di Gianni Torre
Giuseppe Garibaldi, “un personaggio che più di ogni altro rappresenta, nella nostra storia nazionale, il coraggio fisico e lo spirito avventuroso”, capace di incarnare “tuttora quegli ideali di patriottismo che hanno agitato la felice stagione del Risorgimento e portato all’unità d’Italia”. Così Alessandro Sacchi, curatore della Collana “L’Italia in eredità” presenta, “Garibaldi” (AA. VV., a cura di Edoardo Pezzoni Mauri e Salvatore Sfrecola, Historica, Roma, 2022, pp. 154, € 16.00). La Collana, che aveva iniziato il suo percorso nella storia d’Italia con un volume su Vittorio Emanuele II e proseguito con Camillo Benso di Cavour, ricorda ora Garibaldi a 140 anni dalla morte con questo libro che sarà presentato ufficialmente a Torino il 4 giugno, alle ore 18,00, al Museo del Risorgimento, Palazzo Carignano, sede della Camera del Parlamento del Regno di Sardegna.
Brevemente e in modo comprensibile per tutti, esamino tre ordinamenti giuridici: quello della Repubblica Italiana, vigente; quello del cessato Regno d'Italia e quello della Real Casa di Savoia.
Per la Repubblica Italiana Vittorio Emanuele di Savoia è un suo cittadino e, come tutti gli altri, gode dei diritti e doveri relativi. La Repubblica non riconosce titoli araldici. Per la Repubblica quindi Vittorio Emanuele è un privato signore, con un cognome famoso.
Per l'ordinamento giuridico del cessato Regno, l'art. 92 del Codice civile afferma: "Per la validità dei matrimoni dei Principi Reali è richiesto l'assenso del Re Imperatore". Vittorio Emanuele non chiese l'assenso al Re, quindi il matrimonio è invalido.
Per l'ordinamento della Dinastia Vittorio Emanuele ne ha violato tutte le norme. Si ricorderà bene che in una delle sue famose lettere, il Re afferma che se anche avesse voluto, egli non poteva mutare le norme della sua Casa.
Ne deriva che nessuno degli ordinamenti suindicati può essere richiamato a favore di Vittorio Emanuele.
Il matrimonio civile fu celebrato senza avvisare nessuno, come egli stesso afferma in un suo libro, a Las Vegas (sono stato a Las Vegas e ho visto come avvengono questi matrimoni), quello religioso in Iran. Il Re ordinò che nessun membro della Casa Reale intervenisse alla cerimonia e così fu.
Cessato il ramo principale della Dinastia, come indicò lo stesso Sovrano in una delle sue lettere sopra citate, la successione passa al ramo Aosta.
Per affermare di essere un principe sabaudo e Capo della Real Casa, intervenuta la Repubblica, ci si può solo richiamare alle norme interne della Dinastia, ma avendole violate tutte, tutti gli atti compiuti da Vittorio Emanuele dopo il matrimonio sono nulli, come non avvenuti. Compreso quello, piuttosto audace, con cui deponeva il Re e si proclamava Vittorio Emanuele IV.
Nulli i titoli alla Signora Ricolfi Doria, quelli al figliolo (non esiste uno scritto del Re che lo indichi principe di Venezia, del resto titolo nobiliare estraneo alla Dinastia).
Insostenibile il richiamo a Tomislavo II. Vi fu una richiesta di designazione da parte di Ante Pavelic e una designazione del Re Imperatore per il Duca di Spoleto. Ma tutto finì lì. Mai e poi mai nel corpus iuris dello Stato Indipendente Croato, da me consultato a Zagabria, vi è un accenno ad un Re e a una Monarchia. Capo dello Stato fu sempre Pavelic.
Il 10 Settembre 1943 Pavelic emetteva la seguente dichiarazione: "Poichè colui che il 18 maggio 1941 fu designato Re di Croazia non ha fatto alcun uso di questa designazione, dichiaro l'offerta e la designazione per lo Stato Indipendente Croato decadute e nulle" (*).
Circa una abdicazione di Aimone, questo lo dice Amoretti, che non fu mai in Croazia, nel suo libro, ma a me non risulta. Non ho trovato nessun documento.
Tutto il resto è discorso giuridicamente irrilevante.
Giulio Vignoli, già prof. di Diritto dell'Unione Europea, Organizzazione Internazionale e Diritto Pubblico Comparato nell'Università di Genova.
(*)G. V. Il Sovrano sconosciutio. Tomislavo II, Mursia.
I monarchici denunciano l’ennesimo attacco alla famiglia attraverso la manipolazione dei cognomi
La sentenza della Corte costituzionale non ancora depositata, nota solamente sulla base di un comunicato dell’Ufficio stampa della Consulta, che ha dichiarato “illegittime tutte le norme che attribuiscono automaticamente il cognome del padre” desta non poche perplessità.
A giudizio dell’Unione Monarchica Italiana la pronuncia costituisce una ingerenza fuori da ogni limite e ritegno nella vita privata e costituisce un colpo gravissimo alla identità familiare dell’individuo. Inoltre, in caso di disaccordo tra i genitori, la previsione di una intromissione giudiziaria senza alcuna giustificazione costituisce un autentico esempio di totalitarismo politically correct!
I monarchici italiani, i quali ricordano che nella cultura del nostro Paese la famiglia è una società naturale, ritengono che la continuità dell’albero genealogico, assicurata dal cognome paterno sia una garanzia di identità compatibile con l’acquisizione anche del cognome materno, come previsto in molti ordinamenti. È evidente, invece, che negata la necessità del cognome paterno si nega la stessa famiglia.
Roma, 28.04.2022
Il Presidente Nazionale
Avv. Alessandro Sacchi
L’Unione Monarchica Italiana abbruna le bandiere del Regno d’Italia per la scomparsa del Prof. Avv. Franco Edoardo Adami, docente presso l’Ateneo estense, storica figura di monarchico a Ferrara, e si stringe con affetto alla Famiglia