di Emiliano Caliendo

( tratto da: A Napoli l'assemblea nazionale dei giovani monarchici: «Vogliamo il re» - Il Mattino.it )

«Il futuro dell’Italia è nell'istituzione della monarchia», è questo il responso dell’ultima assemblea nazionale del Fronte Monarchico Giovanile, tenutasi il 9 aprile a Napoli, nella sala ricevimenti di un ristorante a Santa Lucia. A ribadirlo alla platea di circa una quarantina di presenti, perlopiù giovanissimi giunti da diverse regioni italiane, è il neosegretario, eletto per acclamazione, Amedeo Di Maio, ventiduenne studente napoletano di medicina: «Vogliamo diffondere - dichiara - la nostra idea di un’istituzione diversa da quella repubblicana, coinvolgendo i giovani sui temi del lavoro, dell’istruzione e dell’ambiente». «La nostra – chiarisce Di Maio - è un’idea di monarchia parlamentare moderna come quelle del Nord Europa. Pensiamo a quanto i paesi nordeuropei siano un riferimento per i giovani per il loro essere nazioni smart. Dobbiamo riflettere sul fatto che quei paesi sono tutte monarchie. Al contempo, le repubbliche si trovano in uno stato di crisi costante». Il Fronte Monarchico Giovanile sulla disputa dinastica che divide Casa Savoia ha le idee chiare: «Facciamo riferimento alla dinastia del ramo Savoia-Aosta, e non a quello dei Savoia-Carignano - spiega Di Maio - perché come è possibile riscontrare nelle lettere di sua maestà Umberto II, suo figlio Vittorio Emanuele fu disconosciuto per via del suo matrimonio e delle scelte da lui intraprese». Sui compiti dei giovani monarchici ha idee leggermente diverse Elisabetta De Luca, 19 anni, studentessa al primo anno di Lettere e Filosofia, anche lei iscritta Fronte Monarchico Giovanile: «Non siamo semplicemente un’associazione di stampo politico, anche perché sappiamo che la monarchia non può e non dovrà tornare in Italia in nessun modo. In realtà, vogliamo preservare in maniera solenne quella che è la sua memoria storica. A dispetto di ogni persona che - conclude la giovane - ha sempre cercato di esorcizzarla ed eliminarla dalla memoria comune, cerchiamo di valutare il buono che gli anni di Regno hanno portato all’Italia».

In sala, tra le bandiere del Regno d’Italia con lo stemma araldico dei Savoia nel bianco del tricolore, e la lettura della lettera di saluto del principe Aimone di Savoia-Aosta, pretendente di un eventuale trono italiano in disputa con il più noto Emanuele Filiberto, non mancano le nostalgie verso personaggi storici del passato. «Sono affezionata ad Umberto II perché con il suo esempio ha cercato in qualche modo di ricostruire la pace perduta. E anche quando furono palesi i brogli elettorali del 1946, non ha mai cercato di portare l’Italia verso una nuova lotta intestina dopo anni di conflitto», è il ricordo di Elisabetta De Luca. C’è chi poi come Sebastiano D’Urso, studente di Lettere Moderne, arrivato da Acireale in Sicilia, ha rimarcato il ruolo che le donne svolsero nella casata reale: «Maria Clotilde di Savoia fu forse il primo simbolo della moda made in Italy. Maria José di Savoiala regina di maggio, consorte di Umberto II, lavorò per porre fine al fascismo con una congiuraUna regina di sinistra, socialista, a dimostrazione che la monarchia non è di destra ma sopra le parti. Casa Savoia ebbe grandi donne».

A supervisionare i lavori dell’Assemblea, l’avvocato Alessandro Sacchi, presidente dell’Unione Monarchica Italiana, la casa madre “senior” dei giovani monarchici. «La proposta monarchica è attualissima», conferma Sacchi. «Oggi – aggiunge - i giovani viaggiano, girano l’Europa e la monarchia è un meccanismo costituzionale che dove c’è funziona. Tra le più grandi democrazie del pianeta ci sono le monarchie costituzionali europee con un’esatta divisione dei poteri e una funzione arbitrale del capo dello Stato. In Italia tutti sono bravi ad indicare i sintomi delle malattie che affliggono il nostro Paese; noi per queste malattie abbiamo la medicina della monarchia intesa come proposta futuribile». Se gli si chiede di un'eventuale riforma in direzione presidenzialista dello Stato, Sacchi taglia corto in maniera lapidaria: «Sarebbe la peggiore iattura perché affiderebbe alla mutevolezza dell’elettorato, la funzione di essere arbitro sul vertice della macchina costituzionale. E noi rischieremmo di trovarci come presidente della repubblica un famoso comico o una persona senza titolo di studio. Ciò non va bene», Infine, sulla guerra in Ucraina la posizione dei monarchici è pacifista ma equidistante tra le parti in conflitto: «L’UMI deplora la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali ma quando si guarda una caccia alla volpe bisogna comprendere sia le ragioni del cane sia quelle della volpe per avere le idee chiare. E direi che in questo momento sono pochi ad averle».

( tratto da: L'assemblea nazionale dei giovani monarchici per discutere del futuro della loro generazione - Secolo Trentino (secolo-trentino.com)

La gravità della situazione politica, economica e sociale nel momento storico che viviamo è fonte di particolare preoccupazione per il Fronte Monarchico Giovanile Giovanile, così come per tutti i giovani ai quali oggi s’impone un forte impegno per tracciare un futuro di crescita e di sviluppo al quale questa generazione non può e non vuole essere marginale nella vita sociale e politica dell’Italia.

I giovani monarchici, pertanto, si riuniscono per discutere del futuro il 9 aprile 2022 a Napoli in Via Santa Lucia 58, nei pressi del ristorante da Ettore, alle ore 9:00, per la loro Assemblea Nazionale, che definirà anche l’assetto della dirigenza associativa sul territorio nazionale, allo scopo di affrontare al meglio le sfide che attendono i giovani italiani.

( tratto da: Lo Schiaffo 321: MILITE IGNOTO CITTADINO DI CERVINARA? La richiesta dell'Unione Monarchica Italiana | POLITICA)

Il Referendum del 2 giugno 1946 ha aperto l'era "democratica Cervinarese" con un sonoro 84,60% di preferenze per la Monarchia, paria a 3.620 voti favorevoli al Re Sabaudo. La Repubblica Italiana non piacque a Cervinara, visto il clamoroso 15,40% raccolto dai repubblicani. 

Alle elezioni del 1953 il Partito Nazionale Monarchico si assestò come terza forza dopo Democrazia Cristiana Partito Comunista. Alla Camera dalle urne dei seggi Cervinaresi sbucarono ben 1.009 preferenze pari al 19,86% degli aventi diritto al voto erano rimasti Fedeli alla Monarchia, mentre al Senato i Sudditi dei Piemontesi scavalcarono i Comunisti di un punto grazie al massiccio 19,64%.

Per la cronaca la Diccì arrivò prima grazie al 56,77%, staccando la "Corona stellata" e spaccando quel fronte monarchico del 1948.                                           

Il crollo Monarchico a Cervinara è datato 25 maggio 1958. La Corona si spaccò ed i fuoriusciti fondarono il 2 giugno 1954 il Partito Monarchico Popolare (PMP) per iniziativa di Achille Lauro, in seguito ad una scissione all'interno del Partito Nazionale Monarchico. La fuoriuscita di decine di sezioni aprì la crisi irreversibile che sancì la fine del PNM l'11 aprile 1959, giorno in cui confluì nel Partito Democratico Italiano di Unità Monarchica fondato dall'Irpino Alfredo Covelli. Ma questa è un'altra storia.

Oggi i neomonarchici cercano un dialogo con le Istituzioni della Città di Cervinara, che non avrebbero preso nemmeno in considerazione la richiesta della cittadinanza al Milite Ignoto, creando un caso nazionale visto il ruolo che ricopre Genovese:  

"Il 2 novembre 2021, il sottoscritto, nella qualità di Vicesegretario nazionale dell'Unione Monarchica Italiana, aveva chiesto, a mezzo pec, al Sindaco di Cervinara - scrive Genovese Su FB - la cittadinanza onoraria o l'intitolazione di una strada al Milite Ignoto, ad oggi, la mia richiesta è rimasta inevasa. Oggi, 2 aprile 2022, dopo sei mesi dalla richiesta, omaggio il Milite Ignoto, come semplice cittadino di Cervinara. (vedi foto in copertina) In effetti, appena due giorni dopo l'arrivo della richiesta dell'avvocato Augusto Genovese, tramite posta elettronica certificata, oltre tremila (3185) Comuni decisero liberamente di conferire la cittadinanza onoraria al Milite Ignoto nell’ambito del Progetto "Milite Ignoto, Cittadino d’Italia", promosso dal Gruppo delle Medaglie d’Oro al Valor Militare d’Italia in collaborazione con l’Anci nazionale ed il Consiglio Nazionale Permanente delle Associazioni d’Arma, per commemorare la traslazione del Milite Ignoto, avvenuta cent’anni fa, il 4 novembre del 1921, nel Sacello dell’Altare della Patria a Roma. Più di duecento amministrazioni comunali inoltre intitolarono al Milite ignoto, la Medaglia d’Oro al valor Militare, una via, una piazza o un altro spazio cittadino. Tra le adesioni spiccano quelle di ben 18 capoluoghi di Regione e di una novantina di capoluoghi di Provincia, oltre a numerosi piccoli centri di ogni angolo del Paese. Non a Cervinara, anche se siamo ancora in tempo, perché l'anno di celebrazioni del centenario si chiude il 2 giugno 2022. Addirittura c'è il tempo per coinvolgere tutti i Comuni della Valle Caudina: L’iniziativa rientra nelle celebrazioni per il Centenario del Milite Ignoto, aperte lo scorso 2 giugno presso la Sala Bandiere dell’Altare della Patria, e proseguirà fino al 2 giugno 2022, conclusione dell’anno di celebrazioni. Il momento più evocativo delle commemorazioni si è avuto lo scorso 2 novembre, con l’arrivo alla stazione Termini, dopo aver percorso lo storico tragitto del 1921, del Treno della Memoria, esattamente cento anni dopo che il convoglio su cui era stata posta la salma del Milite Ignoto era giunto a Roma.Quanti Comuni Caudini hanno conferito la cittadinanza onoraria al Milite Ignoto?

di Maurizio Blondel

( tratto dal sito: Su Aimone (e perché sento già di amarlo..) (maurizioblondet.it)

Un lettore mi segnala:

Leggo dalla biografia di Aimone Savoia:

“Nel 1994 si è trasferito in Russia, a Mosca per lavorare con la Tripcovich Trading Company. Nel 2000 è stato assunto dal gruppo Pirelli nell’ambito del quale ha ricoperto la carica di direttore generale responsabile per il mercato della Russia e di tutti i paesi dell’ex Unione Sovietica”.

Dunque il recente video-incontro di Putin con gli imprenditori italiani è quasi certamente opera sua, il che dimostra iniziativa, energia, indipendenza di giudizio politico e poco rispetto per il governicchio “atlantista” in carica a Roma.

Probabilmente è anche in parte significativa opera sua e delle sue aderenze in loco al più alto livello nel governo russo, il successo delle nostre imprese in Russia, con l’export aumentato del 53% nonostante il lockdown mondiale, vantato dallo stesso Putin.

Ma c’è altro.

L’ottobre scorso ha visto le nozze dell’ultimo dei Romanv che può salire sul trono dello Zar, il gran duca George Mikhailovich, 40 anni, con l’italiana Rebecca Bettarini, 39, “imprenditrice che vive in Russia”. Volete che Aimone – che partecipato alla festa di nozze con il cugino Emanuale Filiberto – non c’entri nulla con la nascita di questa relazione tra l’”imprenditrice italiana” che è diventata Maria Romanovna e il possibile Zar in un futuro che non osiamo immaginare?

Al matrimonio, dicono i media, “sono stati invitati i reali di tuttta Europa” – Una classe dirigente legittima e politica alternativa, intraprendente e dotata di volontà, con le sue relazioni internazionali forti e vive, rinfrescate da parentele, adatta a sostituire quella al potere per attuare il Grand Reset, dopo le macerie che questa ?

Ciò in un futuro che le profezie di santi fanno intuire abbastanza vicino, nel 2026. Un futuro che non è mio compito immaginare, anche perché è improbabile che io personalmente ci sia al mondo. Ma mi sia consentito di salutare in anticipo: Mio re! Sento già di amarti. ..

Intervista al Presidente Nazionale Avv. Alessandro Sacchi alle ore 21:30 su Alò Web TV, link in basso per seguire la diretta

https://www.facebook.com/827835907275221/posts/5506309936094438/?d=n

di Giuseppe Basini

Non siamo nel settembre del 1939, come in troppi pericolosamente proclamano, abbiamo certo differenze ideologiche, anche profonde, ma niente di realmente paragonabile (a parte alcuni stati feudali o teocratici non però protagonisti) alle concezioni dogmatiche inconciliabili esistenti all’alba del secondo conflitto mondiale.  E se anche ci sono, nelle grandi nazioni, protagonisti politici probabilmente capaci di delitti di stato, non ci sono tuttavia, com’era allora, dirigenze che comunemente pratichino stragi interne su basi di massa anche in tempo di pace.  Però potrebbero risorgere, come già visto nella storia.  Nel Luglio del 1914, invece, vi era un mondo multipolare senza chiare egemonie, con differenze certo tra le potenze, che andavano dalla democrazie borghesi, all’autoritarismo temperato, ma vi era un equilibrio di fondo, anche di valori, basato sulla tradizione diplomatica di classi dirigenti non improvvisate, che certo cercavano di accrescere  la propria potenza economica e militare, ma mantenendo dei rapporti, se non di rispetto, almeno di rispettabilità.  La prima grande guerra, rompendo quell’equilibrio di consuetudini, di rapporti commerciali, di cultura (e perfino di parentele dinastiche tra le case regnanti), che permeava la grande civiltà europea, competitiva certo, ma anche convintamente persuasa di partecipare a una comune civilizzazione, aprì la strada, col rapido e inevitabile indurirsi degli scontri, al risorgere della barbarie.  Fu una guerra nata quasi per caso, per incidente, per l’accumulo di tensioni che la corsa agli armamenti, praticata per voglia di primeggiare, paura degli altri e perfino pura vanagloria, aveva innescato col suo carico di sospetti reciproci.  Fu una guerra stupida, forse la più stupida della storia, tra paesi simili che non avevano alcun interesse a farla e che infatti uscirono –tutti- indeboliti, cominciando a perdere la loro influenza nel mondo fino alla progressiva scomparsa dei loro imperi e del primato della loro civilizzazione.  Una guerra stupida, che divenne immensamente crudele e fu una guerra provocata soprattutto dalle parole.  Sì, le parole, spesso pronunciate senza troppo pensare, ma che poi ci inchiodano, specie se pronunciate dai leader verso le loro pubbliche opinioni.  I proclami sempre più incendiari delle cancellerie, il tintinnio di sciabole, le orazioni gonfie di iperboli degli intellettuali impegnati, la rimozione di tutte le ragioni degli altri, ci spinsero sempre di più sul piano inclinato della guerra, creando un’enorme ondata psicologica alla quale diventava impossibile resistere senza farsi travolgere, senza figurare vili o traditori.  Arnold Toynbee, ammoniva che il dramma della storia “ è che quasi sempre le ragioni sono da entrambe le parti”, ma noi troppo spesso attiviamo una sorta di filtro mentale che lascia passare verso la nostra coscienza vigile solo le riflessioni e le informazioni che vogliamo ascoltare.  E’ così si arrivò rapidamente alla deformazione degli avversari, alla loro identificazione coi mostri, i Tedeschi (il cui Kaiser solo un mese prima era “Il caro cugino” del Re d’Inghilterra) diventarono i “sales boches” che uccidevano i bambini (per noi, l’anno dopo, gli Unni), mentre i giornali di Vienna cominciarono a chiamare l’Italia “la perfida nemica del sud”, definendo colpevoli tutti e soli gli altri dei più abominevoli massacri, ai quali era naturalmente assoluto dovere morale opporsi.  E così i massacri arrivarono davvero, dall’una e dall’altra parte e dal crollo di civiltà, cultura, buon senso e voglia di vivere, sorsero, alimentati da un terribile rancore, il comunismo e il nazismo.  Perché ricordo questo oggi ?  Perché rischiamo di far diventare il mondo accettabile del 1914 di nuovo quello inaccettabile del 1939, ma con in più un’aggravante assoluta, quella di vivere in un mondo con bombe termonucleari. Putin è un autocrate, ma non è Stalin, gli oppositori che manifestano in piazza a Mosca e che vengono arrestati e identificati (e che ricordano gli studenti americani ai tempi del Vietnam) all’epoca dell’Unione Sovietica sarebbero scomparsi subito perché fucilati sul posto, mentre certi resoconti che mostravano donne ucraine, che affrontavano con le parole i carri e i soldati degli occupanti, non mi hanno colpito solo per il loro coraggio e determinazione, ma anche perché alcuni soldati all’inizio cercavano di non sparare.  Putin non è Stalin, ma finirà per diventarlo se continua così, le bombe russe stanno diventando di giorno in giorno meno selettive e, come sempre, la guerra, da troppi alimentata, un terribile carnaio, mentre in occidente il livello di eccitazione è ormai preoccupante.  L’Ucraina non è, per molti Russi, come l’Ungheria, una nazione diversa e indipendente da loro criminalmente occupata, ma un pezzo vivo di Russia (lo stesso termine di “Rus”, nasce a Kiev, che anzi fu la prima capitale di tutte le Russie) a loro sottratto da noi occidentali con la falsa promessa di un benessere europeo.  E se oggi, per i terribili errori da Mosca commessi, gli ucraini sono diventati in maggioranza anti russi, anche laddove non lo erano (lo erano già nella parte occidentale abitata anche da Ruteni e Polacchi, annessa dopo la spartizione della Polonia con Hitler) anche noi occidentali (soprattutto Americani) non possiamo essere orgogliosi dei sanguinosi moti di piazza che fecero cadere il governo Yanukovich, incapace ma regolarmente eletto.  Oggi tutti siamo colpiti dall’immagine di una popolazione più piccola e meno armata che si difende e la memoria corre inevitabilmente all’Ungheria del 1956, ma non è affatto uguale, anche se rischia di diventarlo.  La Russia di oggi era un paese profondamente inserito nel commercio internazionale, si era trasformata in un paese ancora autoritario, ma non più totalitario, aveva ripudiato il comunismo e i suoi cittadini cominciavano a viaggiare, mentre i suoi uomini d’affari stringevano accordi in tutto il mondo.  Guardava all’occidente la Russia e, paese in fondo di cultura europea e cristiana, si aspettava di entrarne a far parte a pieno titolo, convinta che gli anglosassoni, che da sempre hanno organizzato coalizioni contro l’avversario più forte, che oggi è la Cina, l’avrebbero ammessa.  Era questo anche il disegno di Donald Trump, che aveva compreso come la tradizionale visione eurocentrica di De Gaulle non fosse necessariamente negativa per un’America desiderosa di concentrarsi su di sé e sul confronto con la Cina.  Ma oggi, se non si ferma subito la guerra tenendo realmente conto anche della Russia, stiamo marciando verso un disastro, che sarà non solo umanitario, ma anche civile ed economico e che ci sarà comunque, mentre (ed è quello che temo di più) non ne conosciamo ancora le dimensioni.   I Russi devono certo smetterla di pensare al passato e rendersi conto che, se pure una volta non era così, oggi gli Ucraini in maggioranza non li vogliono e che con la violenza non li piegheranno, anzi li faranno diventare più convinti di essere un popolo diverso da loro, gli Ucraini a loro volta considerino che non vi è solo una vicinanza dell’occidente, ma anche la volontà di una parte di esso di indebolire la Russia, che la parte di russofoni che si sentono legati alla Russia, non può essere semplicemente tacciata di tradimento e infine che l’eroismo non può sostituire la ragione.  Ma noi occidentali dobbiamo renderci conto che spingere la Russia in braccio alla Cina è una follia che pagheremo per decenni, che la sottrazione dei beni della banca centrale russa è contro la credibilità delle regole del mercato, che l’esclusione dallo Swift darà forza al sistema alternativo cinese, che le sanzioni creeranno una divisione perché saranno un disastro solo per gli europei e non per gli americani, che l’ostracismo totale ai russi è pagato con sangue ucraino.  Ma soprattutto tutti, proprio tutti, non possiamo dimenticare che viviamo in epoca nucleare e che è vero e proprio cinismo quello dei buonisti professionali, che si riempiono la bocca di frasi toccanti sulla democrazia, le vittime innocenti, la guerra giusta, creando di nuovo un’ondata psicologica, senza tenere le bombe atomiche in conto, senza vedere che il rifiuto di compromessi o prolunga un conflitto pagato duramente dagli ucraini o fa rischiare a tutti, in occidente e in oriente, l’Apocalisse (ma quella vera, Hiroshima, non quella degli ecologisti).  La mancanza di leadership della presidenza Biden, che, a differenza dell’amministrazione repubblicana, ha ignorato i canali di comunicazione con la Russia, lasciando che i militari trattassero la politica come un risiko, ci ha portato in una situazione che sarà comunque un disastro, sicuramente per gli ucraini, probabilmente per i Russi, forse per tutti.  Soprattutto se noi europei non sapremo unirci. La storica domanda, eticamente giusta, se si possa tollerare un’aggressione militare per riparare torti veri o presunti, che segna certo uno spartiacque tra violenza e diritto, oggi non può però avere la stessa risposta del passato.  Oggi Chamberlain avrebbe ragione.