Parola di Re
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AMEDEO GUILLET: IL COMANDANTE DIAVOLO
IL RICORDO DI UNA VITA AVVENTUROSA AL SERVIZIO DELLA PATRIA A 10 ANNI DALLA MORTE
di Michele Di Maio
Amedeo Guillet viaggio in Eritrea
Il buio che avvolge la figura di questo fervente monarchico e le sue ardite imprese nel periodo bellico sono il simbolo di una Repubblica che rinnega la sua storia e non celebra i suoi eroi
Il 16 giugno 2020 segna il decennale della morte di Amedeo Guillet, interessante figura della storia italiana. La vita di questo ufficiale, guerrigliero, e diplomatico è relativamente sconosciuta (difficile che il pubblico, con l' esclusione degli addetti ai lavori e degli appassionati di storia, conosca il nome), tuttavia egli, oltre a rappresentare uno straordinario insieme di coraggio, integrità, caparbietà e spericolatezza, è indubbiamente un autentico eroe italiano.
La sua vita merita di essere qui riassunta nei suoi tratti salienti anche per la sua singolare eccezionalità, la vita di Guillet non ha infatti nulla da invidiare a quella del protagonista di un buon romanzo.
Nasce nel 1909 da nobile famiglia piemontese di tradizioni militari, studia all' Accademia di Modena per divenire poi ufficiale di cavalleria. Presta servizio nella Campagna d' Abissinia, nel corso della quale viene decorato dal Maresciallo d' Italia Italo Balbo, e nella guerra civile spagnola, rinunciando nel mentre al matrimonio con la fidanzata, la cugina Beatrice Gandolfo, che si rifiuta di sposare, pur amandola, per evitare maldicenze circa un matrimonio di oppurtunità mirato ad ottenere la promozione a capitano (alcune recenti norme prevedevano lo stato di coniugato per l' ottenimento di promozioni per i dipendenti pubblici).
È però in Eritrea, dove viene dislocato poco prima dell' ingresso italiano nella Seconda guerra mondiale, che la sua storia assume i tratti della leggenda.
"Dagli inizi in Abissinia e Spagna alle gesta nel conflitto mondiale"
Qui Guillet riceve il comando un gruppo armato di irregolari indigeni al cui comando si rende protagonista di numerose imprese eroiche, come ad esempio una carica di cavalleria contro reparti meccanizzati inglesi, che gli valgono, dalle autorità italiane, la Medaglia d' argento al Valor Militare e, dai suoi soldati, il soprannome di Commundàr es Sciaitan (Comandante diavolo), la cui fama si diffonde in tutta l' Africa Orientale. Egli riesce anche ad ottenere il risulato, affatto scontato in un esercito composto da svariate etnie e religioni differenti, di non avere nella sua unità neanche un caso di diserzione o di contrasto tra i soldati indigeni e si guadagna una lealtà assoluta dai suoi uomini inaugurando un illuminato stile di comando: tratta infatti i suoi soldati con dignità e rispetto permettendo loro di rispettare i propri usi e costumi e concedendogli, secondo le usanze locali, di portare al seguito le proprie famiglie. In quel periodo lo stesso Amedeo ha una concubina eritrea, che lo seguirà per tutto il periodo di servizio eritreo in sfregio alle disposizioni che vietavano ai soldati italiani rapporti continuativi con le donne locali.
Dopo l' ordine di resa impartito da Roma nell' aprile del 1941, Guillet decide di proseguire privatamente la guerra con lo scopo di trattenere in Eritrea quante più truppe inglesi possibili alleggerendo così il fronte libico. A tal fine mette da parte l' uniforme italiana per assumere permanentemente l' identità del "Comandante diavolo" e riuniti i suoi soldati indigeni dà il via ad una feroce guerriglia contro depositi, convogli ferroviari ed avamposti inglesi. La sua leggenda diviene sempre più grande e gli inglesi scatenano una gigantesca caccia all' uomo per catturarlo, mettendo su di lui anche una taglia di 1000 sterline d' oro, ricompensa alta quanto inutile dato che nessuno lo tradirà mai (Le uniche ricompense mai corrisposte dagli Inglesi saranno quelle incassate dallo stesso Amedeo, che sotto falsa identità si presenterà per fornire informazioni sul fuggitivo Guillet).
Dopo oltre sei mesi di lotta e con i ranghi terribilmente assottigliati, giudicando la sua missione non perseguibile oltre, scioglie le sue milizie e si dà alla macchia.
"Una fuga rocambolesca e il rientro in Italia"
Inizia così il periodo più movimentato della sua vita mentre sotto l' identità del lavoratore yemenita Ahmed Abdallah al Redai, cerca una via per rientrare in Italia mantenendosi con umili lavori, quali scaricatore di porto e acquaiolo.
Appartengono a questa parte della sua biografia un viaggio su un' imbarcazione di contrabbandieri, il pestaggio da parte di pastori nomadi, la permanenza presso la capanna di un cammelliere, l' incarico di palafraniere presso la guardia, prima, e di "Gran Maniscalco di Corte" e precettore dei suoi figli, poi, al servizio del sovrano yemenita, per arrivare infine nel 1943 al rientro in patria su una nave della Croce Rossa.
Viene dunque promosso Maggiore per meriti di guerra e assegnato al SIM (Servizio Informazioni Militare) fino all' armistizio dell' 8 settembre, quando passa di nascosto la linea Gustav e giunge a Brindisi per mettersi a disposizione del Re. Torna quindi a svolgere mansioni di agente segreto al servizio del ricostituito Regio Esercito coronando nel mentre l' antico sogno d' amore sposando Beatrice Gandolfo nel 1944.
Terminata la guerra, a seguito dell' esito del referendum istituzionale, Guillet, fedele al giuramento prestato alla Corona, si dimette dall' Esercito e si reca, per palesargli l' intenzione di lasciare il Paese, da Umberto II, il quale lo redarguisce, rammentandogli che l' Italia e la sua indipendenza vengono prima del Sovrano.
Inizia quindi nella vita del Comandante Diavolo un nuovo capitolo caratterizzato dalla laurea in Scienze Politiche e dalla carriera diplomatica.
"Il servizio diplomatico e gli ultimi anni"
Non manca anche in questo ambito di rimanere sé stesso quando nel 1967, da ambasciatore in Marocco, memore della sua esperienza militare, mette in salvo, in una sparatoria verificatasi durante un ricevimento ufficiale a seguito di un tentato colpo di Stato, svariati diplomatici tra cui l' ambasciatore tedesco, impresa per la quale riceverà dalla Germania Ovest la Gran Croce con stella e striscia dell' Ordine al Merito della Repubblica.
Ritiratosi per sopraggiunti limiti di età nel 1975, compie nel 2000 un viaggio in Eritrea, dove viene ricevuto con gli onori di un Capo di Stato e nel novembre dello stesso anno viene insignito dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi della Gran Croce dell' Ordine Militare d' Italia, la più alta onorificenza militare del nostro Paese.
Muore a Roma all' età di 101 anni il 16 giugno del 2010.
Quanto sopra non è che il breve sommario di una vita lunga e densa, ma è sufficiente a cogliere la grandezza di un uomo la cui biografia, malgrado il suo protagonista non sia una delle grandi figure che hanno plasmato il corso della storia, rappresenta una grandiosa e incredibile vicenda umana.
È ora opportuno fare una riflessione e muovere una critica. Come precedentemente affermato, la figura di Amedeo Guillet non è largamente nota, quando invece, come ebbe a scrivere Indro Montanelli, "Se, invece dell' Italia, avesse avuto alle spalle l' impero inglese sarebbe diventato un secondo Lawrence". Il nostro è purtroppo uno Stato che guarda con sospetto ogni esaltazione della storia passata, vedendo in essa non una forza ma un pericolo, e che svilisce il patriottismo scambiandolo per nazionalismo. Tuttavia essere legati alla proria Nazione non significa propugnare la sua superiorità sulle altre, essere fieri dei vanti della sua storia non implica rimpiangerne le pagine più buie e vergognose. Dunque celebriamo senza paura e senza vergogna le nostre grandi personalità e i loro meriti; dobbiamo conoscere la nostra storia guardando con orgoglio alle sue glorie e con severità alle sue colpe, perchè una nazione senza storia è una nazione senza futuro.
RADIO LONDRA – NOTIZIE DAL MONDO LIBERO
di Gaspare Battistuzzo Cremonini
L’Occidente resista alle Termopili
Centrali di polizia date alle fiamme, negozi saccheggiati, persone malmenate e monumenti imbrattati: questo è il movimento Black Lives Matter che sempre di più si candida a divenire un movimento violento, partito da generiche rivendicazioni di diritti civili e finito a violare quegli stessi diritti civili che sostiene di voler difendere.
Se in Italia questa protesta ha attecchito nei soliti sostrati delle sinistre piazzaiole con quoziente intellettivo negativo (Sardine e familiari stretti), nei paesi anglosassoni il racist issue, la questione razziale, posto che esista, si sta sviluppando in un vero e proprio terremoto sociale che è già all’opera nel procurare danni ingentissimi al nostro patrimonio culturale e identitario.
Negli USA sono state vandalizzate le statue dei grandi generali della Confederazione, una per tutte quella di Lee; in Inghilterra invece la statua del filantropo Edward Colston è stata divelta e gettata nel porto di Bristol da manifestanti inferociti e con il beneplacito del sindaco anglo-giamaicano Marvin Rees mentre il primo cittadino di Londra, l’anglo-indiano Sadik Khan, sta in questi giorni facendo rimuovere le statue di personaggi come Sir Francis Drake, Cecil Rhodes, Giacomo II e Oliver Cromwell, identificati dagli estremisti del Black Lives Matter come corresponsabili della tratta degli schiavi africani.
Al contempo, in Belgio, diverse università stanno procedendo alla rimozione delle statue dedicate al re Leopoldo II mentre molte città britanniche, con Londra in testa, vedono storici monumenti a monarchi come la Regina Vittoria o a politici come Winston Churchill vandalizzati con bombolette spray e finanche il cenotafio ai caduti nelle guerre mondiali ha rischiato, nei giorni scorsi, di essere preso d’assalto dai manifestanti per bruciarne la bandiera.
Non mi interessa, a questo punto, discutere un minuto di più circa il presunto casus belli, ossia la morte di George Floyd, pluripregiudicato afroamericano già condannato per rapina a mano armata, durante un fermo di Polizia: quel che compete ad un tribunale non dovrebbe esser messo nelle mani di una folla urlante che usa un pretesto per giungere ad un obiettivo assai più pericoloso.
Lo scopo di queste manifestazioni è infatti più subdolo ed estremamente pernicioso. Quel che qui si vuol fare non è ottenere maggiori diritti né miglior trattamento per le minoranze – peraltro giova sottolineare che in USA, annualmente, muoiono per mano della polizia più bianchi che neri (statistiche alla mano), - ma piuttosto bombardare sistematicamente la Cultura Occidentale in un crescendo di attacchi portati da minoranze che si sentono sempre più forti ed in diritto di modificare la narrazione storica dei paesi che le ospitano.
Beninteso: il colonialismo ebbe le sue luci, molte, e le sue ombre, moltissime; è tuttavia parte della storia e la pretesa di voler non solo rileggere ma ridisegnare la storia è quantomeno bizzarra e certo totalmente a-scientifica. Come ben sanno gli antropologi, è infatti tipico di molte civiltà africane l’uso di modificare il passato retroattivamente al fine di giustificare il presente: in Occidente però ci affidiamo al metodo scientifico ed esso non prevede la possibilità di ri-scrivere gli eventi storici ma soltanto di studiarli.
Il caso Edward Colston è emblematico. Mercante di schiavi di grande successo nel XVII secolo, accumulata una fortuna, decide di dedicarsi ad opere di bene e nella sua Bristol fonda un numero strabiliante di opere pie che a tutt’oggi esistono e portano notevole beneficio alla città; non solo, sceglie inoltre di legare ad essa ben 70.000 sterline, un patrimonio per allora immenso, sempre da devolvere ad opere filantropiche. Eppure, essendo stato un mercante di schiavi, è entrato nel mirino dei Black Lives Matter.
L’allarmante quesito è: quale sarà il prossimo passo? Perché se si vuole riscrivere la Storia invece di studiarla, è indubbio che cadranno sotto la mannaia anche Daniel Defoe, autore immortale del Robinson Crusoe, già commerciante di schiavi e tra i primi colonialisti britannici nonché Cristoforo Colombo, in America ormai degradato a figura di semi-terrorista para-nazista dedito a scorribande criminali in giro per il mondo. Bruceranno le opere di Defoe? E’ lecito temerlo.
I governi occidentali hanno qui ed ora, di fronte a sé, un momento di verità epocale che non possono trascurare. Se essi daranno corda alle illegittime pretese di minoranze razziali e religiose, firmeranno la condanna a morte della Cultura Occidentale e la sua estinzione nel giro di pochi decenni. Se invece - consci dell’unicità dell’esperienza occidentale dello Stato di Diritto, - questi governi sapranno favorire i diritti senza cedere alle minacce e senza svendere, dileggiare, contrabbandare il nostro retaggio storico europeo, allora per noi Occidentali ci sarà ancora la speranza di giocare un ruolo nel mondo postmoderno, pur se stretti tra africani ed asiatici.
Non agire ora, non essere fermi ora, non difendere l’Europa alle Termopili e se necessario sacrificarsi come Leonida potrà avere ripercussioni inimmaginabili per lo stile di vita dei nostri figli e nipoti.
CAPITALISMO SENZA STATO
di Giuseppe Borgioli
Il libero mercato ha bisogno del quadro giuridico dello stato che assicura diritti e legalità. Senza stato di diritto il capitalismo diventa caos. Ci sono esempi storici evidenti sotto i nostri occhi. La Cina è un sistema di capitalismo difficilmente imitabile che prospera sotto l’ombrello di uno stato-partito che controlla tutto e mette a tacere tutto, inclusa la genesi della fuga del virus. Il capitalismo americano si è imposto con una legislazione che ha regolato la concorrenza e i diritti dei cittadini. Luigi Einaudi la penava così. Il libero mercato è un insieme di leggi coerenti indirizzate a questo fine. In Italia c’è lo stato? C’è il capitalismo? L’Italia, o meglio la repubblica, e sempre di più un ibrido, un labirinto di leggi e regolamenti che non garantiscono la legalità. Ecco perché evitano l’Italia e il suo pseudo mercato gli investimenti esteri. Non c’è certezza della legge e della pena. Quindi c’è l’arbitrio. Non c’ò un uomo solo al comando con i vituperati pieni poteri perché ha prevalso l’attitudine spartitoria. Dare non a ciascuno il suo, ma cooptare tutti alla ripartizione delle spoglie. La logica dominante è quella trattativista di dare a tutti l’illusione di essere protagonisti nel chiacchiericcio istituzionale. Gli stati generali in via di convocazione da parte del premier Conte rientrano in questo copione. I piani seri di rilancio economico si fanno in ben altro modo. La strada l’ha indicata Vittorio Colao con i punti circostanziati che ha steso con i suoi collaboratori. Cosa rispondere a Vittorio Colao e a quello che ha messo nero su bianco? Voi credete che il super invocato piano Marshall sia il frutto di una assemblea dove è presente tutto e il contrario di tutto. Questo è l’elogio del circo Barnum che non convince nessuno degli Italiani. È pur vero che con la quarantena sofferta per il virus che è sparito improvvisamente, come era insorto, ha evidenziato le nostre magagne. Il nostro popolo ha dimostrato pazienza e disponibilità a credere nelle versioni ufficiali del regime. Ma c’è un limite anche alla pazienza. Pensare che da un’assemblea così raccattata possa nascere un programma serio su come spendere il premio milionario che ci assegna l’Europa è troppo, significa sfidare il buon senso della gente. Salvini ha molti difetti ma non può diventare un alibi per l’inadeguatezza di chi ci governa. A meno che lo spirito santo non visiti quel conclave e provveda ad illuminare le intelligenze. Ne dubitiamo lo spirito santo ha altre frequentazioni. Non ci resta che Di Maio e di puntare sulle non ancora espresse capacità dei suoi colleghi. Qualcuno osserverà maliziosamente che il corona virus si è rivelato un buon affare per il governo dell’immobilismo. L’Italia è vissuta per anni, come su una rendita, sull’emergenza politica del comunismo internazionale. Tanti errori si scusavano al governo Italiano purché non cadesse nella rete del comunismo sovietico. L’emergenza è continuata con la crisi militare nel mediterraneo. Oggi l’emergenza economica del corona virus sembra il cacio sui maccheroni. Il governo si illude e illude l’opinione pubblica sul futuro che ci attende. Le apparizioni televisive del premier Conte non risolvono i problemi del consenso, anzi li aggravano. Al premier Conte suggeriamo una quarantena televisiva se non vuol passare alla storia come il Pinocchio nazionale. Siamo giunti al nodo della crisi istituzionale della repubblica, che è prima si tutto crisi di identità. Basta con gli annunci, à l’ora delle scelte. Lo scontro non è fra destra o sinistra, tecnici o politici. Il virus è nel cuore della repubblica. La crisi istituzionale di oggi può diventare lo strappo sociale di domani che mette a rischio la stessa unità nazionale. Fermatevi sino a che siete in tempo.
Buon viaggio, Conte
L’Unione Monarchica Italiana abbruna le sue Bandiere salutando il Conte Alessandro Cremonte Pastorello di Cornour, Vicepresidente della Consulta dei Senatori del Regno, gentiluomo dell’antico Piemonte Sabaudo, stingendosi con affetto alla famiglia.
Conte Alessandro Cremonte Pastorello di Cornour