TI CONOSCO MASCHERINA

di Giuseppe Borgioli

Chissà cosa avrebbe scritto Leonardo Sciascia sulla pandemia, lui che inventò l’espressione professionisti dell’antimafia. Sciascia puntava l’indice sull’uso politico del diritto come oggi alcuni (sempre meno rari) sottolineano l’uso politico della pandemia. Cambiano i tempi ma i vizi e le virtù si assomigliano. Ci sono delle analogie sorprendenti fra lo stile sicuro di sé della corporazione dei virologi e degli epidemiologi (che è ben altra cosa dai medici di base meritevoli della nostra incondizionata riconoscenza) e i magistrati che animarono i giorni e le vicende di mani pulite. L’istituto superiore di sanità   al pari del comitato tecnico scientifico (uno de tanti) insediato dal governo quasi per precostituirsi l’alibi si è distinto nell’agitare il coronavirus come una clava per imporre comportamenti individuali e collettivi, indurre i governanti a prendere decisioni di politica sanitaria, per pontificare in nome della scienza ammettendo candidamente che il virus è un illustre sconosciuto. Il documento infarcito di modelli di previsione statistica che aveva lo scopo di avvelenare i pozzi della fase due richiederebbe una attenta lettura e analisi politica. Ma questa scienza non accetta domande e chi avanza dubbi passa per antiscientifico e rischia l’emarginazione come per i monarchici in regime repubblicano e come fu per l’ultimo Sciascia che fu considerato nel panorama intellettuale un fastidioso rompiscatole. Cambiano le streghe ma resta la caccia a cui partecipa volentieri l’opinione pubblica imbeccata dai media. Sono certo che Leonardo Sciascia con la sua elegante ironia e con il suo sguardo critico sulla società non si sarebbe lasciato catturare da questa psicosi collettiva, proprio come mani pulite trent’anni fa quando la gente seguiva le notizie degli arresti, oggi resta attaccata al televisore per conoscere il numero dei morti. È un interesse quasi morboso ben conosciuto e studiato nella psicologia. Non accade a molti di noi di imbattersi in incidenti stradali dove la gente scende dall’automobile per vedere da vicino cosa è successo e bloccando così il traffico? Questo terrorismo seminato a fin di bene resterà una cicatrice nel tessuto sociale e renderà la ripresa economica irta di difficoltà aggiuntive a quelle finanziarie. Chi avrà ancora l’ardire di varcare la soglia di un bar o di un ristorante dopo il primo di giugno? Arrigo Cipriani ha già fatto intendere che stando così le cose non riaprirà il suo Harry’s bar. Il declassamento della prestigiosa agenzia di rating Fintch inflitto alle nostre ingenue prospettive economiche e finanziarie segue questa logica rigorosa che non conosce sconti. Il dopo virus erediterà una situazione drammatica con milioni di disoccupati che dovremo intestare alle responsabilità di qualcuno. A parte il capitolo paradossale delle mascherine su cui non insistiamo per carità di patria, abbiamo rinunciato a capire la genesi di un virus così letale. Il lascito di questa pandemia ci troverò impreparati perché le nostre finanze non ci consentono piani sociali di grande respiro. Lo vedremo con la prossima finanziaria che induce gli esperti (questo sì attendibili) a citare il Churchill di lacrime e sangue. Alle prime sfide il governo Conte ha già mostrato i suoi limiti. La gran parta dei lavoratori Italiani non ha ancora ricevuto la cassa integrazione. La verità è che la repubblica non sa gestire nemmeno l’assistenza sociale di cui si riempie la bocca. Il premer Conte si è scusato, ma le scuse non servono quando non si riconosce l’errore e non si è in grado di non ripeterlo.La buona educazione è un fatto estetico. L’economia no.

 

1° maggio: la festa del lavoro sia un impegno della politica per crescita e sviluppo

Quest’anno la Festa del Lavoro viene celebrata nel contesto di una crisi economica profonda che preoccupa vivamente gli italiani, qualunque sia il settore nel quale operano, industria, commercio, turismo, professioni. Una crisi dalle prospettive incerte per una stasi prolungata che ha fatto perdere commesse e clientele, e per la quale non è facile immaginare una ripresa in tempi brevi, assente la politica, incapace di delineare un progetto di sviluppo credibile e sostenibile.

L’Unione Monarchica Italiana, erede dell’antica sensibilità sociale dello stato liberale che, in momenti difficili, quando la classe politica non aveva maturato ancora una diffusa attenzione per le condizioni del lavoro, seppe favorire, fin dal 1890, la celebrazione di una Festa che ha aperto una stagione virtuosa di riconoscimento di diritti fondamentali, al lavoro e alla sicurezza nei luoghi di lavoro in un percorso purtroppo ancora da completare, chiede con forza alla politica un impegno straordinario, capace di perseguire concretamente ed in tempi brevi obiettivi di crescita e sviluppo che siano fonte di generale benessere per ogni regione d’Italia.

I monarchici italiani, preoccupati per le diffuse povertà, antiche e nuove, che offendono la dignità delle persone, tornano a segnalare la necessità di definire in tempi brevi un piano straordinario di interventi infrastrutturali e di difesa dell’assetto idrogeologico del territorio, da finanziare con risorse pubbliche sottratte agli sprechi e un grande prestito nazionale riservato agli italiani, conveniente per i sottoscrittori e rispettoso degli equilibri di bilancio, che sia il volano di una ripresa economica che realizzi diffuso benessere tra i nostri concittadini.

Roma,30.04.2020

Il Presidente Nazionale

Avv. Alessandro Sacchi

L’Unione Monarchica Italiana, la più antica e numerosa associazione monarchica, abbruna le sue Bandiere per la scomparsa di Fra’ Giacomo Dalla Torre del Tempio di Sanguinetto, Gran Maestro del Sovrano Militare Ordine di Malta.

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Da poco è passata la festa del 25 aprile e fra poco vi sarà quella del 1° maggio.  La retorica della sinistra post comunista ha festeggiato il 25 aprile con la canzone Bella ciao, che dovrebbe ricondursi alla lotta partigiana in Emilia. Ma io ricordo che l’Italia è stata liberata, in larga misura, da partigiani che erano militari del Regio Esercito, che non hanno voluto arrendersi ai Nazisti e alla Repubblica di Salò filo nazista e sono andati sulle montagne, a combattere : che cantavano canzoni della prima guerra mondiale, o canzoni di montagna, alcuni monarchici, come Edgardo Sogno, altri del partito d’azione, altri delle Brigate Matteotti  delle Brigate Garibaldi, in cui a fianco di comunisti veri militavano molti coraggiosi che lottavano per la libertà, che non erano, come il Conte Pietro Bellini delle Stelle, che catturò Mussolini a Dongo, nella autocolonna tedesca  diretta alla Svizzera. Nella mia memoria, è oggi particolarmente viva la bandiera del Gruppo di combattimento Legnano, del Regio Esercito, che operava ai bordi della Valtellina, fra il 25 aprile e il primo maggio.

 GRUPPO di COMBATTIMENTO LEGNANO

68° Reggimento fanteria

Reggimento fanteria speciale

11° Reggimento artiglieria

Li battaglione misto del genio

Servizi

 

Quella bandiera io la vidi quando, studente della prima liceo, come altri mie compagni di scuola, scortavo in bicicletta i camion con i soldati del Terzo Reich che si erano arresi e, con la testa piegata in avanti nell’elmo rotondo e il fucile con la punta a in basso, viaggiavano lentamente verso il confine svizzero. Il vessillo tricolore dei soldati della fanteria motorizzata Legnano, che sventolava, nel cielo luminoso, aveva nel suo centro un guerriero medievale con lo scudo in basso nel braccio sinistro e con la spada levata in alto nel braccio destro: che simboleggiava la vittoria della Lega Lombarda nella Battaglia di Legnano contro il Barbarossa, nel II Secolo.    

Avevo imparato a conoscere l’immagine a Busto Arsizio, quando frequentavo le scuole elementari Enrico dell’Acqua e la maestra ci spiegava la poesia di Giosuè Carducci sulla battaglia di Legnano, che allora si doveva imparare a memoria. Il Barbarossa, infatti, per la conquista di Legnano, che si era ribellata al suo dominio, si era insediato, con il suo esercito teutonico a Busto: di fianco appunto a Legnano.  Dopo la battaglia, Busto era piena di cadaveri che furono bruciati. Perciò nel nostro stemma, diceva la maestra, ora ci sono due B. La prima B di Busto derivava dal termine latino comburerere, bruciare, a ricordo del fuoco delle acciaierie di Busto dal millennio prima di Cristo in poi al medio evo di allor; B voleva “bruciato”, arso come i cadaveri della battaglia di Legnano, e come la parola Arsizio. Ciò che del racconto era rimasto nella mia fantasia non era la poesia di Carducci: era l’immagine di quel guerriero snello, coperto di maglino di fil di ferro, con la spada sottile in alto, che la avevo vista Legnano alla fine della quarta elementare. Allora, in estate ci andavo spesso, in tram da Busto, perché mi preparavo per saltare gli esami di quinta. E per le lezioni di ginnastica, materia obbligatoria, andavo a Legnano, ove svettava la statua ad Alberto da Giussano, con lo scudo in basso e la spada in alto, il guerriero leggendario, che nella poesia di Giosuè Carducci guidava i soldati della Lega Lombarda.  Ora, nella primavera del 1945, quella figura la rividi nel tricolore dell’esercito italiano, che affiancava gli alleati nella liberazione, che faceva capo al governo provvisorio del Regno di Italia che si era insediato Brindisi. 

Avevo 16 anni e la mia famiglia, oramai, dal 1940 viveva al Sondrio in Valtellina, ove avevo frequentato il ginnasio e nel 45’ stavo terminando la prima liceo.  Facevo parte della pattuglia di studenti, che il 28 Aprile erano stati arruolati provvisoriamente dal Fronte di Liberazione Nazionale, per condurre verso il confine svizzero i camion con i soldati tedeschi con l’elmo e il fucile abbassati, che si arrendevano. Così verso il confine, vidi sventolare a bandiera della Lega Lombarda, che il gruppo di combattimento Legnano aveva come proprio stemma. Il gruppo motorizzato Legnano insieme alle truppe alleate, aveva rotto la Linea gotica a Sud di Bologna e dopo ver aveva liberato molte aree del Nord di Italia, ove ancora i nazifascisti avevano focolai di resistenza, si era insediato a vigilare il confine.  Quella immagine ci riempiva di orgoglio, perché voleva dire che a liberarci, fra le truppe alleate che avevano vinto la guerra, c’erano anche i militari dell’esercito regolare italiano.  Quella bandiera levata in alto, in segno di vittoria, voleva dire che c’era una continuità fra la liberazione dagli invasori del passato e quelli recenti. Eravamo al quarto risorgimento, dopo quello dell’alto medio evo, quello del rinascimento e quello del Regno di Italia. Le forze armate italiane ora partecipano a un quinto rinascimento, in un’altra aspra guerra, per cui intravediamo una prima vittoria, quella contro il Corona Virus, che dalla Cina, è stato trasmesso, sin dal gennaio, in Lombardia senza nessuna allerta preventiva da parte dei cinesi e da parte dell’Organizzazione Mondiale della sanità. E s’è propagata nelle Regioni circostanti. Dopo l’allerta, si sono mobilitate le forze armate. Ma non sistematicamente per affiancare la Protezione Civile In gran parte sono intervenute su richiesta delle popolazioni, delle Regioni e dei Comuni e di altre autorità decentrate.  L’Associazione Nazionale Alpini con il suo personale sanitario, medico chirurgico, ha operato nel controllo dei viaggiatori in arrivo negli scali di Milano Malpensa, di Torino Caselle, di Bergamo Orio al Serio.  I carabinieri stanno attuando un fitto controllo territoriale del rispetto delle regole di accesso alle strade stabilite per la prevenzione del contagio da Corona Virus, su richiesta del Ministero degli Interni. Ed ora, con le inchieste della magistratura, controllano le strutture sanitarie dei ricoveri degli anziani, su cui la Protezione Civile non aveva emanato alcuna specifica regolamentazione di protezione preventiva. Gli Alpini, mediante l’ANA, su richiesta del Comune, hanno installato a tempo di record, un grande ospedale da campo a Bergamo per il ricovero di malati gravi di Covid-19. La Brigata Bersaglieri “Garibaldi”, con le sue operazioni logistiche ha attrezzato il grande Ospedale del Mare di Napoli. per le terapie contro il Covid 19.

Reparti del Genio, e della Sanità dell’Esercito, hanno realizzato gli ospedali da campo di Crema, Cremona, Piacenza, per le terapie intensive contro il Corona Virus 19.

Last but not least attraverso l'utilizzo di tecnologie satellitari e informatiche, le unità delle trasmissioni realizzano e gestiscono un sistema che, in tempi rapidissimi, è in grado di assicurare agli operatori sanitari, apparati telefonici e postazioni dati con tutti i servizi di comunicazione richiesti per lo scambio e la trattazione dei dati sensibili relativi ai pazienti assistiti.  Ora la bandiera tricolore della Legnano, con la Spada in alto, in segno di vittoria nella guerra per la libertà, va alzata in onore dei nostri militari.

Ma sorge anche un quesito: perché non si è chiesto alle nostre forme Armate di realizzare, con le sue elevatissime competenze informatiche e con le sue attrezzature, la App per il controllo del corona virus? Controllo che, in realtà, si attuerebbe in modo più razionale e più rispettoso della privacy telefonica, mediante un braccialetto elettronico, dotato di molto maggiori dati sulla salute delle persone, da loro stessi utilizzabili. Ciò eviterebbe una gara fra operatori privati e realizzerebbe una rigorosa tutela della sicurezza nazionale e della salute.    

da sx: l'Avv. Alessandro Sacchi, Presidente Nazionale dell'U.M.I.,l'Ing. Piero Stroppiana,la Contessa Laura Sogno, l'Avv. Edoardo Pezzoni Mauri, Vicepresidente Nazionale dell'U.M.I.,e l'On. Prof. Francesco Forte, già Ministro delle Finanze