di Davide Simone
La particolare situazione emotiva che vive il nostro Paese (e adesso il resto del mondo occidentale), le scelte comunicative poco felici di alcuni dirigenti dei massimi organismi continentali, l'euroscetticismo di un segmento degli italiani e il senso di colpa per certi atteggiamenti razzisti verso gli asiatici, hanno senza dubbio favorito il capovolgimento della percezione collettiva sulla Cina, passata dall'essere l'odiato responsabile e diffusore del virus, anche con le sue omissioni (ed è la verità), a "deus ex machina", salvifico e filantropico (per l'invio di strumenti nella maggior parte dei casi acquistati dal nostro governo e non donati).
Se, tuttavia, a monte esiste una strategia comunicativa e propagandistica mirata (basata sul "soft power") con la firma di Pechino, sarebbe interessante individuarne e conoscerne i diffusori e le sponde all'interno del nostro Paese e sapere se esista un canale diretto tra i due attori.
Approfondimento:
L'ingegneria della manipolazione
Soprattutto quando studiate ad arte, le "fake news" seguono una precisa catena di elaborazione e comando. Il manipolatore parte cioè da un'impasse in cui si trova il bersaglio, ne esamina le credenze e gli schemi socio-culturali e propone una soluzione, una verità alternativa. Si tratterà allora di "mal-informazione" e "disinformazione", benché la ricerca di una exit strategy ad una iniziale mancanza di soluzioni sia tipica anche della "mis-informazione", ovvero tutti noi possiamo creare e far prosperare una "fake news", inavvertitamente*.
L'ingegneria della bufala", volendo usare un'iperbole, è ben descritta da Fontana in questi 9 passaggi (che incudono l'azione disinformativa contro un target straniero nell'ambito dei conflitti ibridi):
-verificare le credenze in uso e mappare quelle dei propri pubblici
-indagare le strutture culturali dei gruppi sociali di riferimento e i prodotti informativi di cui fruiscono
-monitorare la situazione delle forze (geo)politiche in campo
-considerare le piattaforme mediatiche in uso che possono modificare messaggi chiave e credenze
-riconoscere e interpretare le differenti notizie inventate (fake design)
-definire quali percezioni far vivere da un punto di vista fisico, emotivo, mentale (perception management)
-identificare e far vivere le nuove narrative individuali e sociali (strategic story-work)
-definire le azioni pratiche di sense-making: le pratiche e i riti che generano significato in una comunità
-monitorare in progress i nuovi orientamenti di credenza e i fatti alternativi
*-mis-informazione (costruite dai singoli, involontariamente o con superficialità, magari per rispondere a bisogni inconsci)
-mal-informazione (la distorsione, la manipolazione e la strumentalizzazione dei fatti, anche reali, ad opera delle istituzioni, che cercano in questo modo di recuperare consenso e popolarità)
-disinformazione (il trarre in inganno deliberatamente, creando una realtà alternativa e fittizia)
UNA SOCIETA’ IN QUARANTENA
di Giuseppe Borgioli
Sono tempi molto tristi ed io sono fra quanti non gioiscono nel vedere le nostre belle città deserte, che prefigurano ciò che potrebbe avvenire. Non tutti la pensano come me. Io rispetto soprattutto in una materia incandescente come questa il parere degli altri che spesso sono illustri ricercatori e uomini di scienza. A dire il vero l’epidemia (pardon la pandemia) ha dato a costoro una insperata e meritata notorietà che tutti si augurano si materializzi coi fondi governativi, europei e del CNR. Il Professor Roberto Burioni, cattedratico di fama, ha scritto e parlato molto. Citiamo una sua frasetta che fa riflettere. “Bisogna evitare i contatti personali. È una sorta di nuova resistenza che dobbiamo fare contro questo tiranno. Ci vuole costanza, ci vuole volontà. È un sacrificio, ma pensiamo a ciò che hanno fatto le altre generazioni.” Ben detto, il coronavirus sembra aver risvegliato un sano patriottismo nelle abitudini degli Italiani. Anche se la nuova linea del Piave è l’emergenza sanitaria, il confronto con il patriottismo delle passate generazioni ci sembra azzardato. In fin dei conti si tratta di una pandemia che mobilita la scienza medica e la collaborazione generosa dei cittadini. Il fine à quello di un ritorno alla normalità, cioè alla libertà. I sacrifici di oggi avvengono in questo orizzonte di speranza. Non credo che a nessuno faccia piacere vivere in una società in quarantena. Forse in Cina il dilemma non si pone, ma nella sensibilità che avvertiamo in occidente eccome se si pone. E veniamo alla medicina in generale e alla virologia in particolare. Siamo proprio sicuri che la medicina abbia bisogno di un nemico (”il tiranno” rappresentato oggi dal corona virus, ultimo in ordine di tempo) da combattere per progredire? Questa à una concezione “metafisica” della medicina e della patologia. Alcuni, anche uomini di scienza, hanno una concezione umanistica della medicina che non vede la malattia con la M maiuscola ma dà la parola al malato che soffre e che chiede al medico di lenire la sua sofferenza. È il giuramento di Ippocrate: non varcherò la porta della casa di un malato se non per portare lenimento alla sua sofferenza. La medicina del nostro tempo si affida spesso alle campagne multimiliardarie contro questo e contro quello e lascia nelle trincee i soldati dell’assistenza vera ai malati. A questi medici e infermieri di trincea, eroi ignoti di questa pandemia, andrebbe sì elevato un monumento.
MORALE E IGIENE
di Giuseppe Borgioli
C’è una tendenza che appartiene al nostro tempo, al nostro vivere insieme, alla nostra mentalità. La morale tradizionale, di derivazione laica, definita spregiativamente ottocentesca è gradualmente soppiantata dall’igiene. Comportamenti sociali e personali che i nostri padri ispiravano alla morale, all’imperativo categorico, al dovere per il dovere oggi sono bollati e soppiantati in nome dell’igiene. È l’igiene al centro delle preoccupazioni delle collettività occidentali. È la nuova religione sociale. La verifica di questo stato d’animo l’abbiamo sotto gli occhi con la emergenza del coronavirus bis. Il terrore del contagio ha cambiato lo stile di vita degli Italiani. Laddove non era arrivato il patriottismo, il senso di osservanza delle leggi, l’appello delle autorità politiche è giunta la paura. I negozi sono rimasti chiusi, le strade deserte, i rapporti personali ridotti al minimo. È un bene o è un male? Certo sotto il profilo dell’emergenza è un bene. Nel lungo periodo se di questi tristi giorni qualcosa resterà avrà modificato il nostro modo di vivere e di essere. L’aspetto economico complica la nostra condizione. L’economia è spietata e non ammette eccezioni. Nessun pasto è gratis tranne quel meraviglioso fenomeno della donazione gratuita. Al di là delle belle parole di solidarietà quella che continuiamo a indicare come l'Europa è composta da stati sovrani che sui temi fondamentali non rinunciano alle loro competenze. Fu così con la CED (Comunità Europea di Difesa) che non vide mai la luce per l’opposizione della Francia (allora non c’era De Gaulle) e per l’umore tiepido degli altri stati. Non si dimentichi che era ancora l’Europa dei sei e non dei ventisei. Oggi la replica concerne la emergenza sanitaria. Di fatto una istituzione plurinazionale non può nascere per situazione di necessità. Gli Stati Uniti d’America sono nati “uniti”: ex pluriuso unum. Questo è il loro federalismo. In più per cementare la loro unito hanno dovuto sostenere una dolorosa guerra di secessione che ha lasciato molte ferite aperte. L’Europa attuale è essenzialmente un patto di solidarietà che riguarda materie sì importanti ma non abbastanza da qualificare una politica continentale. La fiducia dei mercati è necessaria e va conquistata sul campo. Uno stato ha bisogno di un’anima per vivere. L’ Europa del programma Erasmus è troppo poco. Una volta si diceva che la forza della famiglia si vedeva nell'emergenza e nel bisogno. La famiglia europea non ha dato buona prova in questa emergenza
di Davide Simone
Quell'unità prima dell'unità (e i ritardi della Napoli spagnola). Negli anni della peste seicentesca, le autorità dei numerosi Stati in cui si allora componeva e divideva l'Italia diedero prova di un notevole spirito unitario di fatto; città e potenze diverse e rivali come Firenze, Genova, Venezia, Lucca, Milano, Mantova, Parma, Bologna, Ferrara, Ancona o Modena, mantennero infatti una comunicazione molto stretta, collaborando gomito a gomito e scambiandosi pareri e informazioni per combattere e contenere il morbo. A tal proposito desta particolare interesse l'accordo di mutuo soccorso che il Granducato di Toscana, la Repubblica di Genova e lo Stato Pontificio strinsero dall'autunno del 1652 al 1656-1657. A seguito di un "bando" disposto nel giugno 1652 da Genova verso le navi provenienti dalla Sardegna, per via del diffondersi della peste nella città di Alghero, Livorno e Pisa* adottarono misure restrittive anche nei confronti della Corsica**, data la sua vicinanza con la Sardegna. Ratificato frettolosamente dai magistrati della Sanità di Firenze, il blocco della Corsica (dove non era stato registrato alcun caso di infezione) causò la reazione furibonda di Genova e una crisi diplomatica tra le due potenze destinata a protrarsi per mesi. Resosi conto dell'errore e delle conseguenze che esso aveva determinato (innanzitutto un caos pericolosissimo dovuto al fatto che le due parti indirizzavano alle varie città italiane informazioni diverse e contrastanti), il granduca tese una mano a Genova offrendole una "capitolazione", cioè un accordo di collaborazione da estendersi anche a Napoli e alla Sana Sede e in base al quale i tre Stati si sarebbero scambiati informazioni sull'andamento dell’epidemia, avrebbero adottato comuni misure per il suo contenimento e avrebbero dislocato uno i rappresentanti nei porti dell'altro, al fine di garantire l'osservanza delle misure concordate. Accettata da Genova, e in forma meno vincolante da Roma, la "capitolazione" fu respinta dalle autorità partenopee, anche per l'impossibilità di garantire un eventuale blocco dei convogli spagnoli, essendo Napoli un possedimento del Paese iberico. A riguardo sarà utile menzionare il comportamento del reggente napoletano, che oltre a mostrarsi scortese verso l'ambasciatore fiorentino disse senza mezzi termini che loro il comitato sanitario non aveva nessuna credibilità, essendo composto da due semplici nobiluomini che avevano comprato la carica e che, per questo, cercavano di rientrare nella "spesa" con la corruzione. Ciò interviene anche a smentire una certa vulgata anti-unitaria, che vuole Napoli e il Sud generalmente e storicamente più avanzati e progrediti del resto d'Italia, prima del 1861 e prima delle stese Due Sicilie. Approfondimento: "bando" e "sospensione" In quel periodo, gli stati italiani presero una serie di provvedimenti restrittivi di vario livello al fine di contenere l'epidemia, spesso non molto diversi da quelli attuali. In particolare, ne spiccavano due:
-il bando
-la sospensione
Se in entrambi i casi tutte le merci e tutti gli individui provenienti dalle zone bandite o sospese potevano entrare solo da porti o valichi specificati e con all'interno stazioni di quarantena, il "bando" era una misura applicata quando la presenza della peste era stata accertata (si trattava allora di un provvedimento dalla scadenza indefinita, che molte volte imponeva persino la chiusura delle stazioni di quarantena), mentre la "sospensione" era una scelta precauzionale, revocabile in ogni momento. La zona sospesa poteva infatti soltanto confinare con una bandita o non avere osservato adeguate misure di controllo sanitario, causando i sospetti e i timori delle autorità degli altri stati
*città granducali
**possedimento genovese
Tra i riferimenti bibliografici: "Il pestifero e contagioso morbo. Combattere la peste nell'Italia del Seicento", di Carlo M. Cipolla.