Parola di Re
L'UMI è istituita per raccogliere e guidare tutti i monarchici, senza esclusioni, al fine di ricomporre in sè quella concordia discors che è una delle ragioni d'essere della Monarchia e condizione di ogni progresso politico e sociale. Suo compito non è la partecipazione diretta alla lotta politica dei partiti, ma la affermazione e la difesa degli ideali supremi di Patria e libertà, che la mia casa rappresenta.
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L'opinione di Giuseppe Borgioli
Cosa resta dell’Europa
di Giuseppe Borgioli
Nei momenti di euforia val la pena soffermarsi sugli elementi che ispirano alla riflessione. A costo di rovinare la festa di chi aspetta i soldi promessi e sogna l’ombrello dell’Europa per ripararsi dai temporali autunnali, bisogna guardare in faccia la realtà per non essere delusi dai fatti. L’Italia ha archiviato l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea frettolosamente senza valutarne le conseguenze politiche economiche e finanziarie. Per i politici Italiani, ammalati come sempre di provincialismo, é più importante garantirsi uno strapuntino in un qualsivoglia consesso internazionale che avere voce in capitolo sugli avvenimenti. Come diceva De Coubertin è importante partecipare. Se poi si riesce a strappare qualche soldo in più è ancora meglio. Gli uomini politici Italiani non sono ferrati con le lingue. Ne so qualcosa anche personalmente. Abbiamo una dolce attenuante. La nostra lingua madre è così bella e espressiva, dotata naturalmente di una sonorità che è poesia anche quando sceglie le modalità prosa. Sono un toscano ma come si può resistere al fascino del napoletano , ci sembra che quella lingua sia nata per la musica. E così il vituperato romano cha dà voce e corpo allo sberleffo con il quale quel popolo, nobile e plebeo, si ripara dal sopruso del potere. E che dire delle altre lingue tutte iscritte al gotha della nobiltà letteraria. Un menù presentato in abruzzese ha più sapore, così l’emiliano o il veneto, lingua che i dogi e i mercanti viaggiatori usavano per la loro (alta) diplomazia. Non è vero che i siciliani ( e qui meriterebbero la” S” maiuscola) sono reticenti. Parlano nella lingua della loro storia,fatta d(i saggezza. Come i Sardi: silenzio e poche parole, più sguardi che parole. Questa digressione per far capire che la formula del recovery fund diventata di uso comune nella lingua egemone dice molte cose di non facile comprensione. Soldi prestati sono sempre soldi presti a prestito e se non sono presi a prestito rendono più amaro il boccone- L’orgoglio di una nazione dovrebbe essere quello di tenere i conti in ordine. A costo di sfiorare l’impopolarità, ricordo che neanche dopo una guerra abbiamo avuto le finanze così disastrate. Toniamo a questa Europa multi lingue dove è difficile intendersi. C’era più Europa nella comunità dei sei del carbone e dell’acciaio, o in quella allargata , sino quasi a perdere la nozione dei suoi confini, della burocrazia di Bruxelles e dei vertici che si ripetono con grande strette di mano e abbracci? Perché non dire che questa Europa è diventata un trampolino di lancio per politici nazionali o come si diceva una volta un ricovero di vecchi elefanti ingombranti in salotto? L’abbandono del Regno Unito non ha dato vita al minimo dibattito sul destino europeo nè in Italia né altrove. Silenzio assordante nelle cancellerie del continente. La discussione ha riguardato solo le modalità tecniche di questo abbandono. Oggi e a tutti evidente che l’Europa è ridotta all’asse franco- tedesco, gli altri sono spettatori che qualche volta ricevono una mancia.
Virgina Raggi si ricandida. Una sconfitta è probabile, ma una nuova “commedia” all’italiana potrebbe favorirla
di Salvatore Sfrecola
( tratto da: www.unsognoitaliano.eu)
“Mai dire mai”, ovvero Never Say, Never Again, è il titolo di uno dei fortunati film, del 1983, protagonista il mitico agente segreto 007 al servizio di Sua Maestà, interpretato da Sean Connery, con al fianco la bellissima Kim Basinger. Mi viene in mente a leggere il commento di Francesco Storace, neo vicedirettore de Il Tempo, a proposito della ricandidatura di Virginia Raggi a Sindaco di Roma. “Virginia Raggi probabilmente sta tentando la carta della disperazione – scrive Storace – . Perché sa che non ha la minima possibilità di restare in Campidoglio da sindaco, stante il forte ribasso delle sue quotazioni tra i cittadini romani. Con lei il Pd non intende allearsi, a meno che non si sia di fronte all’ennesima commedia politica”. Ecco, l’ennesima “commedia politica” è possibile. È già andata in scena nelle precedenti elezioni, quando Giorgia Meloni è stata fermata sulla strada del Campidoglio da Silvio Berlusconi che ha diviso il Centrodestra, prima con candidature improponibili, il solito Guido Bertolaso,il costruttore “rosso” Alfio Marchini, figlio di Alvaro partigiano, imprenditore e gallerista italiano, dirigente sportivo e Presidente della AS Roma dal 1968 al 1971. Alfio, ben visto anche da ambienti ecclesiastici, disse un giorno che lasciava la Ferrari fuori Roma per non apparire il solito ricco figlio di papà. Vantava uno staff di esperti che non si sa bene cosa gli consigliassero, viste la banalità con le quali infarciva i suoi interventi, specie televisivi, in ogni caso presentati zagagliando, come si dice a Roma. Non solo, ma la commedia politica il prode Silvio l’ha completata presentando Alessandra Mussolini che, naufragata nelle urne, ha candidamente ammesso di essere stata messa in lista per ostacolare Giorgia Meloni. Ebbene è alle viste una nuova edizione della “commedia politica” che Storace richiama. Si sente fare il nome, oltre che del solito Bertolaso di un’altra brava persona che, petrò, che non prende voti, Franco Frattini, Presidente di sezione del Consiglio di Stato, già Ministro della funzione pubblica e degli esteri. Frattini è persona molto stimata, giurista di valore, uomo garbato, ottimo oratore. Da salotto, tuttavia, tanto che, candidato capolista di Forza Italia a Roma in una elezione comunale di qualche anno fa prese intorno a cinquemila voti. Alla luce di queste considerazioni a caldo la tesi di Storace che la Raggi non abbia la “minima possibilità di restare in Campidoglio da sindaco, stante il forte ribasso delle sue quotazioni tra i cittadini romani” non la darei per scontata. Ovvero sarebbe la conclusione naturale di una campagna elettorale che le vedesse opposta una personalità del Centrodestra capace di esprimere, con adeguato vigore, il senso del ruolo della Capitale d’Italia, la città più bella del mondo, “onde Cristo è romano”, per dirla con Padre Dante. Invece i partiti, anche quelli “romani”, come Fratelli d’Italia guidato dalla romana Giorgia Meloni, sembra non abbiano intenzione di impegnarsi per Roma. Altri, come la Lega di Matteo Salvini, non si sono mai radicati nella Capitale, come dimostra il fatto, inequivocabile, che né in Parlamento né in occasione del governo giallo-verde sono state schierate personalità del mondo romano, provenienti dai ministeri, dai grandi enti pubblici, dall’università più grande d’Europa, dalle magistrature Superiori, dagli ordini professionali, dall’industria locale che ha sviluppato nel tempo elevate potenzialità. Niente. Neppure un’idea, che pure sarebbe facilissima, sul ruolo “politico” della Capitale. Non solo. Roma è la storia dell’Occidente. Del diritto, e sembra banale ripeterlo. Roma è sinonimo di civiltà, rappresentata dagli acquedotti che portavano ovunque, in Italia e nelle province dell’Impero, l’acqua, l’emblema stesso della vita. Come le strade, necessarie allo sviluppo dei commerci e alle relazioni tra i popoli, le terme, per favorire il rapporto interpersonale, o i teatri. E per la condizione civile e per quella religiosa Roma è un’icona della cultura e dell’arte. Ed oggi, da quando esiste lo Stato unitario è la città ha assunto il ruolo di Capitale è la sede del governo della Nazione, il luogo fisico dove si fa politica, nelle Camere del Parlamento attraverso le quali il popolo italiano esercita la sovranità che la Costituzione gli attribuisce. Eppure, come ho appena occasioni, del mondo delle professioni romane non c’è traccia nell’organigramma dei partiti, di quelli di governo e di quelli di opposizione. È colpa dei partiti che non si appoggiano a queste realtà culturali, professionali ed economiche imprenditoriali importanti? Probabilmente è così. Ma è anche colpa di questo mondo variegato ma ricco di capacità professionali e di cultura che ha trascurato l’interesse per la città. Presi dall’impegno professionale hanno lasciato correre, come si dice, implicitamente delegando al più modesto dei mondi politici la gestione della città e la partecipazione al dibattito sui grandi temi dello Stato, del suo ordinamento, del suo funzionamento, che emergono drammaticamente nel momento in cui, a seguito dell’epidemia che ha bloccato l’economia in ogni settore, è necessario un impegno di grandi proporzioni perché l’Italia riprenda a crescere. E consideri non solo le condizioni dal gennaio di quest’anno, alla vigilia della dichiarazione di emergenza nazionale. Perché l’Italia non cresce da anni, da troppi anni. In queste condizioni dare per scontato che la Raggi “non ha la minima possibilità di restare in Campidoglio da sindaco” è azzardato perché potrebbero riprodursi le condizioni per le quali il degrado della politica, l’evidente incapacità del governo e lo scarso smalto dell’opposizione favoriscano in un ballottaggio Virginia Raggi che, opportunamente, da alcuni mesi è silente, mentre alcune esigenze minime dei romani sono state soddisfatte, come l’asfaltatura di alcune strade importanti, l’illuminazione delle gallerie, per cui i suoi fans dicono che ci voleva del tempo perché fosse apprezzata. È vero, che il tema dei trasporti e quello della raccolta dei rifiuti ma sento dire dai fans della giovane Sindaco che dobbiamo darle tempo. “Mai dire mai”, dunque. A suo tempo, in suo favore, è stato un voto “contro”, normale in democrazia quando è difficile votare “a favore”. Per molti era stato impossibile continuare a votare i partiti che negli ultimi anni, a livello centrale e locale, hanno dato dimostrazione di straordinaria incapacità. Nessuna scelta ideologica. Chi ha votato M5S ha voluto rigettare in toto la vecchia politica, le chiacchiere che hanno accompagnato slogan che molto promettevano e quasi nulla hanno realizzato. È vero che anche il M5S è andato avanti con parole d’ordine assolutamente vuote, come quella “abbiamo eliminato la povertà”, che subito è stata annotata da qualcuno senza appello: “la povertà degli amici”, certamente, non degli italiani. Eppure, il consenso nei confronti del Movimento 5 Stelle, diminuito anzi dimezzato, si è stabilizzato e non è detto che, in un ballottaggio, la Raggi possa farcela, considerato che nessuno dei grossi nomi che potrebbero contrastarla sembra volersi impegnare. Gestire Roma è difficile, ma trascurarla è un grave errore politico. Chi conquista Roma conquista l’Italia. Tutte le capitali sono emblema della politica nazionale. Ricordo che in Francia Chirac è stato per 15 anni sindaco di Parigi ed i suoi ministri erano sindaci delle grandi città, da Tolone a Marsiglia.
“Salvo intese”. Vuol dire che il documento che si sostiene approvato dal Consiglio dei ministri in realtà non c’è
di Salvatore Sfrecola
(tratto da: www.unsognoitaliano.eu)Ormai la conoscono tutti la formula con la quale il comunicato del Consiglio dei ministri informa che un determinato provvedimento è stato approvato “salvo intese”. Serve al Presidente del Consiglio per fare la sua conferenza stampa ed annunciare le misure che ritiene gli italiani apprezzeranno. Come nel caso del decreto legge di agosto, quello che introduce misure urgenti per il sostegno e il rilancio dell’economia. Stavolta la formula viene aggiornata: “salvo intese tecniche”. Che non è chiaro cosa significhi. Perché potrebbe riguardare tanto l’ammontare delle risorse messe in campo e le relative coperture, quanto la formulazione di alcune norme.Nel Comunicato del CdM si legge che “con il decreto, il Governo ha stanziato ulteriori 25 miliardi di euro, da utilizzare per proseguire e rafforzare l’azione di ripresa dalle conseguenze negative dell’epidemia da COVID-19 e sostenere lavoratori, famiglie e imprese, con particolare riguardo alle aree svantaggiate del Paese. Con il decreto, le risorse complessive messe in campo per reagire all’emergenza arrivano a 100 miliardi di euro, pari a 6 punti percentuali di PIL.”, ma si riferisce anche di norme che riguardano il regime fiscale dei cittadini e delle imprese, con effetti sulla finanza dello Stato e degli enti locali, disposizioni che incidono su un groviglio di norme e di interessi che non è facile coordinare. E c’è anche l’istituzione di una nuova Autorità per gestire le opere dirette alla salvaguardia di Venezia, in sostituzione del Magistrato alla acque, che fin dalla Serenissima Repubblica curava le opere dirette a garantire le condizioni naturali della laguna. In nessun caso si tratta di questione di poco conto. E comunque “salvo intese” vuol dire che il Consiglio dei ministri ha approvato un testo, a dir poco, incompleto in alcune delle sue parti. E quindi non c’è un provvedimento che possa legittimamente recare nelle premesse il riferimento alla deliberazione del Consiglio dei ministri che in nessun caso potrebbe essere “conforme” a quello rimesso al Capo dello Stato perché lo “emani” ai sensi dell’art. 87 della Costituzione. Questa funzione attribuisce al Presidente della Repubblica un controllo di legalità del “provvedimento provvisorio con forza di legge” giustificato da “casi straordinari di necessità e d’urgenza”, come si legge nel secondo comma dell’art. 77 della Costituzione. Il Capo dello Stato nell’esercizio della sua funzione di garanzia e di estraneità al potere politico ed alla funzione di indirizzo politico, deve pertanto verificare che sussistano i requisiti che consentono al Governo, in ragione della “necessità ed urgenza” di esercitare la funzione legislativa ordinariamente di competenza delle Camere. Anche per verificare che il provvedimento del Governo non abbia inciso su situazioni giuridiche soggettive costituzionalmente tutelate. Un potere del quale i Presidenti della Repubblica hanno fatto scarso uso, nonostante la dottrina del diritto costituzionale riconosca loro la possibilità di rifiutare la firma, cosa che fece Luigi Einaudi. Il fatto che “salvo intese” ricorra da tempo e, di recente, molto frequentemente nelle deliberazioni del Consiglio dei ministri non deve indurci a ritenere che sia una prassi corretta. Va, infatti, ricordato che i provvedimenti posti all’o.d.g. del Consiglio dei ministri sono in precedenza esaminati nel corso della riunione preparatoria, convenzionalmente chiamata “preconsiglio”, alla quale partecipano i Capi di Gabinetto ed i Capi degli uffici legislativi dei vari ministeri, convocati dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, alla presenza del Capo del Dipartimento per gli affari Giuridici e Legislativi (DAGL). In quella sede i provvedimenti vengono esaminati e, se maturi per l’approvazione, ne viene decisa l’iscrizione all’o.d.g. del Consiglio. Nel preconsiglio è possibile che emerga l’esigenza di mettere a punto qualche norma e di precisare la copertura di quelle che comportano spesa. Un aspetto da non trascurare, nel quale essenziale è il ruolo della Ragioneria generale dello Stato in quanto, diversamente da quel che intendono alcuni, soprattutto i politici, la copertura di una nuova spesa comporta la riduzione o la cancellazione di altra spesa e del corrispondente stanziamento di bilancio. Infatti le risorse non si trovano nel cassetto dei ministri, sono indicate in bilancio per far fronte a spese previste che certamente possono essere ridimensionate o annullate ma sempre tenendo conto che quelle risorse, le quali cambiano destinazione, rispondevano a determinate esigenze. E se le nuove spese sono coperte con l’indebitamento nondimeno è necessario che si ridetermini l’autorizzazione del limite del ricorso al mercato previsto in bilancio. “Salvo intese”, dunque, nelle deliberazioni del Consiglio dei ministri costituisce una grave violazione di un principio fondamentale, quello che i decreti legge che il Capo dello Strato emana e che vanno in Parlamento per la conversione devono essere conformi alla deliberazione del Consiglio dei ministri. E se quella corrispondenza non c’è l’atto è illegittimo se non sottoposto ad una nuova deliberazione del Consiglio dei ministri una volta raggiunte le “intese”.