IL PERNACCHIO DEL POPOLO UMBRO

di Giuseppe Borgioli

C’è un film della migliore tradizione italiana che suggerisco ai lettori di questa pagina di vedere o di rivedere. Tratto da un libro di Giuseppe Marotta il film omonimo “L’oro di Napoli” è un piccolo gioiello che si avvale della interpretazione di grandi attori. Tutti napoletani. Marotta vuol dimostrare che l’oro di Napoli è la sua gente e io continuo a crederlo nonostante sia diventato di moda denigrarla e sfregiala con il malgoverno.

Nel film – a episodi – c’è un Eduardo De Filippo che in un monologo diventato celebre si cimenta in una lezione sull’arte del pernacchio. Un gruppo di popolani si rivolge a Ersilio Miccio (Eduardo) per liberarsi di un prepotente che con il passaggio quotidiano a bordo della sua automobile ostruisce il vicolo e ostacola la sua povera economia. Che fare? Protestare? Ma con chi? Chiedere giustizia? Ma a chi? Passare alle maniere forti? Ma con quali conseguenze?

Il suggerimento di Ersilio Miccio è semplice e indolore. Quando il prepotente scorazzerà per il vicolo con la sua automobile basterà un sonoro pernacchio, come precisa Eduardo in un capolavoro di recitazione fatto con la mano molle e le labbra umide...È quello che – in parole povere- à avvenuto in Umbria alle elezioni regionali del 27 ottobre. Il popolo umbro di fronte alla arroganza dei partiti di governo che riproponevano per questa regione l’alleanza giallo rossa varata a livello nazionale è andato in massa a votare e ha risposto con un solenne pernacchio.

Il candidato di centro destra ha raccolto circa il 58 per cento dei voti e i partiti di opposizione hanno riportato un successo superiore alle loro aspettative. Va anche ricordato che il consiglio regionale era stato sciolto per lo scandalo di sanitopoli sollevato proprio dai consiglieri di cinque stelle.

In Umbria si erano precipitati i capi dei partiti di governo immortalati in una suggestiva foto ricordo. Tutti in posa e sorridenti come coloro che sono forti della loro arroganza e pensano di essere al di sopra del giudizio della gente. L’Umbria per cinquant’anni aveva dato alla sinistra la maggioranza pressoché assoluta che controllava tutti i gangli dell’economia e della società locale. Ma la gente non ne poteva più e il suggerimento di Ersilio Muccio ha fatto scuola. Il prossimo appuntamento sarà l’Emilia Romagna dove le ragioni di malcontento esistono e sono diffuse in tutte le classi, in particolare fra le meno abbienti.

Assisteremo anche lì alla replica del pernacchio?  Se così sarà si tratterà un rumore molesto alle orecchie delicate dei governanti più eloquente di tanti discorsi e analisi. Con quale titolo si può continuare a governare la nazione contro la volontà esplicita della stragrande maggioranza delle regioni?  Non è una questione costituzionale ma è certo una dimostrazione di insensibilità. Il presidente Conte in questo momento è distratto dalla lettura del Financial Times e della stampa estera che ha giustamente sollevato il conflitto di interessi e (semplice consiglio) farebbe bene ad ammettere l’anomalia senza arrampicarsi sugli specchi. Ricordiamo che la sistemazione effettiva dello spinoso problema del conflitto di interessi (che non riguarda solo Silvio Berlusconi) va avanti dal primo tentativo di Don Luigi Sturzo di legiferare seriamente sulla materia. Però anche il Quirinale non può far finta di essere sordo e cieco. Un precedente di questo tipo non resterebbe senza conseguenze istituzionali. Per molto meno Luigi Einaudi avrebbe inviato una lettera al governo o avrebbe convocato i soggetti coinvolti nella vicenda.

  

   

LA BATTAGLIA DEL QUIRINALE

di Giuseppe Borgioli

Ci risiamo. Con la puntualità delle piogge autunnali si ripresenta la battaglia del Quirinale. È come un film già visto. Fra tre anni scade il settennale di Sergio Mattarella e le manovre sono già iniziate con tre anni di anticipo, come sempre. Matteo Renzi l’ha confermato autorevolmente dal palco della Leopolda senza mezze parole. Evviva la sincerità. Il governo Conte bis ha visto la luce soprattutto per non lasciare che Matteo Salvini (con i suoi alleati) vincesse le elezioni e mettesse una ipoteca sul successore di Mattarella. Gli ingenui credevano che la massima carica dello stato fosse figura super partes svincolata il più possibile dai giochi politici. Non è così.  Si allineano i primi candidati sostenuti dai rispettivi schieramenti per conquistare la pole position.  Ne vedremo delle belle. Se escludiamo Luigi Einaudi (il primo presidente, che peraltro era dichiaratamente monarchico) le successive dieci elezioni hanno seguito questo copione. I costituenti avevano previsto che per le prime votazioni valesse la regola dei due terzi e che solo dalla quarta votazione in poi fosse sufficiente la maggioranza assoluta. Come diceva Oscar Wilde l’ipocrisia è l’omaggio che il vizio paga alla virtù e l’ipocrisia repubblicana tendeva a configurare la presidenza sul modello del Re secondo lo Statuto Albertino: arbitro della lotta politica senza agganci con i partiti. Lodevole intenzione che non è stata minimamente suffragata dai fatti. Dopo Einaudi iniziarono le dolenti note con Giovanni Gronchi che risultò eletto da una congiura di palazzo con l’esordio dei cosiddetti “franchi tiratori”, i parlamentari che nel segreto dell’urna votavano in difformità dalle direttive dei partiti.  Gronchi che ambiva a passare alla storia come”il De Gaulle Italiano” finì miseramente sotto le ceneri del governo Tambroni da lui sponsorizzato. Seguì Antonio Segni autentico galantuomo che colpito da un ictus provvidenziale per la partitocrazia dovette dimettersi. Fu la volta di Giuseppe Saragat, primo socialista (democratico) alla guida della repubblica, che spese il suo mandato per favorire la nascita del partito socialista unificato con i risultati grotteschi che molti ricordano. Giovanni Leone aveva tutte le carte, noto penalista napoletano cresciuto professionalmente alla scuola di Enrico De Nicola, fu costretto a dimettersi prima della scadenza del suo mandato abbandonato principalmente dal suo partito, la DC, in pasto ad una campagna di stampa senza precedenti. Sandro Pertini doveva ridare lustro alla repubblica ma proprio a lui, al suo incontrollabile e incontrollato contegno, si possono ascrivere le prime prove generali di populismo. Francesco Cossiga tentò di usare la carica di presidente per picconare un sistema partitocratico di cui intravedeva le crepe: anche lui fu indotto, con le buone o con le cattive, a lasciare il seggio prima del tempo canonico. Che dire di Oscar Luigi Scalfaro?  Tutto fuor che insinuare che è stato super partes, non ci ha nemmeno provato. Era stato più corretto come presidente della Camera. Come presidente della repubblica ha riscoperto in sé la vocazione del capo partito, meglio del capocorrente. Carlo Azeglio Ciampi fu portato al Quirinale quasi all’unanimità dalla convinzione che si aprisse un’era nuova e che l’ex governatore della Banca d’Italia avrebbe garantito il rispetto del bipolarismo: non è lecito cambiare maggioranza senza il conforto del voto dei cittadini. Gli sviluppi di questa regola sono sotto gli occhi di tutti.E che dire di Giorgio Napolitano, ù principino come lo chiamavano i compagni della federazione del P.C.I. di Napoli, che ha avuto la soddisfazione della riconferma, seppur temporanea. Giorgio Napolitano meriterebbe un saggio di politologia. Lui è il vero erede intellettuale di Palmiro Togliatti. La dissimulazione – a fin di bene – ha toccato in lui le massime vette. È difficile anche da avversari non provare ammirazione. Sino all’attuale Sergio Mattarella di cui non parliamo se non altro per la buona educazione che vieta di parlare dei presenti. Sarebbe interessante allargare la galleria agli sconfitti, a coloro che il Quirinale si limitarono a sognarlo senza accedervi se non per i ricevimenti e le udienze. Dai precedenti illustri di Carlo Sforza e Cesare Merzagora, dall’eterno secondo dei pronostici Giulio Andreotti al duello interminabile fra Aldo Moro e Amintore Fanfani. Per Aldo Moro la vicenda finì tragicamente. Finì male ma non tragicamente anche per Romano Prodi. Si sa, Romano Prodi è un uomo fortunato e come gli omini di plastica che stanno sul bancone dei bar resta sempre in piedi.

 

Nell’esposizione dei fatti convulsi che si consumarono nell’estate del 1943, a partire dalla sfiducia a Mussolini fino all’indomani dell’8 settembre, l’Autore analizza la portata dell’allontanamento da una Roma ormai minacciata dai nazisti, del sovrano Vittorio Emanuele III di Savoia, insieme ad alcuni esponenti della famiglia reale e del capo del governo, il maresciallo Pietro Badoglio.         

L’avvenimento, passato alla storia- con evidente eccezione negativa- come” fuga di Pescara”, che molta influenza ebbe nell’esito del referendum istituzionale del 1946, deve probabilmente essere rieletto nei termini di un << “trasferimento”, ineludibile e consapevole, che riuscì a scongiurare la liquefazione dello Stato>> e ad assicurare la continuità in uno dei momenti più drammatici del nostro ultimo secolo.

L’Italia non può assistere inerte al genocidio dei curdi

I curdi, popolo antico e fiero, al quale, per gli interessi delle potenze che hanno dominato il Medio Oriente fin dalla dissoluzione dell’Impero Ottomano, è stato finora impedito di avere uno stato, rischiano un genocidio che molto ricorda quello degli armeni. Ancora ad iniziativa di un dittatore turco, al quale alcuni vorrebbero aprire le porte dell’Europa.

I cannoni che bombardano in questi giorni gli eroici combattenti curdi dimostrano che la Turchia è distinta dall’Europa non solo geograficamente ma perché palesemente ignora i valori della civiltà occidentale, democratica e liberale.

L’Italia non può assistere inerte all’aggressione del popolo curdo e deve intervenire in sede di Unione Europea perché finalmente pretenda, con iniziativa unitaria e con l’autorevolezza della sua storia, che sia riconosciuto in favore dei curdi il principio di autodeterminazione che è legge di civiltà per tutti i popoli.

L’Unione Monarchica Italiana fa appello alle autorità italiane ed a tutti gli uomini liberi perché intervengano per fermare il massacro dei curdi e diano corso alla formazione di uno stato curdo dove queste popolazioni possano vivere in pace e prosperità.

Roma,14.10.2019

Il Presidente Nazionale

Avv. Alessandro Sacchi

LA DESTRA CHE NON C’E’

Giuseppe Borgioli

A nessuno sfugge la constatazione amara che la destra come area politico-ideale è di fatto assente o marginale nel dibattito della nostra povera Italia. Qualche volta è stata maggioranza nei voti della gente e può darsi che lo sia ancora. Ma i valori della destra che chiamiamo storica, dl quella parte che ha posto le basi dell’unificazione nazionale sono generalmente trascurati. Il fascismo fu un fenomeno di destra? Io credo di no e l’epilogo di questo movimento lo dimostra. L’ assenza di una vera destra fa male anche alla sinistra che perde così la sua identità dialettica ed è costretta ad esibirsi in monologhi. Oggi la sinistra è tutto e il contrario di tutto, governo e opposizione.

È diventato quasi un paradosso che la destra per ottenere il diritto di cittadinanza e di parola debba rendere omaggio al sistema delle idee dominanti. La destra buona è quella del regime o quella folkloristica che seduce i giovani con un Mussolini da icona. È il caso di ricordare – nessuno si offenda - le centinaia di migliaia di soldati italiani che   deportati nei campi di lavoro tedeschi rifiutarono di aderire alla repubblica sociale.

Avrebbero potuto rincontrare i loro cari che non vedevano da anni ma preferirono rimanere lì dietro il filo spinato e risposero a Vittorio Mussolini che era stato mandato a reclutarli: no, grazie. Alcuni, molti, ritennero il loro comportamento normale, non propriamente eroico. Avevano giurato fedeltà al Re – come Giovannino Guareschi – e non volevano mancare di parola.

Ci sono fior di galantuomini che osserveranno che non val la pena ricordare questi momenti forti. Meglio stendere un manto di oblio e lasciare che i giovani credano che gli Italiani sono un popolo di vigliacchi. La repubblica ci ha abituati all’esercizio quotidiano della rimozione. La vera destra non può nascere o rinascere sull’ oblio. Deve custodire il passato, anche quello scomodo, per ricostruire la casa comune. La Monarchia si sposa come in armonico connubio con la difesa del Parlamento.

Forme come presidenzialismo o cesarismo o democrazia diretta nascono in un retroterra repubblicano che scarica sull’uomo della provvidenza il potere di decidere. Noi lo proiettiamo sulle istituzioni e sulla dinastia. Per ricostruire i valori di Patria e di Libertà che sono additati da Re Umberto nel messaggio all’Unione Monarchica Italiana come il contrassegno della Casa Reale abbiamo bisogno di ricordare quei momenti forti.

Nell’intero arco della storia italiana la vera destra storica ha governato una manciata di anni e ha legato i propri destini a quelli della monarchia. Questa destra patriottica deve perdere ogni complesso di inferiorità e rivendicare il suo pieno   titolo a parlare su tutti i temi in agenda. Si può essere minoranza perché nostalgici del passato, soggetti di una visione residuale della storia. Nel nostro caso siamo minoranza perché abbiamo l’ardire e la consapevolezza di preparare il futuro.

La maglia della nazionale di calcio: dall’identità al marketing

È un’operazione commerciale quella che ha previsto per i nazionali di calcio, al posto della tradizionale maglia azzurra, una casacca verde, tra l’altro priva dello scudetto tricolore. Chi l’ha progettata non ha avuto la capacità e la fantasia di immaginare una “terza maglia” che conciliasse i simboli della storia e dell’identità nazionale con la pur comprensibile esigenza di marketing dello sponsor e chi ha condiviso la scelta è gravemente venuto meno al dovere di tutelare i valori della tradizione del nostro sport, ovunque nel mondo oggetto della più attenta considerazione.

È assolutamente inaccettabile quanto è stato consentito, che faimmaginare, in ragione di interessi meramente commerciali, la possibilità di ulteriori manomissioni di storia, identità e sentimenti. Di questo passo c’è da attendersi che anche il Tricolore nazionale possa ospitare il logo di una qualche impresa, tanto per favorire una campagna promozionale di prodotti che aspirano ad un più ampio consumo.

L’Unione Monarchica Italia segnala la manomissione di storia e ricordi cari al popolo italiano che da sempre si identifica nello sport più amato.

Roma,11.10.2019

Il Presidente Nazionale

Avv. Alessandro Sacchi