Parola di Re
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Per Michele Vietti, ex Vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Mattarella potrebbe sciogliere l’organo di autogoverno dei giudici
di Salvatore Sfrecola
( tratto da: https://www.unsognoitaliano.eu/2020/05/29/per-michele-vietti-ex-vicepresidente-del-consiglio-superiore-della-magistratura-mattarella-potrebbe-sciogliere-lorgano-di-autogoverno-dei-giudici/)Dunque, il Presidente della Repubblica potrebbe sciogliere il Consiglio Superiore della Magistratura. Lo ha sostenuto Michele Vietti, avvocato, politico di area centrista, che del C.S.M. è stato Vicepresidente dal 2010 al 2014. In una intervista concessa a Claudio Cerasa, direttore de Il Foglio, Vietti preliminarmente ha inquadrato il tema magistratura a tutto tondo osservando come “da anni la politica della non responsabilità fa di tutto per offrire alla magistratura più poteri di quelli di cui ha bisogno e per invocare l’intervento della magistratura su ogni aspetto dello scibile umano. Prima di chiedere alla magistratura di non sentirsi onnipotente – aggiunge Vietti – bisognerebbe chiedersi cosa ha fatto la politica in questi anni per non far sentire onnipotente la magistratura”.
E quanto al malfunzionamento del Consiglio Superiore è categorico. “Io capisco – dice – che oggi ci si chieda se sia il caso oppure no di sciogliere un CSM che fatica a funzionare. È una decisione che spetta al capo dello stato, ovviamente, ma è una decisione che non rientra nel perimetro delle ipotesi impossibili perché il funzionamento di questo organo viene compromesso non solo quando non funziona più ma anche quando funziona male. E onestamente si fa un po’ di fatica nel dire che il CSM in queste condizioni funzioni bene, così come si fa fatica a riconoscere che la politica sia particolarmente interessata a farlo funzionare meglio: conosciamo i problemi del CSM da anni e da almeno dieci mesi sono su tutti i giornali. E negli ultimi dieci mesi la politica non ha fatto nulla per sanare alcune delle ferite che si sono aperte”.
Ma non finisce qui. Con il consueto buon senso del politico di lungo corso, Michele Vietti ricorda come “un CSM ostaggio delle correnti è evidente che non può funzionare ma non può funzionare per ragioni assolute e non per ragioni legate a singoli episodi. Lo dico nel modo più semplice possibile. Riportare le correnti al loro ruolo fisiologico – al loro essere luoghi di elaborazione e di confronto di idee anche contrapposte – significa ricordarsi che la camera di compensazione delle correnti è l’Anm e non il Csm. Il Csm non è, come finge di non ricordare qualcuno, l’organo di autogoverno della magistratura, ma è ‘organo di governo autonomo all’interno del quale devono convivere anche anime diverse da quelle togate. Oggi ho l’impressione che le correnti abbiano perso il loro ruolo di dialettica ideale e abbiano assunto una logica di potere. E il ragionamento che ne consegue è: farò carriera non se sarò più bravo ma se sarò più garantito dalla mia corrente”. E, questo, ovviamente, aggiungiamo noi, non è nell’interesse di un corpo di magistrati che nella sua stragrande maggioranza è costituito da professionisti fedeli al dettato costituzionale il quale impone che i giudici siano “soggetti soltanto alla legge” (art. 101). Come, del resto, i cittadini desiderano che siano i loro giudici. Perché sia assicurata quella “certezza del diritto” che è garanzia per tutti, indipendentemente dalle idee politiche e dalla bravura dell’avvocato che ne tutela le ragioni.
RADIO LONDRA – NOTIZIE DAL MONDO LIBERO
di Gaspare Battistuzzo Cremonini
Il cerusico Azzolina non può guarire la ‘supplentite’
Operazione riuscita, paziente morto. Uno dei guai tipici della politica, e nella fattispecie della politica italiana, è che al roboante proclama ministeriale per solito corrisponde un deludente incontro con la realtà dei fatti: quattro mesi di quarantena da Covid-19 hanno convinto studenti, docenti e famiglie che la tanto sbandierata DAD (Didattica a Distanza) non è altro che un mero palliativo utile a farci dimenticare che nel nostro paese non vi sono strutture scolastiche adeguate a poter riprendere la loro funzione senza mettere in pericolo personale e allievi.
Il ministro Lucia Azzolina, che siede, val la pena di ricordarlo, sulla poltrona che fu di Francesco De Sanctis, sommo critico letterario dell’ottocento, è al centro delle polemiche però per ben altro: un giorno dice di aver risolto la supplentite - ossia l’atavico problema della scuola italiana che tira a campare con supplenti mal pagati invece di metterli in regola formando una vera classe docente, - e quello dopo sostiene di non poter fare di più che assumere 1/6 del personale che da anni è in attesa di essere regolarizzato. Salvo poi, il giorno dopo, ribadire che risolverà il problema a breve. Per poi dichiarare di non farcela il giorno di poi.
Sarebbe tuttavia poco gentleman-like, poco cavalleresco, cari amici, imputare a Lucia Azzolina tutti i mali della scuola italiana: già da sola è riuscita a fare così tanta confusione che attribuirgliene altra sembrerebbe voler sparare sulla Croce Rossa. In effetti, ad essere onesti, il problema viene da lontano.
Allo stato attuale delle cose, in Italia vi sono perlomeno 150.000 insegnanti precari, regolarmente iscritti in graduatoria e pertanto già dipendenti dello Stato, che aspirerebbero ad essere regolarizzati. Il vero ostacolo, facendola breve, è l’articolo 97 della Costituzione che prevede che agli impieghi di Pubblica Amministrazione si acceda soltanto mediante concorso.
Ciò significa che al momento i Vostri figli stanno facendo lezione con personale che è dipendente pubblico ma non è di ruolo, ossia non gli viene riconosciuta la piena qualifica di impiegato della Pubblica Amministrazione, perlomeno per quanto attiene alla sfera reddituale e del mero contratto di lavoro (per il resto, ogni docente in servizio è Pubblico Ufficiale e gode dei medesimi diritti dei colleghi di ruolo): spesso, si tratta di docenti che insegnano da anni e per anni restano supplenti.
La cosiddetta supplentite (termine che il ministro Azzolina usa spesso) impone pertanto di scegliere cosa voler fare di questi docenti a metà: se da un lato la Comunità Europea ha rilevato più volte l’irregolarità della situazione, rimane lo scoglio del concorso pubblico che per sua natura, dovendo selezionare, non metterà mai in regola tutti gli insegnanti che però già insegnano per contro regolarmente.
C’è peraltro di più. Il ministro Valeria Fedeli (PD) aveva provato ad aggirare l’ostacolo con quel favoloso istituto giuridico tutto italico ed azzeccagarbugliesco che era il concorso non selettivo, una cosa al cui confronto le convergenze parallele di Moro sembrano retorica per bambini: il docente sostiene la prova e passa anche se non la passa. E’ un concorso ma non è selettivo.
Il ministro Bussetti (Lega), più realista ed ecumenico, aveva proposto una soluzione tanto ovvia quanto semplice: un concorso per soli titoli, accademici e di servizio, per regolarizzare finalmente 150.000 docenti visibili solo da settembre a giugno. Però all’epoca ci si concentrò nel dare addosso al Bussetti tacciandolo di fascismo – pensa che originalità, - per aver proposto la reintroduzione della divisa scolastica al posto delle canotte dell’ NBA o delle minigonne adamitiche.
Il vero punto tuttavia è un altro. Siamo di fronte all’ennesima arma di distrazione di massa perché ove si volesse davvero regolarizzare questi precari, lo si potrebbe fare con estrema facilità utilizzando il piano Bussetti (ossia il famoso PAS annuale): il tema è piuttosto monetario che non ideologico.
Regolarizzare i precari vuol dire che lo Stato, di colpo, dovrebbe corrispondere 150.000 stipendi anche per i mesi estivi, mesi in cui il precario tipo entra invece in Disoccupazione e ricade sotto la protezione dell’INPS. In ultima analisi, vorrebbe anche dire che i vari atenei della penisola vedrebbero sfumare milioni di euro di compensi per i corsi di Psicologia, Pedagogia e Formazione (i famosi 24 CFU) che il candidato al Concorso Scuola deve ottenere come requisito propedeutico all’ammissione alla prova.
Insomma, lo diceva anche Giovanni Falcone: se vuoi sciogliere il mistero, segui il denaro. Il cerusico Azzolina la supplentite non la può guarire, troppi sono gli interessi che la rendono uno stato sfortunatamente fisiologico del sistema scolastico italiano.
Martedì 26 maggio 2020: Impronta Magazine intervista il Presidente Nazionale dell'Unione Monarchica Italiana
Martedì 26 maggio 2020, alle ore 18.00, il Presidente Nazionale dell'Unione Monarchica Italiana, Avv. Alessandro Sacchi,sarà intervistato dalla redazione di Impronta Magazine.
E' possibile seguire la diretta sulla pagina:
https://www.facebook.com/events/597746440871306/
Il Presidente Nazionale dell'U.M.I.,Avv. Alessandro Sacchi
L'opinione di Giuseppe Borgioli
RIVOLUZIONARI O CASINISTI?
di Giuseppe Borgioli
In pochi ricorderanno il nome di Ettore Troilo e l’episodio principale che ha segnato la sua biografia. Nel 1947 era l’ultimo dei prefetti politici di Milano, nominati dal CLN.
Il governo De Gasperi (con Mario Scelba agli interni) pensò bene di sostituirlo con un prefetto di carriera per ripristinare la così detta normalità.
Il partito comunista guidò una vera sommossa al grido di Troilo non si tocca! a Milano era attivo allora Gian Carlo Pajetta come capocronista de l’Unità. Pajetta si mise alla testa della sommossa che arrivò ad occupare la prefettura, proprio l’ufficio di Troilo il quale spaventatissimo seguiva da comprimario gli avvenimenti.
Mario Cervi allora giovane cronista al Corriere della sera (che seguì poi Montanelli al Giornale) raccontava questo episodio con ironia e commiserazione per la figura di Troilo, socialista e costretto a recitare la parte dell’eroe. Cervi nella confusione del momento riuscì a infilarsi nella calca dei rivoltosi e a seguire da vicino l’evolversi dei fatti. Pajetta dopo aver arringato i compagni, peraltro ben armati, si sedette alla scrivania del prefetto e raggiunse per telefono Togliatti: “compagno Togliatti abbiamo occupato la prefettura “, disse trionfalmente il capopopolo. E Togliatti gelido dall’atro filo del telefono: “e ora?”
L’episodio finì’ all’italiana con Troilo che fu rimosso e promosso ad un incarico marginale all’ONU. Resta l’insegnamento di fondo. Palmiro Togliatti a modo suo era un rivoluzionario, anzi un rivoluzionario di professione nella accezione gramsciana, Giancarlo Pajetta si rivelò anche un quella occasiona un casinista.
Fra i tanti guai della nostra povera Italia vi è anche quello di annoverare molti aspiranti rivoluzionari e moltissimi casinisti.
Il rivoluzionario vuole abbattere l’ordine presente per sostituirlo con un altro, a suo modo ha le idee chiare, anche se proiettate in un avvenire che non avviene mai. II casinista vuole abbattere qualsiasi tipo di ordine. Per esempio, Il ministro Alfonso Bonafede è un rivoluzionario che vuole sovvertire le pratiche del diritto? Non credo, non è all’altezza. È un fine giurista? Bisogna attestarlo, per ora il suo curriculum non autorizza questa valutazione. È un arruffone che cerca di fare i propri interessi o quelli della sua parte? Ho dei dubbi, come dice il nome che porta mi sembra in buonafede. Io propendo per il giudizio collaudato dalla storia che mi fa dire che siamo di fronte a un classico casinista.
Come riecheggia il dramma poco rappresentato di Ugo Betti Corruzione al palazzo di giustizia. Quando la città, il sistema, è corrotto anche il palazzo di giustizia si corrompe.
Questione di regole e di uomini. Ho conosciuto magistrati che dopo il referendum del 2 giugno si dimisero per non servire la repubblica. Uno di questi che ricordo con particolare affetto fu rimproverato dal Re che aveva chiesto ad ognuno di rimanere al proprio posto per continuare a servire le istituzioni. E lui ne soffrì.
Altri uomini, altra Italia, la nostra Italia.