandro Sacchi. Infatti, che senso ha uno “Stato della Chiesa”, amministrato tra inefficienza e corruzione, che due anni prima di Porta Pia condanna a morte dei patrioti che lottavano per l’annessione di Roma all’Italia! E così andando avanti nel tempo siamo arrivati al referendum istituzionale del 1946 quando, ammesso che i risultati siano esatti e moltissimi dubitano che lo siano, se non altro perché molti non hanno potuto votare o non hanno potuto votare liberamente, si è voluto chiudere con la storia d’Italia, con il Risorgimento, “unico tradizionale mastice della sua unità”, come ha scritto Indro Montanelli nell’>Avvertenza a “L’Italia della Repubblica”. Come se lo stato italiano fosse nato nel 1946. E questa è una bugia, una bugia grave non solo sul piano della nozione storica, ma perché impedisce di riandare al moto di formazione dello Stato italiano, al Risorgimento e prima ancora al pensiero di quanti nel corso dei secoli hanno propugnato l’idea di uno stato autonomo, da Dante a Guicciardini, da Machiavelli a Vittorio Alfieri, a Manzoni e via di seguito. E mentre nascevano le grandi monarchie europee, gli stati nazionali, Francia, Spagna, Inghilterra, c’erano da noi, e ci sono ancora, alcuni secondo i quali avremmo dovuto continuare ad essere, in un piccolo territorio (di poco più di 300 mila chilometri quadrati, incluso San Marino e il Vaticano), diviso in 7 stati, prevalentemente vassalli delle grandi potenze. Non ci sto, perché chi in Italia, dal 1946 ha gestito per decenni un potere assoluto non può andare esente da colpe. Perché chi ha issato la bandiera dei valori cristiani ha, quanto meno, assistito inerte o incapace di reagire alla scristianizzazione della società, avendola già privata della sua identità, della sua storia che, pure, è straordinaria, da Roma lungo i secoli. Basti vedere in quali condizioni sono gli istituti di istruzione, spesso privi dei servizi minimi, palestre, laboratori, biblioteche, un tempo assicurati indifferentemente a tutti i ragazzi, qualunque fosse la condizione sociale della famiglia, con sostanziale parità nel merito. Del degrado dell’istruzione sono una immagine impietosa le bandiere sdrucite, sporche, esposte da anni, sempre le stesse, giorno e notte, tutto l’anno, in violazione delle norme che ne disciplinano l’uso. Neppure i partiti che si dicono tutori della Patria hanno saputo impegnarsi perché sulla facciata delle scuole sventolasse una bandiera come quelle che il campionato di calcio richiama sulle finestre dei tifosi. E voi genitori, perché non donate una bandiera alla scuola dei vostri figli? Per ricominciare a credere nel ruolo dell’istruzione, non una spesa “corrente” ma un investimento sul futuro della società. Il che vuol dire anche pensare ad un’edilizia adeguata, ad una più attenta selezione dei docenti, da retribuire quanto il loro ruolo richiede. E poiché abbiamo iniziato dicendo che non va bene affermare che le cose non vanno perché altri sono contrari, non va trascurato che la Chiesa, che un tempo vantava un impegno importante nell’istruzione, è pressoché assente. Come nell’educazione. Un tempo c’erano gli oratori, luoghi d’incontro e di formazione. Ricordo che un mio collega, la cui famiglia non poteva pagare le ripetizioni, ripassava latino e greco con un sacerdote colto, mentre io giocavo a ping pong. Stupirsi della scristianizzazione della società è ipocrita. Non si trovano buoni sacerdoti. Io credo che quella “vocazione” sia condizionata anche dall’appeal che un ruolo ha nell’opinione pubblica. Senza che sembri irriverente vale anche per altre “professioni”, il funzionario pubblico, il Carabiniere, il magistrato, il medico. Il reclutamento segue l’attenzione che l’opinione pubblica riserva a queste attività. Più sono circondate di rispetto e di stima, più attirano i giovani i quali sono sempre guidati anche dall’immagine che ricavano dalla realtà del loro tempo.
RE VITTORIO: IL GALANTUOMO
( tratto da: www.opinione.it)
Inserito in una nuova collana “L’Italia in eredità” delle edizioni Historica, a cura di Alessandro Sacchi e Salvatore Sfrecola l’agile volume “Vittorio Emanuele II, il Re Galantuomo” è una raccolta di saggi sui vari aspetti della vita e dell’opera dell’uomo e del Re, per la penna di differenti studiosi, storici, giornalisti, professori di diritto. Aperto con una introduzione di Alessandro Sacchi, curatore della collana e presidente dell’Unione Monarchica Italiana, il libro fin dalla prefazione fa emergere prepotentemente la figura di un uomo dalla personalità fortissima, capace di interpretare al meglio il suo ruolo di Re, ma senza farsene acriticamente condizionare, capace di essere Re tra i Re e popolo tra il popolo, in grado di concepire e realizzare il sogno di un piccolo Regno destinato a divenire il grande Regno della Patria italiana unita.Pagina dopo pagina emerge come Vittorio fu tutt’altro che un semplice, pur se magnanimo, testimone degli avvenimenti, ma un assoluto protagonista, tanto in politica estera, come Sfrecola ricorda del suo viaggio alle corti di Francia e Gran Bretagna che seppe legare al Piemonte (e dunque all’Italia) le simpatie e le volontà di quei monarchi, quanto in politica interna dove, come ricorda Andrea Ungari, il rapporto personale che seppe costruire con Giuseppe Garibaldi fu essenziale per l’impresa dei Mille.
Orgoglioso delle prerogative, ma anche rispettoso dei limiti che lo Statuto Albertino gli riservava, Vittorio non fu solo un grande conoscitore degli uomini a cui affidò il Governo, tra tutti ovviamente Camillo Benso conte di Cavour, ma anche costante stimolo in tutti i campi, come ricorda Gustavo Pansini a proposito della sua costante pressione per una rapida unificazione nazionale dei codici, civili e penali. Da Rossella Pace ed Edoardo Pezzoni Mauri (cui si deve il libro su Cavour della stessa collana) e soprattutto da Adriano Monti Buzzetti (non a caso grande giornalista) veniamo a scoprire la vena ironica e bonaria del sovrano, in tutta una serie di fatti curiosi e divertenti di un Re che fu non solo lineare e coraggioso, ma amante della vita semplice ogni volta che lo poteva e, in un certo senso, perfino giocoso.
Veniamo così a conoscere episodi gustosi e rivelatori, come quando a Pisa trovò il portone della cattedrale sbarrato da un prete oltranzista ma, trovata aperta una porticina secondaria, entrò dicendo: “È per la porta stretta che s’entra in paradiso”. O come quando, raggiunto da Cavour che voleva ragguagliarlo sulla gran folla accorsa sotto casa sua per festeggiarlo al ritorno dal successo diplomatico a Parigi, disse al suo Primo ministro: “Non me lo dica Conte, mentre lei era al suo balcone, c’ero anch’io, nascosto e confuso tra la folla a gridare Viva Cavour”.
Questi e tantissimi altri ricordi, considerazioni, approfondimenti e aneddoti si trovano nel libro, che risulta così veramente godibile, ma che soprattutto ci rammenta la più vera “chanson de geste” italiana: il Risorgimento.
Tito, l'Occidente, il confine orientale e il realismo monarchico
di Davide Simone
"I confini del Territorio di Trieste coincidono con i confini stessi dell'Occidente. Gli Stati Uniti, o altri, non si facciano illusioni su questo fatto o sulla possibilità di mutarlo. Non continuino nella illusione di rafforzare o di adescare Tito se non vogliono lavorare per Mosca [...] la Jugoslavia di Tito – quali siano i suoi rapporti con il Cominform – è irreparabilmete al di là della barricata , poiché il Comunismo – malgrado ogni contingente apparenza – è indivsibile, come indivisibile è l'orgoglioso imperialismo panslavo che vi fermenta dentro" ("Primo discorso. In Usa le chiavi dell'Istria", in "Italia Monarchica", 13 aprile 1950).In questo editoriale, il mondo monarchico* dimostrava grande lucidità, frenando quegli entusiasmi atlantici per la rottura tra Tito e Stalin che stavano portando Washington e Londra a fare gli interessi degli jugoslavi (anche) nella questione del confine orientale**, con un danno non solo per il nostro Paese ma, potenzialmente e sul medio-lungo periodo, per tutto l'Occidente. Come a proposito spiega lo storico De Leonardis, "la Jugoslavia godeva di una rendita di posizione inesistente per l'Italia [...] Nonostante la retorica della Dottrina Truman, per gli americani, ma anche per gli inglesi, gli aspetti ideologici passavano decisamente in seconda linea davanti alla prospettiva di veder combattere al proprio fianco l'esercito jugoslavo [...] Quindi contava poco o nulla il fatto che l'Italia fosse uno Stato democratico e la Jugoslavia una dittatura comunista" (Massimo De Leonardis, "La democrazia atlantica"). Il riavvicinamento tra l'URSS e la RSFJ, iniziato già negli anni '50 e consolidatosi nel decennio seguente, confermerà la tesi legittimista; la Jugoslavia resterà sempre un' "eccezione" nel blocco d'oltrecortina, ma ben altra cosa era da considerarsi, per i nostri alleati, l'Italia, nazione occidentale tra i fondatori del Patto Atlantico nonché provvista di ben altra forza economica, militare e di una migliore posizione geo-strategica. *"Italia Monarchica" era l'organo ufficiale del PNM, il Partito Nazionale Monarchico di Alfredo Covelli. Altri giornali vicini al PNM erano il "Corriere della Nazione", "La Capitale", "Governo. Giornale delle libertà italiane" e il "Fronte del Risorgimento" **per portare la RSFJ nel loro campo, gli anglo-americani cominciarono, dal 1949 e per molto tempo, a rifornirla di denaro, armi, tecnologie e generi alimentari, e caldeggiarono l'ingresso del Paese nel Consiglio di sicurezza dell'ONU
Riferimenti bibliografici: "I monarchici e la politica estera italiana nel secondo dopoguerra" (Ungari-Monzali, Ed. Rubettno)